Siria, Venezuela e Corea dimostrano che l’onda lunga della globalizzazione a guida statunitense può essere fermata. Preso atto del fallimento dell’unilateralismo USA, Cina e Russia si apprestano a guidare il nuovo mondo multipolare ma la fase di passaggio da un sistema all’altro implica un lungo periodo di nuove contrapposizioni geopolitiche.

 

Grazie al suo intervento militare in Siria a fianco del Governo di Bashar Al Assad e al suo centro di comando a Baghdad che coordina gli sforzi congiunti di Iraq, Iran, Libano ed Egitto, Mosca ottiene il primo successo in una partita geopolitica che si preannuncia lunga e complessa.

La Russia assurge nuovamente ad attore globale capace di determinare non solo la vittoria sul terreno delle truppe di Damasco ma anche di condurre il gioco diplomatico mediorientale coinvolgendo, oltre ai propri alleati sciiti e cristiani, l’opposizione siriana e i curdi nel piano di stabilizzazione strategica della regione.

Vladimir Putin completa così la terza parte del programma che si era proposto di realizzare una volta insediatosi al Cremlino: messa in sicurezza del Paese, creazione di una classe media interna e ritorno della Russia al ruolo di grande potenza internazionale.

Ancora una volta si è dimostrato valido l’assunto secondo il quale per il Cremlino l’obiettivo geopolitico è sempre più importante dei costi economici necessari per raggiungerlo.

Russia e Cina si preparano a delineare le rispettive sfere di influenza, con Mosca principale protagonista in Vicino e Medio Oriente e con Pechino nuovo attore egemone in Africa grazie alla sua politica di cooperazione economica (win to win).

La prima grazie ad esibizioni di forza muscolare che hanno fortemente impressionato nemici e rivali; la seconda esibendo un rinnovato soft power e mantenendo un atteggiamento diplomatico internazionale responsabile e prudente.

Quello che era stato denunciato dai mass media occidentali come l’isolamento russo, si sta pian piano rivelando un’arma a doppio taglio per i paesi della NATO; questi ultimi, dopo aver lasciato campo libero all’espansionismo del Daesh, hanno sottovalutato le capacità bellico-strategiche di Mosca.

La Russia ha stretto importanti legami non solo con la Cina ma anche con il resto dei Paesi BRICS, ha raddoppiato i propri avamposti militari sul Mediterraneo, è ritornata protagonista in America Latina dove l’incontro tra il Papa romano e il Patriarca di tutte le Russie Kirill, a Cuba, ha ribadito il suo ruolo di protettrice dei cristiani del Medio e Vicino Oriente.

Al Forum dei BRICS di Xiamen (3-5 settembre 2017) hanno partecipato anche i Paesi “emergenti” come Egitto, Messico, Guinea, Thailandia e Tagikistan.

All’ultimo vertice dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, inoltre, l’Armenia, Presidente di turno, ha ribadito il pieno appoggio militare alla Russia nella lotta all’ISIS da parte del CTSO, di cui fanno parte anche Bielorussia, Kazakhstan, Tagikistan e Kirghizistan.

I Paesi aderenti a questa organizzazione hanno anche denunciato il potenziamento degli armamenti della NATO nell’Europa orientale allo scopo di accerchiare Mosca e si sono detti disponibili ad accettare nuove basi aeree russe in Kirghizistan, Armenia e Bielorussia, impegnandosi ad intervenire militarmente, così come previsto dal Trattato, nel caso un proprio membro venga aggredito.

Al contrario, dopo gli accordi sulla sicurezza raggiunti a Monaco di Baviera, gli Stati Uniti hanno perso la fiducia dei loro partner storici (Turchia e Qatar in particolare), i cui alleati sul territorio siriano sono stati annientati dall’esercito di Damasco supportato dall’aviazione russa e dai rinforzi iraniani e libanesi.

