L’Europa contemporanea, oltre ai problemi economici e finanziari di cui tanto si parla nei quotidiani di mezzo continente, presenta oggi anche un quadro di riferimento sociale e politico molto complesso, costituito dall’intrecciarsi continuo di minoranze etniche e flussi migratori.
I conflitti, i colonialismi e le fasi espansionistiche che hanno caratterizzato tutto il XX secolo, inoltre, non hanno fatto altro che acuire e complicare uno scenario di per sé già molto sensibile.
Eppure, nonostante una mole pressoché illimitata di informazioni a disposizione di tutti e la quotidiana realtà in cui ogni Stato è immerso, scarsa attenzione è stata sempre mostrata verso il contesto storico e sociale di queste minoranze, con la sola conclusione di aggravare la comprensione di questioni e dinamiche che ci riguardano molto più da vicino di quanto possiamo immaginare.
Caso emblematico, quello delle minoranze ungheresi sparse fra Romania, Serbia e Slovacchia, ma presenti anche in Austria ed Ucraina.
Un tema, questo, che con la recente salita al potere in Ungheria di Viktor Orbán potrebbe complicare la vita dell’intera UE.


 

Introduzione

Il punto di partenza di una simile riflessione non può che essere fissato al 4 giugno 1920, quando, subito dopo la Prima Guerra Mondiale, l’ex Impero Austro-Ungarico, sconfitto e umiliato dagli accordi di Timisoara del 1918, e le potenze vincitrici del conflitto (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e gli stati loro alleati, Romania, Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e Cecoslovacchia) firmarono a Versailles il Trattato di pace del Trianon, destinato presto a divenire il primum movens delle aspirazioni revisioniste magiare; mentre il Trattato di Saint Germain-en-Laye, firmato appena l’anno prima, si occupava di regolare il destino della futura repubblica austriaca, quello del Trianon stabiliva le sorti del Regno d’Ungheria, in seguito alla dissoluzione dell’Impero asburgico.
Proprio quel trattato, di fatto, sancì la perdita di  circa il 75% del territorio facente parte della Corona Ungherese: la Transilvania entrò a far parte della Romania, la Rutenia Subcarpatica divenne parte della Cecoslovacchia, mentre la Bácska e il Banato furono inglobati dalla nascente Jugoslavia.
L’intero Burgenland, inoltre, con l’esclusione del territorio di Sopron, venne assegnato all’Austria.
Al di là delle conseguenze di tipo politico ed economico che ne derivarono, si può oggi affermare con certezza che, a livello socio-demografico, si trattò di un vero e proprio disastro: secondo i dati demografici più accreditati, ad esempio, il 32% di coloro che risiedevano in Transilvania era di nazionalità ungherese (1.662.000 unità su una popolazione complessiva di circa cinque milioni di persone), così come il 30% degli abitanti della Slovacchia e il 28% di quelli di Voivodina, in Serbia.
La spartizione fu così all’origine di forti attriti culturali, dovuti proprio alla presenza di popolazioni magiare in quei territori più vicini all’Ungheria, con la conseguente alterazione di comportamenti demografici, condizioni politiche e dinamiche insediative.
Tutti fattori, questi, che non consentirono allora e non consentono oggi di misurare con gli stessi strumenti le diverse situazioni delle minoranze ungheresi presenti in ben sette paesi: Slovacchia, Croazia, Serbia, Romania, Slovenia, Austria ed Ucraina.

 

 

Erdély o Ardeal?      

