La situazione del mondo arabo scossa dalle rivolte popolari rischia di culminare nella disintegrazione di taluni Stati e nel loro frazionamento in minuscole realtà. Uno scenario simile è stato previsto allo stesso modo per la Russia, ma tale scenario non ha alcuna possibilità di diventare reale[1].

Dimitri Medvedev, Vladikavkaz, Ossezia del Nord, 22 febbraio 2011.

Durante lo scorso decennio, una parte dei paesi dell’ex mondo sovietico, (Europa centrale e Asia centrale) è stato disintegrato da un’ondata di rivoluzioni. Queste rivoluzioni, o almeno quelle il cui corso è già concluso, hanno introdotto dei cambiamenti di potere e quindi d’orientamento politico in seno agli stati in questione. Tali cambiamenti di regime si sono tutti svolti secondo identici scenari, non violenti, e presentati dal main-stream mediatico come rivoluzioni democratiche, provocate da una gioventù avida di libertà e che intende far vacillare regimi politici cripto-sovietici, debolmente democratici e corrotti. Queste “rivoluzioni colorate[2]” o “rivoluzioni arancioni” (dal nome della rivoluzione in Ucraina), ci sono state presentate in un certo senso come complementari e conseguenti alle “rivoluzioni di velluto[3]” che hanno segnato l’inizio dell’emancipazione delle nazioni dell’Europa dell’Est dal giogo sovietico. Pertanto, come vedremo, questi cambiamenti politici non sono frutto del caso, né la conseguenza della volontà politica di un’opposizione democratica. Essi sono indiscutibilmente delle operazioni geostrategiche pianificate, organizzate dall’esterno dei paesi coinvolti.

Battaglia per l’Eurasia

Il 20° secolo ha visto il rimpiazzo del dominio inglese a causa della dominazione americana. Tale rimpiazzo di una potenza marittima da parte di un’altra non modifica l’approccio di questi stati verso il mondo, né tantomeno verso il continente. La necessità di ogni potenza dominante (Inghilterra del 19° secolo e America del 20°) di affermare la propria presenza nel cuore dell’Eurasia è essenziale e passa obbligatoriamente, lo vedremo, per un reflusso dell’influenza russa in questa zona, che corrisponde pertanto all’area straniera più prossima. Questa teoria dello sfondamento in Eurasia è un elemento essenziale da valutare per chi vuole comprendere la relazione dell’America con la Russia, come era stato durante il secolo precedente quella della Russia con l’Inghilterra, in seno al grande gioco[4] nell’Asia centrale. In effetti queste due potenze obbediscono alle medesime leggi geopolitiche e sottostanno ai medesimi limiti geografici. Il carattere insulare di entrambi gli stati fa che la loro volontà di dominazione mondiale passi per due restrizioni obbligatorie: in primo luogo il predominio dei mercati (da cui la loro potenza marittima) ma anche l’obbligo di non restare isolati, di ingerire nei centri geografici del mondo, là dove si trova concentrato il grosso della popolazione e delle risorse energetiche ma allo stesso tempo là dove si decide la Storia. Questo obiettivo deriva da una dottrina geopolitica anglosassone, che definisce i rapporti tra potenze mondiali come un’opposizione tra le potenze dette marittime (Inghilterra, America), e quelle definite continentali (Germania, Russia, Cina). Tale teoria è in particolare quella presentata da uno dei padri della geopolitica moderna, Halford Mackinder (1861-1947), che ha definito l’esistenza di un “cuore della Terra” (Heartland) situato nel centro dell’Eurasia, in una zona che copre l’attuale Siberia e il Caucaso. Mackinder teme (la sua teoria è precedente alla seconda guerra mondiale) che questa zona del mondo possa organizzarsi e divenire totalmente sovrana, escludendo così l’America (situata in un’isola decentrata) dalla gestione della politica mondiale. Il maggiore pericolo secondo Mackinder sarebbe stato un’alleanza dei due principali imperi continentali che sono la Germania e la Russia. Egli auspica dunque la costituzione di un fronte di stati in grado di impedire a una coalizione siffatta di venire alla luce. Nel 1945, l’URSS è vista per la sua dimensione e influenza come la principale potenza in grado di unificare l’Heartland. Essa è quindi diventata per forza di cose l’avversario principale dell’America.