Erdogan, avendo intuito la profonda diffidenza che gli apparati di potere USA nutrono nei suoi confronti, ha preferito opportunisticamente virare verso Mosca e collaborare all’implementazione degli accordi di Astana per la creazione delle zone di sicurezza in Siria; Turkish Stream e forniture missilistiche russe (S-400) all’esercito di Ankara completano per ora questa difficile alleanza.

La Turchia, con il consenso implicito di Russia ed Iran, fornisce anche uno scudo militare difensivo al Qatar; quest’ultimo è infatti rimasto isolato dopo la rottura con l’Arabia Saudita e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

 

Passo dopo passo, la Russia è rientrata nel Grande Gioco eurasiatico: via al progetto multipolare?

Fino all’intervento militare russo del 30 settembre 2015, quando Mosca comunicò alla Comunità Internazionale la sua decisione di rispondere alla richiesta di aiuto del legittimo Governo di Damasco, la coalizione occidentale non aveva fatto assolutamente nulla per fermare l’avanzata dell’ISIS e delle altre propaggini wahabite-salafite in Siria, Iraq e Libia.

La tempestività dell’operazione siriana è stata perfetta, potendo contare Putin su vari fattori a lui favorevoli: a) la debolezza di Obama, la cui seconda rielezione alla Casa Bianca era stata subordinata all’accettazione del programma neoconservatore del grande caos in Medio Oriente (e della divisione della Regione secondo linee di frattura etno-religiose); b) il favore dell’opinione pubblica internazionale. Da mesi gli organi di informazione occidentali alimentavano il pericolo costituito dall’avanzata dello Stato Islamico: la discesa in campo di Putin ha riallineato verso il capo del Cremlino il consenso delle masse terrorizzate dal delirio del Daesh e ha ricompattato lo stesso popolo russo dopo le vicende ucraine e gli attentati terroristici.

L’Europa appare sempre più a rischio tenuta, a causa della crisi economica (aggravata proprio dalle sanzioni alla Russia) e del flusso incessante di migranti, alimentato in passato dall’approvazione e dal sostegno alle “rivolte arabe” e oggi dagli interessi delle ONG legate a Soros e alla destabilizzazione della Siria, ancora prima dall’aggressione militare di USA e NATO alla Libia e all’Iraq. L’Unione Europea non funziona più da nessun punto di vista, a maggior ragione perché non esiste un Ministro degli Esteri europeo ed ogni nazione si muove più o meno per conto proprio, pur nei limiti dell’occupazione militare atlantica.

La posizione personale del capo del Cremlino appare più salda che mai; non solo perché il Presidente russo gode del supporto dei ministeri chiave come Difesa, Sicurezza ed Interni ma soprattutto perché il suo consenso popolare all’interno del Paese si aggira sul 90% dell’elettorato.

Dopo la vittoria siriana la sfida multipolare viene lanciata su tutti i fronti: nella crisi coreana, Mosca e Pechino si ergono quali mediatori e si oppongono sia alle provocazioni missilistiche di Pyongyang sia a nuove sanzioni contro la Repubblica Democratica di Corea ma soprattutto al dispiegamento del sistema antimissile statunitense Thaad. Nonostante i toni roboanti del Presidente Trump, gli Stati Uniti non sembrano in grado di andare oltre la retorica bellicista né di opporsi alla road map russo-cinese che prevede una denuclearizzazione progressiva della penisola coreana.

Lo stesso può dirsi per il Venezuela, destabilizzato dai collaborazionisti di Washington; il boicottaggio interno della borghesia e l’embargo economico USA non sembrano sufficienti a deporre un presidente Maduro forte del pieno sostegno di Mosca e Pechino, per cui Caracas si appresta ad entrare nell’orbita degli alleati dei BRICS.

Evidentemente la Russia sta consolidando le sue relazioni con qui Paesi che si oppongono all’unilateralismo angloamericano, cerca di dividere Europa e Stati Uniti attraverso gli accordi energetici, tiene vivo un forte spirito identitario addirittura rafforzato dalle sanzioni economiche occidentali.

