Analizzare la geopolitica dello spazio eurasiatico significa analizzare non solo storie, geografie, economie e relazioni politiche nel loro intreccio; significa anche e soprattutto parlare di popoli e orizzonti culturali. Parlare di Eurasia significa prendere coscienza del legame profondo che unisce i popoli e le loro storie e confermare il fatto che le culture dell’Eurasia non sono monadi contrapposte, inconciliabili o peggio ancora reciprocamente indifferenti. La geopolitica come scienza dice anche del portato culturale dei popoli autori della storia, dell’estrinsecarsi politico della loro visione del mondo.

I tre “popoli cerniera” del continente eurasiatico sono i Russi, i Persiani e i Turchi. Un posto d’onore spetterebbe e spetta agli Arabi, non inseriti in questo novero perché troppo spesso condannati dal colonialismo e dal neocolonialismo ad un ruolo passivo. Un comune denominatore unisce invece i tre popoli citati: la loro recente storia imperiale. Tra questi tre popoli, Russi e Iraniani trovano nel loro contrapporsi all’imperialismo atlantico un punto di comunione geostrategico che rimanda alle buone e collaborative relazioni tra Iran e Federazione Russa, relazioni ormai giunte sul piano dell’alleanza. Si aggiunga a ciò la visione strategica peculiarmente russa ed il suo interesse a tenere l’Iran distante dall’Occidente, sia per mantenere un alleato sia per poter essere esportatore privilegiato di idrocarburi verso l’Europa.

La Turchia è distante da questa visione. È membro storico della NATO e parte integrante della strategia americana del Vicino Oriente, anche quando essa afferma il contrario.

 

 

Il mondo turco e la Turchia

Popoli di lingua ed antica cultura turca ed altaica sono presenti nella storia europea dai tempi degli Unni, dei Peceneghi, dei Kazari, dei Mongoli, fino ai moderni tempi sovietici passando per l’Impero Ottomano. La storia e la cultura dei popoli turchi è storia di multireligiosità, di un Islam che convive con sciamanismo, buddismo, manicheismo, zoroastrismo, nestorianesimo. È un mondo asiatico da sempre a contatto con l’Occidente si pensi ai Kazari e alla loro discendenza ebraica, ai Tatari della Russia ed ai movimenti progressisti e liberali nati presso di loro. Appoggiando i Fratelli Musulmani e il settarismo islamista vicino alle petromonarchie del Golfo, la Turchia di Erdogan rimane un concentrato di contraddizioni: è attore autonomo o meno? Nell’asse politico che lega gli interessi di USA, Arabia Saudita, Turchia e Israele, la Turchia erdoganista è il giocatore creativo e dinamico di una partita di cui non scrive le regole e in una squadra di cui non è il capitano. Una partita difficile da vincere: i popoli turchi raramente sono stati punta di lancia di un islamismo fanatico, gretto e bigotto. I tentativi di cancellazione del kemalismo saranno forse per Erdogan un rischio troppo arduo da assumere in un fronte interno in cui la crescita economica è aggredita da un’altissima inflazione e dall’assenza di materie prime mentre sul fronte esterno pesano l’ostilità dei confinanti e il regresso degli islamisti in Egitto.

Concentriamoci dunque su due attori autonomi, su due giocatori ben più liberi della partita eurasiatica: Russia e Iran, aree a contatto diretto col “mondo turco” centroasiatico diverso da quello anatolico. Non tutto il mondo turco è Turchia e non tutto il mondo turco vive le medesime vicende geopolitiche, con buona pace dei nazionalisti panturchi, che pure hanno scritto pagine importanti nelle rivolte antisovietiche dei Basmachi, nel kemalismo, persino nella strategia panturanica del Giappone o dell’Ungheria.

 

 

La Russia e la “sintesi putiniana”

Il più orientale dei paesi occidentali oppure un oriente con alcune caratteristiche occidentali? Le categorie rigide di “Est” e “Ovest”, funzionali prima al mantenimento dell’equilibrio del terrore durante la Guerra Fredda e oggi a quello dello “scontro di civiltà” da vincere combattendo il fondamentalismo sunnita o da evitare blandendolo e comprandolo – sempre a supporto della penetrazione USA – sono messe in crisi dalla civiltà russa. Il popolo russo e le prime entità statali russe nascono dall’incontro delle tribù slave con i coloni Variaghi (Vichingi scandinavi che scelsero la navigazione verso Est lungo i fiumi sarmatici). Vi attecchisce un cristianesimo orientale e contrapposto a quello di Roma, del quale Mosca diviene la culla e la protettrice dopo la caduta di Costantinopoli in mano turca. È un cristianesimo  conservatore, spesso arcaico, portatore di una propria mistica e di un proprio esoterismo, talvolta influenzato da correnti orientali (la rappresentazione di alcune divinità slave, fornite di molte braccia e teste, secondo alcuni denuncerebbe influenze asiatiche). Le steppe russe sono state il passaggio ad occidente di Sciti, Sarmati, Unni, Cazari; diventarono terra di conquista prima per i Mongoli e poi per i Russi stessi, anche con la “svolta ad occidente” impressa da Zar come Pietro il Grande. Infatti per la Russia l’Oriente non è mai stato “estero”. Governanti ed intellettuali russi si divisero tra occidentalisti e orientalisti. Il sentimento sempre prevalente fu la profonda coscienza russa della propria specificità, della propria autenticità culturale e spirituale. Lo “scisma di Avvakum” consumatosi all’interno dell’Ortodossia aprì la strada ad ulteriori spinte mistiche, sia nella religiosità popolare che in quella colta. Autori come Tolstoj, come Dostoevskij, identificarono nell’anima russa, nel suo legame con la propria terra, nella sua forma così tradizionale e “speciale” di Cristianesimo, il seme di un’energia pura di civiltà.