Gli Ungheresi di Romania, seppure usciti ridimensionati dal periodo comunista, costituiscono una forza politica e sociale molto rilevante, sia per gli assetti interni della stessa Romania, sia per la proiezione di questo Paese al di fuori dei suoi confini.
Secondo i dati dell’ultimo censimento romeno, conclusosi nel 2012, infatti, quella ungherese risulta essere la più importante minoranza etnica dell’intera Romania, con una popolazione di 1.238.000 persone, pari al 6,5% della popolazione romena complessiva, formata da 19.042.936 unità.
Ovviamente, la stragrande maggioranza della comunità ungherese risiede all’interno dei confini della Transilvania (Erdély in ungherese, Ardeal in romeno); nel dipartimento di Harghita, uno dei sedici in cui si articola la regione transilvana, essa rappresenta addirittura la maggioranza degli abitanti (84,8%) e lo stesso può dirsi per il dipartimento di Covasna (73,6%).
Nelle contee di Mureş, Satu Mare, Bihor e Sălaj, invece, la percentuale di popolazione ungherese sul totale complessivo si attesta mediamente sul 30,5%.
L’elemento più importante che emerge dalle rilevazioni, però, non è legato al puro dato statistico, quanto a quello geografico, data la prossimità di questa minoranza alla sua patria d’origine: si parla, infatti, di una distanza massima di 60-70 chilometri dai confini ungheresi, cosa che facilita la fluidità degli spostamenti, gli scambi d’informazione, il bilinguismo e la creazione di solidi rapporti personali.
A tutelare gli interessi ungheresi in Romania, operano due formazioni politiche ben distinte: l’RMDSz (Romániai Magyar Demokrata Szövetség, o Unione Democratica dei Magiari della Romania) e l’MPP (Magyar Polgári Párt), il Partito Civico Magiaro.
Il primo, ideologicamente moderato, costituisce di fatto la maggiore organizzazione politica ungherese in Romania: creato dallo scrittore Géza Domokos subito dopo il crollo del regime comunista, è oggi guidato dal poeta Béla Markó e, con i suoi 22 seggi alla Camera dei Deputati ed i 9 senatori al Senato, raccoglie circa il 7% degli aventi diritto di voto residenti in Romania; attualmente, inoltre, figura fra i membri del PPE.
Fra i temi chiave dell’RMDSz si trovano la difesa dei diritti umani, il principio di eguaglianza, quello di non discriminazione, la protezione dell’identità etnica, l’attribuzione di maggiori poteri d’autonomia all’amministrazione locale pubblica ed il libero uso della lingua madre nella vita pubblica e privata, oltre che in quella amministrativa.
Ad esso si contrappone il Partito Civico Magiaro, guidato da Jenő Szász, fondato nel 2008 per dare agli Ungheresi di Transilvania un’alternativa all’RMDSz.
Si tratta di due movimenti che, seppur apparentemente uguali, si distinguono l’uno dall’altro per notevoli differenze concettuali: orientato a destra dello schieramento politico, fedele alla linea Orbán e caratterizzato da una forte connotazione nazionalista, l’MPP ha sì come obiettivo quello di difendere i diritti delle popolazioni magiare in Romania, ma, soprattutto, di attuare un piano di maggiore autonomia per la Székelyföld, la terra dei Székely, un gruppo etnico di lingua ungherese stanziato principalmente nelle regioni orientali della Transilvania, tra Mureş e Covasna.
Lo stesso Szász, inoltre, già sindaco per due mandati del municipio di Odorheiu Secuiesc (con il 51,5% dei voti), ha più volte attaccato la dirigenza dell’RMDSz, accusandola di essere il partito più corrotto dell’intera Romania.
È la ripresa dei toni nazionalisti da parte di Budapest, però, a far tremare le autorità romene.
Mercoledì 26 maggio 2010 il parlamento ungherese, inaugurando una nuova era di “unità nazionale”, ha deciso di concedere la cittadinanza ungherese a tutte le popolazioni di etnia magiara residenti all’estero, per un totale di oltre due milioni di persone.
Dinanzi ad una simile presa di posizione, la Romania è rimasta in silenzio, nonostante, come abbiamo già visto, un simile atto tocchi quasi il 7% della sua popolazione.
Si tratta, però, di una decisione che non deve esser interpretata come segnale di debolezza, ma come un tentativo di anticipare ogni eventuale deriva nazionalista.
Nel 2009, infatti, la vicina Moldavia venne attraversata da violente manifestazioni di protesta subito dopo l’ennesima vittoria elettorale del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldavia; per tre giorni, milioni di moldavi stanchi del sistema di potere comunista scesero in piazza ad esprimere il proprio dissenso.
Al picco della tensione, la stessa sede del Governo moldavo venne presa d’assalto.
In segno di solidarietà con le autorità moldave, Traian Băsescu, Presidente della Repubblica di Romania, semplificò le domande di naturalizzazione per tutti i cittadini di cultura romena, per quasi un milione di suoi abitanti.
Vien logico dunque pensare che un’eventuale azione di questo tipo da parte di Băsescu nei confronti delle minoranze ungheresi potrebbe facilmente limitare lo spazio di manovra di Orbán.
Così, però, non è avvenuto in Slovacchia.