Una seconda teoria sviluppata da Nicholas Spykman (1893-1943) considera che la zona essenziale non è tanto l’Heartland quanto la regione situata tra quest’ultima e le coste. Questa seconda teoria, che completa la prima, mostra l’importanza di impedire alla principale potenza continentale (l’URSS un tempo e dal 1991 la Russia) di ottenere uno sbocco sul mare. Per questo fine si è dovuto ugualmente formare un fronte di stati, ma questa volta atto alla creazione di un tampone tra l’URSS e i mari adiacenti (mare del Nord, mar Caspio, mar Nero, mar Mediterraneo). Questo contenimento continua ancora oggi secondo la storica Natalia Narochnitskaya e passa per “l’esclusione dal Nord della Russia dall’ellisse energetico[5] mondiale, zona che comprende la penisola araba, l’Iraq, l’Iran, il golfo persico, il Nord del Caucaso (Caucaso Russo) e l’Afghanistan. Concretamente si tratta di tagliare alla Russia l’accesso agli stretti, ai mari, agli oceani così come alle zone cariche di risorse energetiche, e quindi respingerla verso il Nord e verso l’Est, lontano dal Mediterraneo, dal mar Nero, dal mar Caspio. Ci sono quindi una prima linea di penetrazione che va dai Balcani all’Ucraina per il controllo del mar Egeo e del mar Nero, e una seconda linea che dall’Egitto va fino all’Afghanistan per il controllo del mar Rosso, del golfo persico, e del mar Caspio. Non c’è niente di nuovo in questa strategia, se non la corsa al petrolio che l’ha rilanciata”. Si tratta ancora una volta di separare la Russia dall’Europa occidentale, al fine di evitare le alleanze continentali, in particolare tra le due potenze che sono all’alba del 21° secolo la Russia in ascesa e la Germaina, prima potenza europea.

Alla base delle rivoluzioni colorate: il progetto di smembramento della Russia

La volontà di indebolire e smembrare la Russia in una moltitudine di stati è antica. All’epoca del grande gioco[6] nel 19° secolo, durante la lotta che oppose le potenze russa e britannica nell’Asia centrale e nel Caucaso, l’Inghilterra aveva ben compreso l’importanza e dunque la minaccia nei propri confronti delle recenti conquiste russe ai danni dell’impero Ottomano. Queste conquiste avevano aperto alla Russia la via per il Mediterraneo e per il mar Nero. Dal 1835 l’Inghilterra tenta quindi di destabilizzare la Russia in particolare con la consegna di armi al Caucaso (caso della goletta britannica Vexen[7]), o ancora con la creazione dei comitati Tchétchènes o Tcherkesses durante il congresso di Parigi del 1856, dopo la guerra di Crimea[8].

Il fronte caucasico sarà, nel corso del 20° e del 21° secolo, una sorta di zona debole tramite la quale l’Inghilterra e poi l’America tenteranno di destabilizzare la Russia. Agli albori del 20° secolo in effetti alcuni responsabili delle repubbliche musulmane di Russia, principalmente in Caucaso e nell’Asia centrale, tenteranno di organizzare la battaglia per l’indipendenza. Due linee si oppongono, i sostenitori di un nazionalismo territoriale e i sostenitori di un’unione panturca (essendo il ruolo degli intellettuali turchi che auspicano una riunificazione panturca relativamente importante all’interno di questi movimenti). Lo scopo degli “indipendentisti” diventa rapidamente quello di attirare le grazie delle democrazie occidentali e a questo titolo viene lanciato un “appello” al congresso di Versailles, con lo scopo di sostenere l’emergenza delle nazioni del Caucaso. I bolscevichi non lasciano molto spazio ad alcuna sorta di ambizione indipendentista, dal 1922 i principali responsabili politici indipendentisti saranno costretti all’esilio. Una prima ondata emigra verso Istanbul, cosa che discrediterà il movimento e lo confonderà con l’espansionismo turco, e una seconda ondata approda in Europa, soprattutto in Francia e Germania. La Francia a quest’epoca è già considerata dal Bachkir Zeki Velidov il “centro di combattimento turco-musulmano” contro la Russia. È Józef Piłsudski[9], primo ministro polacco, che forgerà il termine Prometeismo[10] per definire questo movimento. Rapidamente riviste prometeiste furono create in Francia, Germania, Inghilterra, Cecoslovacchia, Polonia, Turchia e ancora in Romania. Collo scoppio della seconda guerra mondiale e dopo il patto germano-sovietico i prometeisti si schierano, dalla costa dell’Inghilterra e dalla Polonia, contro la Germania e l’URSS. Il movimento “prometeista” trarrà beneficio da forti sostegni finanziari in Polonia e sostegni politici in Francia, tramite ad esempio il comitato Francia-oriente, sotto il patrocinio del presidente del senato Paul Doumer. Il principale progetto è stato la creazione di una federazione del Caucaso sul modello elvetico. Dopo la perdita della Polonia, il movimento fu imbrigliato dalle strategie naziste che prevedevano il frazionamento dell’URSS in piccole entità, più facili da controllare e sconfiggere militarmente. I Tedeschi creeranno proprio in questa ottica le legioni SS nel Turkestan russo così come delle divisioni nel Caucaso musulmano. In seguito alla vittoria dell’URSS e il riconoscimento delle sue frontiere da parte della SDN i prometeisti si rivolgono all’America con la creazione di una “lega prometeista della Carta Atlantica”. Dopo il sostegno turco-musulmano, quello cattolico e anticomunista, e infine quello nazista, il movimento troverà un appoggio inatteso nella CIA che ne farà uno strumento di lotta contro l’URSS in piena guerra fredda. La grande confusione ideologica che spicca da questo evolversi di fatti porterà allo sviluppo di una linea “prometeista” che si definirà per forza di cose come antirussa. Globalmente, si può parlare di una sorta di fronte Arancio-Verde, coalizione niente affatto eteroclita tra gli interessi occidentali e quelli islamico-indipendentisti del Caucaso, contro la Russia.

