In una recente intervista rilasciata alla radio pubblica nazionale, Mihály Varga, nominato dal governo ungherese capo negoziatore con le istituzioni internazionali, ha dichiarato che l’Ungheria e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) concordano sulle misure per stabilizzare l’economia ungherese, ma differiscono su quelle da usare per rilanciare la crescita (1).

Questi commenti giungono oggi dopo un periodo turbolento,  durante il quale l’Ungheria è stata esposta alla speculazione della finanza mondiale. Nel primo decennio del 2000 l’Ungheria poteva vantare una solida e costante crescita economica, almeno fino ai primi sentori della crisi economica del 2008.  In quell’anno il Partito Socialista Ungherese era al governo e doveva gestire sia la crisi economica, sia le violente critiche dell’opinione pubblica in seguito a una dichiarazione del primo ministro Ferenc Gyurcsány. Nel 2006, subito dopo aver vinto le elezioni politiche, il primo ministro socialista aveva dichiarato a un’assemblea del suo partito che egli aveva mentito in pubblico “mattina, sera e notte”(2) sulla salute delle finanze pubbliche per assicurarsi la rielezione in quell’anno.

 

 

Le elezioni del 2010 sanciscono la vittoria della coalizione di centro-destra

Di conseguenza, nel 2010, in occasione della successiva tornata elettorale il partito di centro destra, Alleanza dei giovani democratici (Fidesz), non ebbe molte difficoltà a riportare una schiacciante vittoria elettorale contro i socialisti (3). Alleati con il Partito Popolare Cristiano Democratico – KDNP, raggiunsero il controllo di due terzi dei seggi in parlamento, la soglia necessaria per apportare modifiche alla carta costituzionale senza dover scendere a patti con le opposizioni. I socialisti arrivarono secondi in parlamento, davanti al Movimento per un’Ungheria migliore – Jobbik, partito nazionalista di estrema destra che recentemente ha suscitato molte critiche, anche a livello internazionale, per le sue proposte politiche sulle minoranze, in particolare quella rom.

Le elezioni del 2010 riportarono al centro della scena politica l’attuale primo ministro ungherese, Viktor Orbán. Quest’ultimo fu uno dei fondatori del partito Fidesz, che in origine era nato come partito di protesta contro il regime comunista, e si fece conoscere al pubblico in occasione di un suo discorso il 16 giugno 1989 nella Piazza degli Eroi a Budapest, nel quale domandò libere elezioni e il ritiro delle truppe sovietiche dal suolo ungherese. Iniziò da quel momento una scalata ai vertici del partito che lo portarono prima alla presidenza di Fidesz e successivamente a governare il paese tra il 1998 ed il 2002. Oggi è al suo secondo mandato come primo ministro e guida l’Ungheria in vista delle elezioni della prossima primavera, nel 2014. I suoi oppositori si sono resi conto ormai che nessun partito singolarmente ha la forza di contrastare Fidesz, sebbene recenti sondaggi diano il partito in calo nelle preferenze di voto e si stia organizzando la formazione di un fronte d’opposizione chiamato Együtt2014 (Insieme2014).

 

 

Le riforme attuate dal governo Orbán

La salda maggioranza che sostiene Orbán gli ha permesso di attuare una serie di riforme, anche costituzionali, che hanno attirato le critiche delle istituzioni comunitarie e della stampa internazionale, le quali in più di un’occasione hanno definito populista il primo ministro ungherese.

Sul versante economico, il governo di Orbán ha dovuto affrontare la crisi finanziaria attraverso una serie di misure per risollevare la situazione del Paese, afflitto da un tasso di povertà e disoccupazione crescente. Tra le varie misure adottate, vi sono state la nazionalizzazione dei fondi pensionistici, l’introduzione di nuove tasse dirette sui servizi e l’innalzamento dell’imposta sul valore aggiunto, AFA, al 27%.