Allo stesso tempo Cina e molte nazioni dell’ASEAN resistono al processo di occidentalizzazione attribuendo ai “valori asiatici” un rango superiore: rispetto della gerarchia, accettazione dell’autorità, importanza della famiglia, lealtà filiale, priorità dell’educazione, lavoro duro, frugalità, attribuzione di maggiore peso alla comunità rispetto all’individuo; agli slogans statunitensi “legalità e competizione” esse contrappongono le parole chiave “società bene ordinate, armonia e consenso”.

 

Dal bipolarismo al multipolarismo

Trattandosi di un confronto a somma zero è riduttivo parlare ancora di “nuova guerra fredda”, quando la posta in gioco è addirittura molto più importante dello stesso futuro del Medio Oriente: si tratta di ridefinire in senso multipolare l’attuale globalizzazione per sfuggire all’imposizione del paradigma atlantico e alla sua pretesa colonialista di detenere il dominio assoluto sul genere umano.

Il filosofo e geopolitico eurasiatista Aleksandr Dugin ha giustamente separato e distinto il concetto di multilateralismo – una comoda situazione di facciata che serve solo a distinguere la disuguaglianza tra l’egemone (USA) e i propri vassalli (le nazioni della NATO) – da quello di multipolarismo, un concetto caro a quanti non accettano l’egemonia unipolare statunitense sul Pianeta.

Tra i sostenitori dei due campi non possono esistere compromessi, tanto più che l’enunciazione dei principi guida da parte di Putin e Xi Jinping, unita alla sistematizzazione di strumenti militari ed economici alternativi (OTSC, Banca dei Brics, OCS, One Belt One Road) ha ulteriormente aumentato il fossato tra i rispettivi schieramenti.

Tornando a Dugin, egli sostiene che “un mondo multipolare non è un mondo bipolare perché nel mondo odierno non vi è alcun potere che può resistere con le proprie forze al potere strategico degli Stati Uniti e ai Paesi NATO, ed inoltre non vi è alcuna ideologia generale e coerente capace di unire una gran parte dell’umanità in una netta opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei diritti umani, sui quali gli Stati Uniti ora fondano una nuova, unica ideologia. Né la moderna Russia, Cina, India o qualche altro Stato può pretendere di essere un secondo polo sotto tali condizioni. Il ristabilimento della bipolarità è impossibile a causa di ragioni ideologiche e tecnologico-militari …”[1]

Il pessimismo insito in queste considerazioni non è l’unico appunto che si può muovere all’analisi di Dugin[2]; il filosofo russo non rileva come proprio il rispetto da parte dei BRICS e dei loro alleati di principi cardine condivisi come la non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani e la difesa delle specificità culturali (in nome paradossalmente della comune radice eurasiatista), insieme all’affermazione di peculiari modelli giuridici, sociali ed economici (capitalismo produttivo versus finanziario) e differenti visioni del mondo (si pensi solo al concetto di “famiglia tradizionale” in Russia e a quello ispirato al confucianesimo in Cina), abbiano già diviso la scacchiera geopolitica tra due poli in perenne competizione in tutte le aree del pianeta.

Perfino il “liberale” Medvedev ha dovuto promuovere nel dicembre 2015 l’avvio di negoziati per creare una partnership economica basata sui principi di “uguaglianza e di mutuo interesse” tra i Paesi dell’Unione Economica Eurasiatica (EEU), l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO) e l’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN).

La Cina, il cui ruolo nelle ultime due organizzazioni è in continua crescita, si è spinta per bocca del Capo del Governo Li Keqiang a proporre un’area di libero scambio per le nazioni della SCO attraverso la creazione di un sistema unificato di trasporti per i suoi aderenti, in parallelo con l’avanzamento del progetto della Nuova Via della Seta Terrestre e Marittima che potrebbe così includere l’Unione Doganale Eurasiatica.