Dottrine geopolitiche, non violenza e ONG umanitarie

Dopo il secondo conflitto mondiale, l’Europa è come già detto divisa in due parti dalla cortina di ferro, l’URSS, considerata come principale potenza capace di dominare l’Eurasia, e le leghe prometeiste che auspicando la sua implosione in diversi stati sono sostenute dalla CIA. Gli strateghi statunitensi vogliono quindi applicare alla lettera gli insegnamenti geopolitici dei propri ideologi tentando di accerchiare la Russia con un reticolo di stati tampone permettendo loro di avanzare in Eurasia. Tale avanzamento sarà messo in atto in un modo completamente innovativo: organizzare una contestazione ai regimi di stampo non violento e apparentemente spontanea, per mezzo di un reticolo perfettamente organizzato. A tal fine, una serie di associazioni e ONG verranno create. Presentate come portabandiera della democrazia, esse sono soprattutto gli emissari politici dell’America nel seno degli stati giudicati poco affidabili e non democratici, vale a dire i paesi che non fanno parte dell’alleanza occidentale, generalmente appartenenti al gruppo dei non allineati. Il concetto non è dunque recente, risale agli anni 80, in piena guerra fredda. Si svilupperà in una costellazione di ONG che il governo Reagan finanzia per indebolire e contrastare l’influenza sovietica.

Le principali sono l’USAID[11], oltre che l’USIP[12], e ancora la NED[13], che è una scuola di quadri per il mondo intero, e che gestisce essa stessa le numerose associazioni liberali che promuovono i valori democratici. Nascono anche l’Institute for the Study of URSS e l’American Comitee for Liberation of Bolchevism[14], alle quali hanno contribuito leader prometeisti dopo il secondo conflitto mondiale. Si possono citare l’istituto Aspen[15], la Jamestown foundation[16] o ancora il comitato per i paesi del Caucaso[17], che ha organizzato, finanziato e sostenuto la Jihad contro i sovietici in Afghanistan. Questo comitato è un’emulazione di Freedomhouse[18], cuore del sistema, fondata nel 1941 per contrastare l’influenza nazista e che si trasformerà più tardi in direzione dell’anti sovietismo. La lista non potrebbe essere completa senza la Fondazione Héritage[19], fondata nel 1973, arma della dottrina Reagan antisovietica e oggi uno dei principali think-tanks conservatori americani. La rete Open Society[20] di Georges Soros, destinata a promuovere la libertà e la democrazia nel mondo postsovietico, tramite un certo numero di associazioni ad essa associate. E infine l’AEI[21], che è stato uno dei principali architetti della politica neoconservatrice dell’amministrazione Bush. L’AEI è sovente citato, insieme all’Heritage Foundation[22], come controparte del diritto della liberale think tank Brookings Institution[23].