Nonostante queste misure, a fine 2011 i titoli di stato ungheresi furono classificati dalle società di rating come “titoli spazzatura”, indebolendo il governo sul versante finanziario e facendo innalzare il costo dell’indebitamento a un livello tale, che Orbán prese in considerazione anche la richiesta d’aiuto al FMI. La leggera ripresa dell’economia dell’eurozona ha permesso agli investitori esteri di trovare nuove opportunità di investimento in Ungheria, un paese i cui titoli, visto il rischio di insolvenza ancora elevato, aveva un alto tasso di rendita. A questa particolare situazione finanziaria sono state affiancate altre politiche monetarie di svalutazione della moneta nazionale, il fiorino, permettendo al governo di controllare la crisi; ad oggi, il tasso di crescita previsto per il 2013 è dell’1% del PIL (4).

Viktor Orbán ha potuto gestire la situazione di crisi senza domandare aiuto al FMI, né tanto meno all’Unione Europea, evitando l’ingerenza di queste istituzioni che, in caso di intervento, avrebbero domandato un passo indietro del governo su alcune politiche messe in pratica negli ultimi anni.

Infatti ciò che ha permesso a Viktor Orbán di conquistare popolarità e l’appoggio della popolazione ungherese è stato il suo ergersi a difensore dell’identità ungherese di fronte alle istituzioni europee. Alcune leggi promosse dal suo partito, in effetti, hanno esposto Orbán agli attacchi di Bruxelles. In particolare, nel periodo della presidenza ungherese al Consiglio dell’Unione Europea, il governo di Budapest ha emanato una legge sulla libertà di stampa che, stando alle accuse, concederebbe “il controllo diretto sui media al partito che governa”.

Inoltre, la coalizione guidata da Orbán ha attuato una vasta riforma costituzionale che rifonda la legge fondamentale dello Stato attorno a un’identità nazionale: il popolo magiaro. Trai punti principali di questa riforma vi è il cambio del nome del Paese, da “Repubblica d’Ungheria” a “Ungheria”, e l’affermazione del cristianesimo come valore costitutivo della nazione ungherese, attraverso anche il riferimento alla Corona di Santo Stefano.

Un’altra riforma che recentemente ha sollevato critiche riguarda i rapporti fra la Banca Centrale ungherese, organo indipendente, e il governo centrale. Viktor Orbán ha fatto in modo di avere un maggiore controllo sul consiglio direttivo della banca; ma questa normativa contrasta col principio di assoluta indipendenza della banca centrale – sia europea, sia dei singoli Stati membri – sancito dall’articolo 130 del Trattato sul funzionamento dell’UE (5). La Commissione europea ha criticato l’Ungheria su questo punto, in quanto l’articolo in questione riguarda le banche di ogni Paese membro, anche quelli non facenti parte dell’area euro.

Sul fronte interno, le opposizioni si sono mosse ed hanno mobilitato decine di migliaia di manifestanti che nei primi mesi del 2012, in occasione del varo della legge sulla libertà di stampa, sono scesi in piazza in più di un’occasione. Nonostante ciò, i partiti di opposizione sono ancora deboli e screditati e non riescono a colmare il distacco nei confronti del partito di maggioranza Fidesz.

 

 

Le reazioni delle istituzioni internazionali

In campo internazionale, questi provvedimenti hanno suscitato le critiche del FMI e attirato le interferenze del Segretario di Stato americano Hillary Clinton. Quest’ultima ha inviato al primo ministro ungherese una lettera nella quale “he reportedly expresses concerns about a perceived crackdown on democratic freedom in the country, more than two decades after Hungary threw out the Communist regime” (6).

Ma le inquietudini maggiori provengono dalle istituzioni europee. Come strumento di pressione sul governo ungherese, avvalendosi anche del fatto che l’Ungheria non è riuscita a ridurre il rapporto del deficit/PIL nel periodo fra il 2004 ed il 2010, il Consiglio Europeo ha deciso di tagliare i fondi di coesione previsti per il Paese nel 2011. Da parte ungherese sono state sollevate critiche per questa decisione, asserendo che la Commissione europea utilizza i fondi comunitari come strumento di pressione sui governi; infatti la Spagna, che beneficia anch’essa dei fondi di coesione, aveva annunciato uno sforamento del 5% del deficit nazionale nell’anno passato, ma non è stata sanzionata allo stesso modo.