 

 

La questione ungherese in Slovacchia

Differente, infatti, è la situazione della minoranza ungherese nel territorio slovacco.
Qui la popolazione magiara raggiunge il 10% della popolazione locale complessiva ed è situata nei distretti un tempo ungheresi, ridimensionati a seguito della firma del Trattato del Trianon, e cioè quelli situati a meridione ed oriente.
All’origine dei contrasti fra le due repubbliche, il ristabilimento dei confini dopo il 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale, con i  Decreti Beneš, dal nome del Presidente in esilio della Cecoslovacchia occupata; proprio tali provvedimenti, infatti, prevedevano ed attuavano l’esproprio dei beni e l’espulsione degli Ungheresi di Slovacchia dai territori di Cecoslovacchia.
Si tratta di contrasti che sembrano non essersi mai affievoliti, specie se si prende in considerazione il fatto che, nel 2009, le autorità di Bratislava impedirono all’allora presidente ungherese, László Sólyom, venuto a visitare le popolazioni magiare, di metter piede su suolo slovacco; o l’incidente relativo alla diga Gabčíkovo-Nagymaros, un progetto più volte ostacolato da ambo le parti ed approdato persino sulla scrivania della Corte Internazionale di Giustizia.
Alla proposta di Orbán di conferire la cittadinanza ungherese a tutte le popolazioni d’origine magiara attualmente residenti all’estero, poi, la Slovacchia ha risposto in maniera confusa, per quanto decisa, indicando nell’atto un attacco diretto alla propria sovranità.
Nonostante questo, però, la classe politica slovacca appare sempre più stanca e frammentata, incapace di risolvere le sue già delicate questioni interne ed inabile nel sapersi proiettare in un’Europa mai così fragile; due elementi che inducono a considerare Robert Fico, attuale Primo Ministro slovacco, una potenziale vittima delle mire egemoniche del più deciso Orbán.
Negli ultimi anni, inoltre, associatasi politicamente nel Most–Híd, partito slovacco–ungherese diretto discendente del precedente Partito della Coalizione Ungherese, le popolazioni d’origine magiara hanno iniziato a chiedere maggiore autonomia territoriale e maggiore autonomia politica.
Più dinamico e pragmatico del suo predecessore, il Most–Híd ha la sua carta vincente nella cooperazione interetnica ed i risultati non hanno tardato ad arrivare: nato nel 2010 da una scissione interna al Partito della Coalizione Ungherese (che Béla Bugár, poi fondatore delMost–Híd, riteneva incapace di collaborare adeguatamente con il governo di Bratislava), esso è detentore di circa l’8% del bacino elettorale slovacco ed in Parlamento può fare affidamento su ben 14 seggi.

 

 