L’Albert Einstein Institute[24] è un’organizzazione particolarmente peculiare, giacchè il suo fondatore Gene Sharp[25] è anche l’autore del libro From dictatorship to democracy, manuale veritiero  sull’azione non violenta e che sarà utilizzato dalla maggior parte delle organizzazioni di giovani finanziate da queste ONG per sovvertire i governi tenuti sotto osservazione. Gene Sharp ha politicizzato le tecniche d’azione non violenta nel contesto del rinnovamento della guerra fredda per preparare una eventuale resistenza in Europa nel caso di invasione dell’armata rossa. Questo filosofo relativamente poco conosciuto ha pubblicato tra il 1985 e il 2005 numerose opere su tali tecniche di resistenza non violenta. Dal 1987 ha fornito informazioni alla NATO. È importante notare che l’implicazione di Robert Helvey[26], un tempo responsabile della CIA, dagli anni 90 permetterà all’istituto di disporre di abbondanti finanziamenti dell’International Republican Institute (IRI), un think-tank vicino al partito repubblicano e inoltre uno dei quattro rami del National Endownment for Democracy (NED). Le teorie presentate sono da mettere in parallelo con le attività dell’ICNC[27] diretto da Peter Ackerman[28]. Quest’ultimo afferma la supremazia tattica dell’azione non violenta nel quadro globalizzato della società dell’informazione[29]. Sarà sempre lui a sviluppare l’idea di videogiochi con scenari basati sui teatri d’operazione reali o supposti (per il futuro) di tali rivoluzioni. Così le teorie di Sharp e Ackerman costituiscono le fondamenta del sistema della disinformazione globale e della guerra d’opinione, essenziale per scatenare le rivoluzioni non violente. Questo soft power incentrato sulla comunicazione via internet, sul giornalismo popolare e sui social network permette agevolmente la diffusione massiva di messaggi inverificabili che giocano sulla spontaneità. Tramite tali tecniche innovatrici e di soft power, la rivoluzione non violenta può essere quindi compresa in tutte le sue sfaccettature: la palesazione delle vie delle rivoluzioni colorate, l’utilizzo dei social network per destabilizzare gli stati o ancora la guerra d’informazione, o cyber-guerra, ugualmente non violenta. Si può affermare che pochi osservatori hanno realizzato l’importanza dei finanziamenti e l’ampiezza della portata di tutte queste organizzazioni, think tank e ONG. Allo stesso modo, pochi osservatori hanno compreso la loro origine comune in seno a un dispositivo unico, in una visione geopolitica.

Le rivoluzioni colorate ai confini della Russia

Dopo la caduta del muro di Berlino, la cortina di ferro si sposta verso Est. Il riflusso dell’influenza sovietica e in seguito della Russia porta a favorire indirettamente le mire geopolitiche atlantiste. L’estensione di NATO e Unione Europea sovrapposte crea una nuova divisione dell’Europa. Questa satellizzazione dei paesi dell’Est Europa da parte della NATO, ha fatto di una parte dell’Europa orientale una testa di ponte dell’America per attaccare l’Eurasia[30], secondo l’esperto Italiano di geopolitica Tiberio Graziani. Nel settembre 1997 uno dei più influenti politologi americani, Zbigniew Brzezinski[31], ha pubblicato un articolo[32] sulla geopolitica dell’Eurasia e il mantenimento della leadership americana che passa secondo lui da un parcellamento della Russia in tre stati distinti raggruppati sotto il nome di “Confederazione Russa”. Brzezinski propone questo parcellamento con lo scopo di liberare la Siberia occidentale e la sua vicina orientale dalla morsa burocratica di Mosca, affermando nella sua opera principale[33] che così (e soprattutto) “la Russia sarà meno propensa a nutrire ambizioni imperialiste” e dunque a impedire l’imposizione del controllo dell’America in Eurasia. Allo stesso modo, nella sfera d’influenza russa e nelle vicinanze delle sue frontiere, taluni alleati tradizionali della Russia, refrattari all’estensione della NATO, hanno resistito anch’essi a questa natoizzazione. Questi stati, strategici sia sul piano politico che su quello geografico, saranno dunque i bersagli dei colpi di stato democratici che chiamiamo rivoluzioni colorate.