Le istituzioni economiche occidentali si sono mostrate, invece, più permissive nel periodo fra il 2002 ed il 2012, quando al potere vi era il partito socialista, che conduceva una politica più in linea con le loro aspettative. La sinistra ungherese, inoltre, aveva già dimostrato la volontà di cooperare e aprirsi all’Occidente nel periodo comunista, durante il quale, per compensare le debolezze del sistema produttivo a economia pianificata, si permetteva ai governi occidentali di finanziare il debito nazionale ungherese. Appare dunque più chiaro il collegamento dell’attuale sinistra postcomunista con i poteri finanziari occidentali che hanno preferito l’MSZP piuttosto che la destra al governo, nonostante la fallimentare politica economica del periodo 2002-2010.

 

 

La posizione dell’Ungheria nell’Unione Europea

È proprio l’opposizione contro le istituzioni europee il cavallo di battaglia di Orbán. Nonostante la situazione economica non sembri migliorare più di tanto, una gran parte della popolazione sostiene il capo del governo in questo scontro. Gli ungheresi hanno visto gli effetti dei piani di salvataggio in Grecia e non vogliono un intervento dell’Unione Europea, che, come contropartita, chiederebbe maggiori tagli alla spesa pubblica e riduzione degli stipendi.

La condotta precedentemente descritta da parte della Commissione europea e le critiche di Orbán sulla gestione della crisi in Grecia indeboliscono l’opportunità di ricucire lo strappo con l’Ungheria. Le istituzioni di Bruxelles, per contrastare le critiche del governo ungherese, potrebbero fare leva anche sui risultati positivi ottenuti dai fondi perequativi dal 1998 al 2005 nella regione all’interno di quello che è uno dei maggiori obiettivi dell’Unione, dalla caduta del regime comunista: integrare nel sistema democratico anche le ex repubbliche sovietiche.

Finora non vi è nessun rischio che l’Ungheria scelga la strada dell’uscita dall’Unione Europea. Viktor Orbán ha cercato di stringere rapporti migliori con le repubbliche centroasiatiche, anche in vista dell’ottenimento di maggiori finanziamenti e forniture energetiche a costi più vantaggiosi. Un esempio fra tutti è il caso della Cina, che ha in Ungheria un ottimo interlocutore commerciale: il Paese danubiano, infatti, costituisce la principale piattaforma logistica per la distribuzione dei prodotti cinesi in Europa.

Prevedibilmente, lo sforzo del primo ministro ungherese di intensificare gli scambi con le economie asiatiche non avrà come conseguenza quello di allontanare ulteriormente il Paese dall’Europa. Oggi infatti l’economia ungherese è saldamente integrata con quella europea, e oltre il 75% delle esportazioni avviene con Stati dell’Unione come la Germania, che hanno sviluppato nel Paese una parte rilevante del loro apparato produttivo industriale.

 

 

 

*Andrea Rosso è laureando in Scienze Politiche – Studi Internazionali ed Europei presso l’Università degli Studi di Padova

 

 

(1)http://www.politics.hu/20130131/imf-agrees-on-hungarys-stabilization-methods-differs-on-growth-varga-says/

(2)http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/01/17/budapest_winter?page=0,3

(3)http://www.reuters.com/article/2010/04/12/us-hungary-election-idUSTRE63A1GE20100412

(4)http://www.lavoce.hu/529/2012/06/13/crescita-dalla-seconda-meta-del-2012/

(5)http://eurlex.europa.eu/LexUriSérv/LexUriSérv.do?uri=OJ:C:2010:083:0047:0200:it:PDF

(6)http://www.voanews.com/content/us-eu-express-concern-about-hungarys-crackdown-on-democracy-136390198/170983.html


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