Il comunismo, movimento internazionalista per eccellenza, assunse nell’URSS molti caratteri del nazionalismo russo, già con uomini come Radek, ma soprattutto, dopo la morte di Lenin e  la  cacciata di Trockij, con l’avvento di Stalin. Durante la “Grande Guerra Patriottica” Stalin si rese autore di una riapertura verso l’Ortodossia, apertura e di fatto alleanza nazionale che prosegue in modo molto più energico nel Partito Comunista attuale guidato da Zjuganov. Una vena di misticismo attraversò il bolscevismo: non è questa la sede per discuterne, ma il fenomeno merita almeno una citazione a ricordo di questa specificità che mai abbandona la storia del Paese. Sta di fatto che il patriottismo sovietico e di tutti i movimenti comunisti collegati – patriottismo come energia della rottura delle catene imposte dall’imperialismo USA-NATO – non fu un fenomeno nuovo, anzi, fu la prosecuzione di uno spirito di autocoscienza che accompagna ancora la Russia di Putin. La “Sintesi putiniana” assume anche un carattere culturale.

Questa brevissima introduzione a carattere culturale e storico è imprescindibile per capire la geopolitica della Russia, sia quella sovietica sia quella attuale. Il cammino eurasiatico della Russia è connaturato alla sua storia, alla sua cultura, alla sua spiritualità. La “Sintesi putiniana” si basa sul recupero della memoria della potenza sovietica e sull’autocoscienza di un ruolo russo nella geopolitica mondiale.

Tre sono le parole chiave che ci servono per capire la geopolitica della Russia di Putin: Autocoscienza, Occidente, Oriente. Autocoscienza di una specificità culturale della Russia. La Russia non è Europa – non solo – non è Asia – non è solo Asia – ma è la Nazione (o meglio, l’insieme di nazioni) per eccellenza cuore dell’Eurasia. Se l’obiettivo dell’Occidente è stato ed è lo smembramento dell’URSS-Russia al fine di eliminare un avversario dalla cartina geopolitica del pianeta, la visione di Putin propone una Russia attiva politicamente, militarmente ed economicamente dinamica. Il primo passo è il recupero della fierezza della specificità culturale della Russia: l’Ortodossia, il senso di comunità che si esprime attraverso un forte statalismo, il dialogo privilegiato con l’Oriente Arabo, Persiano, Indiano nonché una rivalutazione dell’eredità positiva dell’URSS – periodo sottratto alla damnatio memoriae antirussa voluta dall’Occidente ed assolta da El’cin e dai filooccidentali. La seconda parola chiave è Occidente. La Russia è cristiana ed ortodossa: c’è un occidente slavo con cui mantenere – come con la Serbia – o recuperare – come con l’Ucraina – un rapporto profondo. C’è un Occidente potenzialmente ostile con cui dialogare in posizione di forza grazie alla strategia degli idrocarburi: l’Europa non può permettersi una politica di estrazione di shale-gas come gli USA e ha un ruolo secondario nel Medio Oriente (nonché nullo nelle relazioni con l’Iran grazie all’arrendevolezza verso le interessate decisioni americane ed israeliane); l’Europa dipende quindi dagli idrocarburi russi. Nel medio-lungo periodo la Russia punta sulla tecnologia (investimenti nel ritorno nello spazio e negli armamenti nonché nelle nanotecnologie e nel digitale), sul potere militare e sul recupero dell’equilibrio demografico e sociale. Oriente è la terza parola chiave. La Russia è tornata in Asia Centrale, regione dalla quale politicamente ed economicamente non era mai uscita del tutto, integrando le economie locali con la propria e giocando un ruolo stabilizzatore. La Russia è nel Caucaso, la Russia mantiene una relazione privilegiata con Iran e Siria, con Curdi e Palestinesi, la Russia reimposta le proprie relazioni con la Cina su un piano di competizione ma di tutela dei comuni interessi.