La Serbia nel 2000, le reti Soros, l’Open Society, Freedom House e la NED hanno organizzato grandi manifestazioni nei due turni delle presidenziali del 2000. Sostenuta dai nazionalisti (come sarà nel caso dell’Ucraina), la rivoluzione ha preso il nome di rivoluzione dei bulldozer[34] poiché migliaia di minatori hanno utilizzato dei bulldozer per prendere d’assalto la capitale e il parlamento, e questo senza attendere il risultato delle elezioni, cosa che dice molto sul carattere democratico di questa rivoluzione. Il nuovo governo nominerà un primo ministro che sarà in seguito assassinato per aver consegnato Slobodan Milosevic al Tribunale Penale Internazionale, dove quest’ultimo morirà prima di essere giudicato. Le truppe americane installeranno la base militare di Bondsteel[35] in Kosovo e renderanno definitivamente questa provincia serba uno stato indipendente che non è ancora oggi, 10 anni dopo, riconosciuto dalla maggioranza dei paesi membri dell’ONU. Nel 2010, nel momento in cui il paese tenta faticosamente di negoziare l’adesione all’UE, la situazione economica è catastrofica e il potere indebolito non può pensare di vincere le prossime elezioni.

La Georgia nel 2003, secondo lo schema classico, l’opposizione denuncia le frodi elettorali dopo le elezioni legislative e scende in piazza. I manifestanti costringono il presidente Edouard Chevardnadze a fuggire prima ancora di prendere il potere. È la rivoluzione delle rose[36]. Il suo successore Mikhail Sakashvili apre il paese agli interessi economici americani e occidentali, e si muove in direzione dell’entrata nella NATO e nell’UE. Naturalmente rompe con il vicino russo. 5 anni più tardi, nell’Agosto 2008, Sakashvili bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud, massacrando numerosi osseti, di cui la maggior parte hanno la doppia nazionalità russa e georgiana, cosicché vengono mandati dall’ONU dei soldati russi per il mantenimento della pace. Mosca controbatte all’offensiva militare georgiana, che era stata appoggiata da strutture americane in Ucraina, e la costringe ad arretrare. Bilancio: il paese è devastato. Le elezioni del 2008, avendo visto la rielezione del presidente Sakashvili, sono state assai critiche perché giudicate al limite della democraticità.

L’Ucraina nel 2004: L’elezione presidenziale in Ucraina oppone Victor Ianoukovitch a Victor Iouchenko e Ioulia Timoshenko, questi ultimi con il sostegno dell’Ovest e della comunità internazionale. Dalla chiusura degli scrutini, vengono pubblicati risultati divergenti e migliaia di Ucraini si raggruppano nella piazza centrale di Kiev dove Viktor Iouchenko darà inizio alla resistenza non violenta contro la dittatura. L’OCSE e Freedom House condanneranno le falsificazioni elettorali mentre Vladimir Putin e Loukachenko riconosceranno la vittoria del candidato designato vincitore dalla commissione elettorale ucraina, Victor Ianoukovitch. Dopo 15 giorni di manifestazioni abilmente organizzate riunendo i movimenti liberali e l’estrema destra, sotto una forte pressione mediatica (OCSE, NATO, Consiglio  d’Europa, Parlamento europeo..) il risultato delle elezioni sarà infine annullato e verrà organizzata una terza elezione che vedrà la vittoria del candidato dell’Ovest, Viktor Iouchenko. È la rivoluzione arancione[37]. Dopo un mandato, il paese è in rovina, il presidente Iouchenko non sarà più rieletto nel 2009, ottenendo meno del 5% dei voti. Senza grande sorpresa, è Victor Ianoukovitch che prende il suo posto, grazie all’influenza della rivoluzione arancione e degli occidentali, l’ultra nazionalista Ioulia Timoshenko è accusata di corruzione.

Kirghizstan 2005: l’opposizione kirghisa contesta il risultato delle elezioni legislative e porta a Bichkek i manifestanti del Sud del paese che rovesciano il presidente Askar Akaïev. È la rivoluzione dei tulipani[38]. L’Assemblea nazionale elegge come presidente il candidato pro americano Kourmanbek Bakiev che occuperà contemporaneamente il posto di presidente e primo ministro. Stabilizzatasi la situazione, Bakaiev vende le poche risorse del paese a società statunitensi e installa una base militare USA a Manas. Accusato di corruzione e di aver lasciato aggravare la situazione economica, Bakiev è scacciato dal potere da una nuova rivoluzione popolare nel 2010[39].