Il processo di de-dollarizzazione del mondo avanza gradualmente ma coerentemente, sotto la spinta dei nuovi strumenti finanziari messi in campo da Pechino e da Mosca (Banca cinese AIIB, Banca dei Brics NDB, sistema di pagamento internazionale cinese CIPS al posto dello statunitense SWIFT ecc.).

L’accelerazione della rivalità tra i due campi negli ultimi anni ha infatti costretto tutti gli Stati nazione a schierarsi da una parte o dall’altra, riproponendo una forte contrapposizione (interna ed esterna) tra nazioni (e gruppi di potere) che accettano la dominazione atlantista e nazioni che la respingono in nome della propria indipendenza.

Il sistema multipolare differisce dal classico sistema westfaliano per il fatto che non riconosce agli Stati-nazione separati lo status di vero e proprio polo geopolitico, in quanto attualmente non in grado di preservare la propria sicurezza o prosperità di fronte all’attacco dell’egemone presente (gli Stati Uniti d’America).

Perciò, se è vero che attualmente non viviamo ancora in un sistemo geopolitico multipolare, è altrettanto vero che conditio sine qua non del suo pieno raggiungimento è il passaggio ad una nuova fase bipolare che, se anche non più basata sulla contrapposizione ideologica storica capitalismo-marxismo, presenta tuttavia differenze epocali di visione del mondo, in particolare per il rifiuto da parte del blocco eurasiatico delle logiche eurocentriche e illuministe occidentali (ideologia dei diritti umani, individualismo, materialismo, ateismo, cosmopolitismo, ecc.).

Non si tratta soltanto di proporre un riassetto più equilibrato delle relazioni internazionali né di interpretare l’attuale fase storica come il passaggio dalla concorrenza geopolitica a quella geoeconomica tra Stati-nazione ma di approfondire ulteriormente la sinergia già esistente tra le forze sovrane tendenzialmente favorevoli al multipolarismo, costringendo gli indecisi a schierarsi e aiutando a comprendere che l’attuale precario equilibrio bipolare potrà rompersi solo con il ridimensionamento strategico degli Stati Uniti d’America.

Poiché sul piano internazionale vale la regola waltziana di emulazione tra attori nell’organizzazione delle risorse per la loro proiezione di forza, all’eterogeneità socioculturale degli Stati nazione bisogna aggiungere l’effettiva differenziazione di centri di potere indipendenti e sovrani a livello globale.

Quando l’establishment di Washington verrà costretto a rinunciare al proprio tentativo egemonico mondiale e accetterà l’evidenza della sua incapacità a guidare e ad uniformare il mondo, potrà realizzarsi il tanto agognato sistema multipolare; nel frattempo, la fase intermedia non potrà che essere sempre più bipolare, così come i recenti avvenimenti – non solo mediorientali – stanno evidenziando.


NOTE

[1] Aleksandr Gel’evic Dugin, Significati della multipolarità, in “Eurasia” Rivista di studi geopolitici, n. 4/2015, p. 19.

[2] Sugli avvenimenti bellici siriani e le potenzialità militari russe si consiglia di consultare il sito internet “Aurora”: https://aurorasito.wordpress.com/

 


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Stefano Vernole, laureato in Storia contemporanea e in analisi dei conflitti, delle ideologie e della politica nel mondo contemporaneo, ha lavorato nel campo della catalogazione bibliografica e nel settore della Pubblica Amministrazione.
È giornalista pubblicista, responsabile relazioni esterne del Centro Studi Eurasia Mediterraneo. È autore di Ex Jugoslavia: gioco sporco nei Balcani. Frammentazione nazionale e risiko geopolitico del Kosovo (2013), La questione serba e la crisi del Kosovo (2008), nonché coautore di La lotta per il Kosovo (2007), Tibet crocevia tra passato e futuro (2014), Alla scoperta del Tibet (2015), Lo Xizang (Tibet) e la Nuova Via della Seta (2016).