La Russia moderna estrinseca queste tre tendenze non solo grazie alla SCO – Shanghai Cooperation Organisation che mette attorno al tavolo le principali potenze continentali dell’Asia, ma giocando il ruolo di guida dell’Unione Eurasiatica (Russia, Bielorussia, Kazakistan con l’ingresso “in progress” di Kirgizistan e Tagikistan e il partenariato con l’Ucraina), unione economica e doganale oltre che fortemente politica. Il vantaggio della Russia è di essere sempre stata sia Oriente che Occidente, di aver sempre avuto con i popoli asiatici una relazione improntata all’opposizione all’ imperialismo della NATO. Il vantaggio russo è nella propria Storia: la Russia è gia Eurasia ed è un paese in cui vi è un forte sentimento nazionalista – nazionalisti e comunisti manifestano sempre più spesso insieme sottraendosi l’un l’altro specifiche tematiche politiche. Nel 1989 l’Occidente commise l’errore di pensare di poter escludere dalla Storia la Russia come potenza.

 

 

Il mondo iranico

Includere i popoli iranici tra i popoli cerniera dell’Eurasia può apparire a prima vista una forzatura. In Europa dai tempi di Erodoto Persia significa Oriente, Oriente come contrapposizione, Oriente come satrapia, Oriente come altro da noi; eppure vi sono popolazioni iraniche da sempre a cavallo tra Oriente ed Occidente: gli Sciti già descritti da Erodoto stesso, i Sarmati, gli Alani, gli Osseti, i Curdi. Il cuore dello spazio iranico è il mondo persiano: l’Iran, l’Afghanistan, il Tagikistan. I Tagiki (stanziati in Tagikistan, in Afghanistan e in Uzbekistan nella regione di Samarcanda) sono tra gli ultimi discendenti degli iranofoni dell’Asia Centrale, come gli antichi Sogdiani, inventori dell’alfabeto che divenne scrittura dell’Impero mongolo.

Con l’Impero sassanide il persiano ritorna lingua iranica di cultura e di politica; con l’islamizzazione e la turchizzazione dell’Asia Centrale il persiano diviene la lingua iranica per eccellenza. Inizia il periodo islamico della persanofonia, che porterà questa lingua ad influenzare tutto il mondo turco ed indiano. Il persiano sarà lingua di corte dell’Impero Moghul. Oggi la Repubblica Islamica dell’Iran investe una certa carica politica nella tutela della lingua. Tutto il mondo persiano parla una lingua unica e regolata da un’Accademia con rappresentanti tagiki, afghani oltre che iraniani. Un’intera area dell’Asia Centrale condivide un idioma; l’area di prestigio del persiano si estende però ben oltre, fino a raggiungere il Pakistan. Citazione meritano gli altri popoli iranici, come i Pashtun che tanto peso hanno nelle vicende afghane o i Beluci, da sempre in cerca di una loro autonomia.

Oltre all’idioma, il mito dell’origine ariana a mantenere un certo prestigio: non si deve scordare che il nome Iran indica la Sede degli Ariani (Aryanem Vaejo). Nello spirito dei popoli persanofoni questa idea convive armonicamente con la fede islamica. Se in Afghanistan l’Islam è in buona parte sunnita – tranne etnie come gli Hazara, sciiti e persanofoni – l’Islam iraniano è sciita: la Persia evidenzia la propria specificità anche nella variante islamica da essa professata. Il Persiano è orientale per l’occidentale mentre per l’orientale resta il portatore di una cultura vasta e profondamente originale. Perfino la dinastia dei Pahlavi, che diede alla Persia il nome di Iran, si richiamò agli antichi sovrani achemenidi che portarono il mondo persiano sulle soglie dell’Europa. La riscossa nazionale che non riuscì a Mossadegh riuscì al clero sciita, forte del radicamento tra il popolo e la piccola borghesia del bazar. L’economia ed il petrolio furono nazionalizzati e statalizzati.

La coscienza storica del popolo iraniano è quella di un popolo che ha sempre giocato un ruolo chiave nel mondo mediorientale. Oggi la partita del nucleare coalizza sul fronte interno “laici” e religiosi, riformatori e nazionalisti, così come la partita della profondità strategica iraniana in Iraq e Siria, Afghanistan e Tagikistan, aree che l’Iran considera con orgoglio parte della Grande Persia. L’Iran concepisce queste vicende strategiche come cruciali per la sopravvivenza di sé come potenza e in definitiva per la propria sopravvivenza nel contesto geopolitico. O l’Iran è forte nello “spazio persiano” e nel Grande Medio Oriente, o rischia di non essere più al centro di un’area che è crocevia di tutti gli interessi geopolitici mondiali.

 

 

Conclusioni

Le aree russa, turca e persiana svolgono ciascuna un ruolo chiave nel contesto eurasiatico: sono, insieme col popolo arabo, le tre aree-cerniera del continente eurasiatico. Definitivamente tramontata la fase storica dell’eurocentrismo, l’Europa può trasformarsi in una grande Svizzera in cui i vari cantoni si accapigliano tra loro, ma si muovono concordemente a traino degli USA  e della NATO, o può attivamente inserire la propria specificità nello spazio geopolitico dell’Eurasia, riscoprendo una relazione costruttiva coi popoli della Russia, del mondo turco e dell’Iran.


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