Modus operandi del colpo di stato democratico

La logistica della comunicazione e dell’organizzazione delle manifestazioni che sono in certi casi durate alcune settimane, nel freddo glaciale dell’inverno ucraino, non ha lasciato nulla al caso. La calma e la rapidità della presa del parlamento, in un paese tanto instabile e violento com’è la Georgia, o il ruolo di una ONG vicina all’opposizione, la CESID[40], che contesterà i risultati delle elezioni dopo la loro proclamazione in Serbia, infine l’innescamento di manifestazioni coordinate in piazza, non sono neanch’essi dei rischi. In effetti questi avvenimenti sono il risultato di realtà permanenti formate alle tecniche dell’agitazione, e raggruppate in seno a diversi movimenti. Tali professionalità veramente rivoluzionarie sono finalizzate al rovesciamento del potere, spostandosi di stato in stato e di rivoluzione in rivoluzione per conto delle ONG, e quindi da interessi americani in Europa. Il punto comune di queste rivoluzioni è stata innanzitutto l’apparizione in ogni paese di movimenti giovanili assolutamente simili per il retroscena che per la forma, e che hanno applicato il medesimo metodo rivoluzionario. La prima rivoluzione colorata che si è svolta in Serbia nel 2000 è stata in gran parte organizzata da un movimento giovanile chiamato Otpor[41], vero motore delle contestazioni studentesche. Alexander Maric, uno dei quadri di Otpor, riconoscerà più tardi “i suoi legami diretti con alcuni membri del dipartimento di stato e della casa bianca e inoltre che il grosso dei finanziamenti proveniva dall’USAID, da Freedom House e dall’Open Society”[42]. Maric preciserà che “seminari di fomazione hanno avuto luogo a Budapest, Bucarest e in Bosnia nella primavera precedente agli avvenimenti”. Lì i militanti di Otpor hanno incontrato i responsabili dell’Albert Einstein Institute, così come i militanti del movimento polacco Solidarnosc[43]. La tecnica utilizzata, affermerà Maric, è direttamente ispirata alle tecniche d’azione non violente di Sharp e Ackerman, atte a: “discreditare il potere, incitare all’azione civica e alla manifestazione pacifica, il tutto supervisionato da un’associazione senza un esecutivo identificabile. […] Il movimento doveva inoltre presentarsi come apolitico e fare perno soprattutto sugli indecisi”[44]. Inoltre il gruppo doveva: “usare messaggi brevi, slogan, e i militanti dovevano essere scelti secondo la loro apparenza, per vendere l’immagine del movimento connotandolo di un aspetto romantico e libertario, così da ispirare le vocazioni”[45]. Infine il movimento poteva contare su un appoggio massivo del main-stream mediatico planetario, che si era assicurato di filtrare e selezionare le informazioni per poter presentare le manifestazioni come degli assembramenti spontanei di una gioventù che aspira alla libertà e alla democrazia, e che intende collaborare con la comunità internazionale.

Dopo la riuscita dell’operazione in Serbia, due quadri dell’Otpor, Aleksandar Maric e Stanko Lazendic saranno impiegati da Freedom House per fornire la propria conoscenza e la propria esperienza negli altri paesi sotto osservazione e apportare il loro sostegno alle rivoluzioni in Georgia nel 2003 e in Ucraina nel 2004. L’assistenza verterà tanto sulle tecniche di protesta non violenta che sulle negoziazioni con le autorità e ancora sulla logistica necessaria per tenere manifestazioni dalla durata di più settimane. Questo sarà in particolare il caso dell’Ucraina dove migliaia di tende e coperte sono messe a disposizione dei manifestanti per accamparsi nella piazza dell’indipendenza con un freddo glaciale. Durante l’occupazione della piazza vengono serviti dei pasti gratuiti. La segnaletica scelta per questi gruppi fratelli (i pugni tesi) lascia pochi dubbi sulla loro interdipendenza, sia che appartengano al gruppo ucraino Pora[46], al kirghiso Kelkel[47] o al georgiano Kmara[48]. Bisogna notare che nel numero dei paesi che non sono stati (ancora?) colpiti dalle rivoluzioni colorate, esistono già gruppi simili, per esempio sia in Bielorussia (Zubr[49]), che in Russia (Oborona[50]), che in Albania (Mjaft[51]), quest’ultimo paese essendo attualmente nella condizione di teatro di manifestazioni di cruciale importanza. Possiamo inoltre citare i movimenti uzbechi Bolga e Youkol, oltre che il movimento azero Jok. Costoro sono d’altronde i militanti del movimento georgiano Kmara che hanno accorpato i loro cugini russi di Oborona, gettando ulteriore benzina sul fuoco alle relazioni intrattenute dai due paesi. Quanto a Otpor, si è trasformato in un partito politico sebo nel 2003, mancando miseramente alle legislative dello stesso anno per confluire nel partito politico DS di Boris Tadic, l’attuale presidente. La maggior parte dei suoi membri si è riconvertita nei centri d’analisi politica locale come CANVAS e CNVR. Uno dei quadri, Ivan Marovic, dal 2003[52] ha cooperato con il già menzionato INCN e la compagnia York Zimmermann Inc., ed infine con una squadra di autori di giochi informatici (BreakAwat Ltd.) per l’elaborazione di un videogioco pubblicato nel 2005 (A Force More Powerfull. The Game of Nonviolent Strategy). Il gioco[53] si basa sulle differenti strategie e tattiche d’azione non violenta che sono state impiegate in tutto il mondo per rovesciare i «regimi dittatoriali» e i «nemici della democrazia e dei diritti dell’uomo», tra cui Milosevic. Così, il cerchio è chiuso e i collegamenti con le già citate teorie di Ackerman sullo sviluppo dei videogiochi ambientati in scenari reali, da cui far scaturire le rivoluzioni colorate, sono evidenti. Bisogna notare un’altra particolarità delle rivoluzioni colorate. Esse si fondano sulla restaurazione nazionale e l’anti imperialismo (russo o postsovietico, per slittamento semantico) e hanno visto la partecipazione attiva dei nazionalisti e di alcuni gruppi di estrema destra nei paesi coinvolti. Questo sarà in particolare il caso della Serbia e dell’Ucraina. Per questa ragione si è parlato di fronte arancio-bruno contro la Russia, a causa di una coalizione eteroclita che riunisce democratici pro-occidentali e movimenti di estrema destra, come i neo nazisti, apertamente anti russi. Tali alleanze si rafforzano oggi in Russia, dove una debole e parcellizzata opposizione liberale manifesta al fianco degli skinhead nazionalisti di sinistra, della fazione nazionale bolscevica, o dei principali movimenti di estrema destra.