Ungheresi di Serbia

Altrettanto delicata appare la situazione della minoranza ungherese residente in Serbia, concentrata principalmente nella Provincia Autonoma di Voivodina, una regione di oltre ventimila chilometri quadrati costituita da Sirmia, Banato e Bačka su cui abitano oltre due milioni di persone appartenenti a più di sei ceppi etnici differenti fra serbi, ungheresi, slovacchi, romeni, croati e ruteni.
Su 293.299 ungheresi presenti in Serbia, secondo il censimento del 2002, ben 290.207 risiedono in Voivodina, confermandosi così come la più importante minoranza etnica del paese (14,28% di presenza magiara sul totale della popolazione serba complessiva).
Un quadro, questo, che tende a complicarsi per due ordini di motivi: quello economico e quello politico.
Il primo vede la Voivodina come la provincia più ricca dell’intera Serbia, con oltre 680 milioni di euro l’anno di investimenti stranieri, la presenza di ben tre zone franche all’interno del suo stesso territorio (Novi Sad, Subotica e Zrenjanin) e la capacità di pesare per oltre il 40% sul prodotto interno lordo nazionale; queste cifre non considerano gli impianti di produzione veri e propri, altrimenti la percentuale di incidenza sul PIL complessivo si aggirerebbe intorno al 60%.
I dati, in fondo, parlano chiaro: dal 2001, la Voivodina ha ricevuto 6,4 miliardi di euro di investimenti complessivi da parte di aziende private straniere, cosa che ha portato alla creazione di 64.000 nuovi posti di lavoro e ad un vorticoso aumento dei salari rispetto a quelli percepiti dai lavoratori della Serbia Centrale o del Kosovo.
Un’eventuale secessione della Voivodina priverebbe di fatto la Repubblica serba del suo unico motore economico, portandola rapidamente al collasso.
Il secondo motivo, quello politico, è caratterizzato dal continuo avanzare, a livello di consensi, delle simpatie magiare verso le formazioni estremiste ungheresi.
Il “Campo estivo della gioventù ungherese unita del Délvidék”, ad esempio, organizzato appena l’estate scorsa a Kanjiza (a pochi chilometri dal confine ungherese) dal gruppo Gioventù Ungherese Unita, ha visto il coinvolgimento di oltre diecimila persone,  di cui l’86% era costituito di membri appartenenti alla minoranza etnica magiara.
In occasione della manifestazione, vennero organizzate dimostrazioni paramilitari ed esibizioni di gruppi musicali di tipo identitario, il tutto coronato dalla presenza di un esponente di Jobbik, partito ungherese d’estrema destra.

 

 

Ungheresi in Ucraina

A seguito delle espulsioni effettuate dall’Armata Rossa tra il 1944 ed il 1945, quella d’Ucraina è la minoranza ungherese più piccola attualmente presente sul continente europeo, con appena lo 0,3% di presenze sul totale della popolazione ucraina; concentrati per lo più nella piccola regione della Rutenia Subcarpatica, di cui costituiscono circa il 12,1% della forza demografica, gli Ungheresi d’Ucraina possono forse esser considerati come l’unico gruppo ungherese perfettamente inserito nella realtà straniera in cui ha avuto modo di svilupparsi.
Fin dalla caduta del Muro di Berlino, infatti, i rapporti fra i governi di Budapest e quelli di Kiev sono stati cordiali e guidati dal principio del buon vicinato; l’Ungheria, inoltre, fu il primo stato a riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina e lo stesso Árpád Göncz, all’epoca presidente della Repubblica Ungherese, fu inviato a visitare le popolazioni magiare stanziate nella provincia di Zakarpattia.
A quest’incontro seguì una dichiarazione ucraina con la quale si riconosceva agli Ungheresi la parità di trattamento rispetto ai cittadini ucraini, cosa che permise alle popolazioni magiare di preservare pacificamente la propria identità, cultura, religione e autonomia.
I villaggi situati nelle vicinanze di Munkács, al confine sudoccidentale, inoltre, hanno persino la possibilità di insegnare la lingua ungherese direttamente sui banchi delle scuole primarie.
A tal proposito, è notizia di pochi mesi fa che nella regione di Vinogradov, nel cuore dei Carpazi, l’ungherese abbia ottenuto lo status di lingua nazionale, su proposta del Partito degli Ungheresi in Ucraina e del Partito Democratico degli Ungheresi in Ucraina, due formazioni nate agli inizi degli anni 2000 che, insieme alla Federazione Democratica Ungherese in Ucraina (UMDSz), nata nel 1991, costituiscono l’apparato politico delle minoranze magiare situate al di là della provincia di Szabolcs-Szatmár-Bereg.
Grazie a tale provvedimento, l’Ucraina riconosce la possibilità di ufficializzare il bilinguismo nelle regioni al cui interno le minoranze etniche superino il 10%,

 

* Stefano Ricci è Dottore in Scienza della Politica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. 


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