3 anni di vita sono il tempo concesso all’Europa in stato attuale. Questa durata è stata pattuita per il fondo di 750 miliardi di euro creato per salvare le economie europee messe in pericolo dall’eventuale insolvenza. All’estinzione di questo periodo l’Unione Europea a due alternative: trasformarsi in una realtà statale o chiudere.

L’Europa di oggi non è altro che un meccanismo di trasferimento di denaro dai membri ricchi ai meno ricchi esteso sul mercato comune. Questo sistema ha funzionato alla perfezione dopo il crollo del “blocco socialista” con l’espansione economica dei paesi sviluppati sui mercati nuovi. Adesso sembra che i vantaggi di questo periodo si siano esauriti e l’Unione sta diventando troppo onerosa.

Questo non vuol dire che il livello di prestazione dell’UE non può essere migliorato. L’Europa può trarre i vantaggi enormi da un’ulteriore integrazione. Per esempio unificazione fiscale può risolvere i problemi di evasione e di riciclaggio, aumentando cosi le risorse disponibili ai paesi europei. Cessione di alcune funzioni statali a favore dell’Europa aiuterebbe a risparmiare i soldi, riducendo la burocrazia.

Però quest’integrazione non può essere completata in assenza di volontà esercitata da una classe politica europea. Per adesso nessun partito si è preso carico di portare al termine questa missine. Solo i politici di Seria B (i vari Solana) entrano a far parte della classe dirigente europea. Non è casuale che  una sconosciuta Catherine Ahton è stata preferita a Massimo D’Alema per coprire la carica di “Alto rappresentante per la politica estera e di difesa” dell’Unione Europea.

In assenza di volontà comune, la classe politica di uno degli stati membri potrebbe esercitare questo ruolo. Quella francese o italiana non sembrano all’altezza della missione: oltre alla corruzione e alla situazione economica basta considerare l’aspetto morale dei loro leader. I britannici danno la priorità ai propri interessi. Quindi l’unica classe politica che potrebbe essere considerata adatta a questa mansione è quella tedesca – per esperienza storica, spalle larghe (economicamente), trasparenza e efficienza almeno rispetto alle altre.

Non essendo in grado di guidare l’Europa, i francesi hanno condotto la crociata antitedesca (“Drang nach?” del 21-05-10). Parigi è stata promotrice diel salvataggio economico dell’Europa senza vincoli di nessun genere. (Il governo francese negli ultimi 30 anni non è stato in grado di produrre un budget bilanciato). Berlino che cercava di impostare il discorso di integrazione dell’UE ,rafforzandolo con alcune misure drastiche, è stato fermato con “usciamo dall’Euro” pronunciato da Sarkozy,  alla De Gaulle però con un tono britannico.

Ma la situazione di “né guerra, né pace” rappresenta un pericolo ancora più grave per la sopravvivenza dell’UE. L’unico modo in cui questa può tornare allo stato precedente la crisi è se l’economia di nuovo cominciasse a fiorire. Altrimenti c’è il rischio che la situazione greca si ripeta nella più larga scala dopo la scadenza di 3 anni. L’attuale stato di indebitamento rispetto al Prodotto Interno Lordo (PIL) dei paesi europei è molto preoccupante (146% in Grecia e 82% in Germania), soprattutto se il PIL non cresce e quindi i proventi non aumentano.

Se la crisi si protrae ci saranno troppi motivi per sciogliere l’attuale UE. Sin dagli anni 1990 l’Europa era concepita da molti (sud europeo, nuovi arrivati) come un mezzo di ridistribuzione del “benessere occidentale”. Senza questa torta si scoprono tanti svantaggi dell’UE. La burocrazia europea viene percepita non solo come parassita, ma anche come “succhia sangue” – con la crisi, le multe della Commissione sono solo aumentate. Anche i tagli del budget, con i pesanti costi sociali sono stati ordinati dall’UE. Per mitigare le conseguenze della crisi la Banca centrale europea è stata spinta a ricomprare una parte dei debiti dei paesi europei al rischio di insolvenza. Qualunque sia la modalità adoperata dalla BCE , il risultato può essere molto grave: o ulteriore crescita della tassa di indebitamento dei paesi membri, o aumento dell’inflazione. L’ultima potrebbe essere devastante per la classe media europea già in esaurimento. A questi problemi di natura economica si attaccheranno anche quelli politici. C’è il rischio sempre più grave di crescita dei vari nazionalismi sia in paesi più sviluppati economicamente, sia in quelli meno.

I colori dell’apocalisse che segnavano la fine dell’Unione Sovietica (un grande deficit, inflazione, blocco della crescita economica, un duro colpo contro la classe media, vari nazionalismi e contrasti regionali) non sono molto diversi da quelli dell’attuale Unione Europea. E poi anche nell’URSS negli ultimi anni di vita erano in pochi a credere che il “sick man of Europe” sarebbe deceduto in cosi breve tempo.

Ernst Sultanov è redattore di Eurasia


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