Bilancio e futuro delle rivoluzioni colorate

Come abbiamo visto, l’obiettivo delle rivoluzioni colorate è di rafforzare la presenza americana (e quindi della NATO) nel cuore dell’Eurasia, intorno alla Russia, al fine di colpire gli obiettivi geostrategici e geopolitici teorizzati nel secolo scorso dagli strateghi geopolitici Mackinder e Spykman. È opportuno notare che costoro avevano visto bene, l’Eurasia si è rivelata come la zona più importante al mondo in termini di risorse energetiche, di popolazioni e di frontiere tra aree di civiltà. Certamente queste rivoluzioni presentano numerosi punti in comune, come il fatto di riguardare stati considerati strategici per ragioni geografiche o politiche (in quanto confinanti con la Russia) o ancora situati su corridoi energetici. Ma uno dei punti in comune delle rivoluzioni colorate è anche quello di tenere sotto controllo degli stati con regimi politici relativamente deboli o instabili. La Russia e la Bielorussia per esempio non sono state affatto scalfite da queste minacce, avendo notoriamente preso con rapidità le misure necessarie, essendo state le ONG vietate, e i mercenari della rivoluzione espulsi. La Russia ha d’altronde introdotto una novità, sviluppando un contro movimento giovanile su grande scala, quello dei Nashi[54], destinato a prevenire ogni tentativo di rivoluzione colorata in piazza poiché in grado di avere il sopravvento. Inoltre, sul territorio della federazione russa e in Bielorussia, le attività delle reti Soros e delle loro filiali sono state semplicemente vietate.

Per Karine-Ter-Sahakian[55], già nel 2008, i regimi nati da queste rivoluzioni colorate non avevano alcun futuro. Quest’ultima affermava che: “Il crollo delle rivoluzioni colorate nell’area postsovietica è assolutamente naturale, se non semplicemente inevitabile. La posta per la democrazia e il libero mercato, dei quali George Bush si riempiva la bocca con grande entusiasmo, si è palesata prematuramente”. Effettivamente, tali rivoluzioni colorate che hanno portato in gran parte nomi di fiori (rivoluzione dei tulipani, dei papaveri, delle rose) sono appassite. I casi dell’Ucraina e della Serbia sono emblematici dell’incapacità dei dirigenti messi al potere dalle rivoluzioni colorate di mantenere una stabilità economica minimale, e contemporaneamente aprire le loro economie agli interessi americani. Il movimento si è rivelato uno scacco per lo meno nel suo aspetto politico a lungo termine. La sua retorica e la sua tattica sono state perfettamente decriptate e decodificate. Contromisure efficaci sono state facilmente messe in atto e sperimentate in Russia e Bielorussia. Inoltre, è evidente che la crisi finanziaria ha diminuito i budget disponibili per le rivoluzioni colorate. Infine, la risposta russa, diplomatica e militare nell’agosto 2008. ha dimostrato che essa era pronta a opporsi a queste violazioni democratiche e a proteggere i suoi cittadini, anche al di fuori delle sue frontiere.

