La Transnistria, Transdniestra, Trans- Dniester o Pridnestrovie, Stato de facto posizionato fra la sponda est del fiume Dniestr e la frontiera con l’Ucraina, con i suoi 600 mila abitanti è una Repubblica Sovietica tuttora esistente. Ha una sua bandiera, una sua capitale, Tiraspol, un suo Parlamento, un suo Governo, ma per molti esperti rappresenta una faccenda geopolitica complessa fra strategie russe, moldave, ucraine, rumene, europee e statunitensi. Questa sottile striscia di terra fra la Moldavia e l’Ucraina, una volta parte dell’URSS, si è autoproclamata indipendente il 2 settembre 1990, ma fino ad oggi non ha ancora ottenuto il riconoscimento di questo status dalla Comunità Internazionale.

La Moldavia, provincia storica della Romania, in origine Bessarabia, fa parte di quello che viene chiamato il «Estero Vicino» russo, ovvero gli obiettivi strategici russi. Dichiaratasi indipendente dall’URSS nel ’91, deve fare i conti con la Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika – PMR, anch’essa desiderosa di rinnovare l’indipendenza, già concessale da Stalin fino alla Seconda Guerra Mondiale. Il movimento di opposizione russo nasceva proprio a Tiraspol al fine di proteggerne l’identità in seguito al tentativo di latinizzare la scrittura moldava. È nel marzo del ’90 che le autorità transnistriane proibivano l’uso del carattere latino, e nel settembre dello stesso anno si dichiarava ufficialmente l’appartenenza di questo Stato all’URSS, come similmente avveniva in Gagauzia. Nel dicembre del ’91, scontri fra la polizia moldava e quella indipendentista transnistriana, giustificavano il coinvolgimento in campo degli ucraini a sostegno dei gruppi separatisti insieme a circa diecimila soldati della 14° armata dell’esercito russo; i moldavi, al contrario, ricevevano aiuto dalle forze rumene. Una volta terminato il conflitto, le truppe russe si instauravano nel territorio come “forze di pace” e da allora non hanno mai abbandonato il confine. Al problema dell’integrità territoriale, si aggiunge quello demografico ed etnico: vivono nella regione russi, moldavi, ucraini, bulgari e gagauzi (turchi di religione prevalentemente ortodossa).

La storia recente ci informa che nel luglio 2002, OCSE, Russia e Ucraina hanno approvato un documento per la riunione territoriale della Moldavia, il cosiddetto memorandum Kozak, ma la richiesta di intervento dell’Unione Europea faceva sfumare tutto a causa del disaccordo della Russia. In Transdniestra, nel 2004, venivano chiuse 6 scuole che insegnavano il moldavo con caratteri latini causando ulteriori scontri ed arresti. La famiglia Smirnov, proprietaria dell’unica concessionaria autorizzata all’esportazione, la Sheriff, curano i propri interessi grazie ad una catena di supermercati, ad una squadra di calcio, ed ad una società di comunicazione e ad altre attività economiche. Secondo le stime di “PeaceReporter” il suo giro d’affari ammonta a circa 4 miliardi di dollari, circa 47 volte il Pil della Transnistria.

La «terra di nessuno» confina nella sua sponda orientale con l’Ucraina ed è proprio qua che la Polizia avrebbe effettuato sequestri di enormi quantità di armi, droga e materiali nucleari. In questo paese, dove il salario mensile ammonta mediamente a circa 50 euro, oltre al traffico di armi, sembra si facciano affari attraverso le cosce di pollo. Secondo Gianpiero Catozzi, funzionario dell’Eubam (la missione europea presso il confine moldavo), il paese funge da vera e propria «lavatrice», importando merci di dubbia provenienza per poi rimpacchettarle e rivenderle all’Europa dell’est. Ciò ha funzionato da pretesto per l’imposizione da parte moldava di un «blocco economico», ovvero la necessità di ottenere il permesso di Chisinau per esportare materiale proveniente dalla Pridnestrovie.