Ora, tutta l’energia intellettuale dissipata dai promotori delle rivoluzioni colorate nei diversi tentativi di destabilizzazione della Russia potrà utilmente essere impiegata, ad esempio, per misurare le conseguenze future della primavera araba poiché per il momento esse restano incalcolabili ma riguarderanno tanto l’Europa e la Russia quanto l’America.

*Alexandre Latsa, di nazionalità francese, diplomato in lingue slave, vive a Mosca. Si occupa principalmente di geopolitica della Russia.

Traduzione di Alessandro Parodi


[1] http://fr.rian.ru/politique/20110222/188688973.html
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzioni_colorate
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_di_velluto
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_gioco
[5] http://www.idc-europe.org/fr/showerInformation.asp?Identificateur=18
[6] http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_gioco
[7] Natalia Narochnitskaya, Que reste t-il de notre victoire, p 171
[8] Natalia Narochnitskaya, Que reste t-il de notre victoire, p 171
[9] http://it.wikipedia.org/wiki/J%C3%B3zef_Pi%C5%82sudski
[10] http://en.wikipedia.org/wiki/Prometheism
[11] http://en.wikipedia.org/wiki/United_States_Agency_for_International_Development
[12] http://fr.wikipedia.org/wiki/Institut_des_%C3%89tats-Unis_pour_la_paix
[13] http://fr.wikipedia.org/wiki/National_Endowment_for_Democracy
[14] http://en.wikipedia.org/wiki/American_Committee_for_the_Liberation_of_the_Peoples_of_Russia
[15] http://fr.wikipedia.org/wiki/Institut_Aspen
[16] http://en.wikipedia.org/wiki/The_Jamestown_Foundation
[17] http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=66&program=75
[18] http://www.freedomhouse.org/
[19] http://fr.wikipedia.org/wiki/Heritage_Foundation
[20] http://en.wikipedia.org/wiki/Open_Society_Institute
[21] http://fr.wikipedia.org/wiki/American_Enterprise_Institute
[22] http://fr.wikipedia.org/wiki/Heritage_Foundation
[23] http://fr.wikipedia.org/wiki/Brookings_Institution
[24] http://fr.wikipedia.org/wiki/Albert_Einstein_Institution
[25] http://fr.wikipedia.org/wiki/Gene_Sharp
[26] http://www.aforcemorepowerful.org/films/bdd/story/otpor/robert-helvey.php
[27] http://en.wikipedia.org/wiki/International_Center_on_Nonviolent_Conflict
[28] http://en.wikipedia.org/wiki/Peter_Ackerman
[29] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou
[30] http://www.geostrategie.com/1490/les-etats-unis-utilisent-l%E2%80%99europe-comme-tete-de-pont-pour-attaquer-l%E2%80%99eurasie
[31] http://it.wikipedia.org/wiki/Zbigniew_Brzezinski
[32] http://www.comw.org/pda/fulltext/9709brzezinski.html
[33] Le grand échiquier, p 56
[34] http://fr.wikipedia.org/wiki/5_octobre_2000_en_Serbie
[35] http://fr.wikipedia.org/wiki/Camp_Bondsteel
[36] http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volution_des_Roses
[37] http://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_arancione
[38] http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volution_des_Tulipes
[39] http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volution_kirghize_de_2010
[40] http://en.wikipedia.org/wiki/CeSID
[41] http://fr.wikipedia.org/wiki/Otpor
[42] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou, p. 147 et 148
[43] http://fr.wikipedia.org/wiki/Solidarno%C5%9B%C4%87
[44] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou, p. 149-150
[45] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou, p. 151
[46] http://fr.wikipedia.org/wiki/Pora
[47] http://en.wikipedia.org/wiki/KelKel
[48] http://fr.wikipedia.org/wiki/Kmara
[49] http://fr.wikipedia.org/wiki/Zubr_%28Bi%C3%A9lorussie%29
[50] http://www.oborona.org/
[51] http://en.wikipedia.org/wiki/Mjaft
[52] http://socio-anthropologie.revues.org/index1248.html
[53] http://www.aforcemorepowerful.org/game/index.php#about
[54] http://nashi.su/
[55] http://eafjd.eu/spip.php?breve1692


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