La fornitura di gas nella regione è garantita da contratti annuali fra la russa Gazprom e la Moldovagaz (di proprietà mista russo-moldava). La Transnistria, però, ha un «conto» separato di circa 900 milioni di dollari e gode di prezzi relativamente contenuti rispetto a quelli riservati al suo vicino. Nonostante i prezzi di favore, il debito transnistriano continua ad aumentare vertiginosamente aggirandosi sui 700 milioni. In un servizio televisivo di questo mese di Publika TV, si annunciano gli aumenti di prezzo fissati dal colosso mondiale Gazprom, e si aggiunge che, per l’anno in corso, la Moldavia prevede un consumo di gas di circa 3,3 mmc/a di cui 2 mmc andranno alla Transnistria la quale, come si precisa, non salda i suoi debiti ormai da anni. La Tiraspoltransgaz, una parte della Moldovagaz, effettua i pagamenti direttamente a Gazprom.

La lotta ideologica costruita ad hoc dalle varie parti con lo scopo di alimentare giorno dopo giorno il conflitto, prevede lo scontro fra «noi» contro gli «altri», in un castello che si regge su diversi elementi, fra i quali l’identità linguistica ed alcune pratiche sociali (urbanizzazione contro agricoltura, cultura contro folklore, uniformità contro diversità). I risultati di una ricerca condotta sui pregiudizi sfruttati dai media per la creazione di stereotipi, dimostrano in che modo venga rafforzato il contrasto fra queste due identità. In Transnistria si pone l’accento sull’appartenenza del paese alla “grande famiglia” russa, e sulla minaccia di un’invasione moldava; al contrario, in Moldavia si parla della Transnistria come di una “zona d’occupazione” russa. Ciò rende difficile il dialogo tra le parti.

Nel settembre 2006 le autorità separatiste, tramite referendum, votavano a favore dell’integrazione del territorio alla Federazione Russa. La sorpresa però arrivava proprio dai russi che affermavano: «La Transnistria rappresenta un costo troppo grande da sostenere per la Russia». L’indipendente terra di Nistria è il punto più ad ovest ad essere sotto l’influenza russa, una «moneta di scambio» per le strategie russe che in questo modo tengono sull’attenti Romania ed Ucraina. La Moldavia, dal canto suo, correrebbe non pochi rischi ad integrare il Paese ribelle: il sistema sociale moldavo, profondamente riformato, creerebbe non pochi problemi di integrazione alla comunità nistriana, andando ad alimentare ulteriormente la già alta tensione fra le due popolazioni. Un altro motivo a sfavore della riunificazione è rappresentato dal pesante debito accumulato dalla Transnistria, come già accennato precedentemente. La riappacificazione porterebbe però notevoli vantaggi per la Moldavia, quali, ad esempio, un miglioramento della propria immagine in qualità di risolutore del conflitto, la possibilità di sfruttare la zona di Tiraspol come area turistica sul fiume Dniestr ed avviare una più accurata ed unitaria raccolta di dati al fine di comprendere le reali necessità della popolazione .

Alcuni punti salienti del programma politico proposto da Smirnov, Presidente tutt’ora in carica, durante le elezioni presidenziali del dicembre 2006, prevedevano la necessità nei successivi 5 anni di perseguire libertà, uguaglianza ed indipendenza, implementare i progetti russi nella regione, realizzare prima di tutto salde relazioni politiche ed economiche con i paesi slavi, rafforzare le forze armate al fine di garantire una maggiore sicurezza ed uno sviluppo internazionale grazie al quale poter esprimere il proprio orgoglio di appartenenza alla TMR. È criticabile che Smirnov non enfatizzi il miglioramento dei rapporti coi vicini non slavi, e trascuri le esigenze quotidiani della vita dei cittadini transnistriani.

Nel documento redatto dalla Commissione Europea sulla situazione della Moldavia, si afferma come la stabilità economica e sociale del Paese sia una questione di fondamentale importanza per l’Unione. Un maggior intervento dell’UE nella questione moldava potrebbe portarla ad agire concretamente ad est, ponendo fine al sentimento, condiviso da molti moldavi, di rassegnazione nei confronti di una risoluzione del conflitto che pare essere interminabile, anche alla luce di un piano sottoscritto dal Governo russo per l’incremento del numero delle forze armate in Transnistria, fino al 2020. Si aggiunga che dopo la “rivoluzione arancione”, l’Ucraina ha parzialmente mutato il suo atteggiamento verso la Transnistria, e potrebbero esserci maggiori punti in comune con l’agenda di Bruxelles.


* Eleonora Ambrosi è dottoressa in Scienze Linguistiche (Università Cattolica di Milano)


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