La definitiva chiusura della centrale nucleare di Ignalina, l’unica presente in Lituania, impone al paese baltico un ripensamento della propria politica energetica, così come della propria politica estera.

Era il 1978 quando, nell’allora Repubblica Socialista Sovietica di Lituania, iniziò la costruzione di quella che avrebbe dovuto essere la più potente centrale nucleare al mondo. Il sito individuato per l’impianto era il lago Drūkšiai, nella Lituania nord-orientale, un bacino (il più grande del paese) attraversato dal confine con la Bielorussia. Nei pressi delle sue rive sarebbero sorte Ignalina, una centrale nucleare da 1.500 MW, e Visaginas, una città che avrebbe ospitato i lavoratori dell’impianto. Il progetto definitivo della centrale prevedeva tre reattori RBMK-1500. Tuttavia, solo nel 1987, un anno dopo il disastro di Chernobyl, venne ultimata la costruzione dell’Unità 2: fu proprio quella sciagura nucleare a far ritardare sensibilmente il completamento di un impianto, Ignalina, che aveva caratteristiche molto simili a quelle della centrale ucraina appena esplosa. Il terzo reattore (l’Unità 3), invece, non trovò mai la luce: all’epoca la sua costruzione venne bloccata e nel 1989 ebbe inizio la sua demolizione (1).

La potenza di Ignalina valse alla Lituania indipendente un primato mondiale: nel 1993 ben l’88% dell’elettricità prodotta nel paese era di origine nucleare(2). Nessun altro Stato al mondo dipendeva in maniera così massiccia dall’energia dell’atomo (peraltro proveniente da un unico impianto). Non è perciò azzardato affermare che la storia della Lituania indipendente sia fortemente intrecciata con la storia di Ignalina. Anzi, di più: si potrebbe affermare che senza Ignalina la storia politica della Lituania sarebbe stata completamente diversa.

Prima tra le repubbliche sovietiche a dichiarare la propria indipendenza (11 marzo 1990), da allora la Lituania ha sempre orientato la propria politica estera decisamente verso ovest, guardando con maggior simpatia a Bruxelles e Washington, piuttosto che a Mosca(3). All’ingresso nella World Trade Organization (31 Maggio 2001), ha fatto seguito lo storico “doppio passo” del 2004, con l’entrata di Vilnius prima nella NATO, poi nell’Unione Europea. È lecito dunque domandarsi: sarebbe stata possibile una politica estera tanto “ostile” a Mosca, senza la garanzia di un’autonomia energetica praticamente totale(4)?

Da un punto di vista prettamente geopolitico, la Lituania si trova oggi in una posizione di scarso rilievo internazionale. La NATO ha sapientemente usato gli storici sentimenti anti-russi del popolo lituano (sentimenti tuttavia molto più lievi di quelli riscontrabili, ad esempio, in Estonia) per creare un avamposto orientale nel confronto-scontro con la Federazione russa. Dal canto suo il Cremlino si è limitato a manifestare tutto il suo disappunto per l’ulteriore allargamento ad est dell’Alleanza Atlantica. Non che la diplomazia di Mosca abbia peccato, specie negli ultimi anni, d’ingenuità. Tutt’altro: il principale argine all’espansione verso est delle “istituzioni occidentali” (anzitutto, la NATO) è stato rappresentato, agli occhi del Cremlino, dalla fedele Bielorussia e dall’imprevedibile Ucraina. Sono questi i paesi che hanno funto, e continueranno a fungere, alternativamente da ponte o da argine nelle relazioni con l’Occidente. Attraverso i territori bielorusso ed ucraino transitano i principali corridoi energetici che, partendo dalla Siberia, giungono nell’Unione Europea. Inoltre si consideri che progetti come il Nord Stream, gasdotto che scavalcando i Paesi Baltici dovrebbe collegare direttamente Russia e Germania, hanno teso a rendere ancora meno rilevante il ruolo geopolitico della Lituania. Infine, l’enclave di Kaliningrad, assicurando la presenza russa nell’area del Baltico meridionale, ha contribuito in modo determinante a ridurre l’interesse strategico e militare di Mosca nei confronti di Vilnius.

Tuttavia, nei prossimi mesi ed anni, il quadro delineato fin’ora potrebbe mutare. Elemento scatenante di quest’improvviso (e potenziale) cambiamento geopolitico sarebbe, appunto, la definitiva e completa chiusura della centrale di Ignalina, richiesta che venne avanzata da Bruxelles nel 2004 per acconsentire all’ingresso della Lituania nell’Unione Europea. Così, il 31 dicembre di quell’anno l’Unità 1 dell’impianto di Visaginas veniva definitivamente spenta, mentre esattamente cinque anni più tardi la stessa sorte toccava all’Unità 2.

Il percorso che ha portato al 31 dicembre 2009 è stato tutt’altro che semplice e lineare. Due posizioni divergenti si sono scontrate senza esclusione di colpi, cercando di portare dalla propria parte le autorità di Vilnius. Alla fine ha avuto la meglio l’eurocrazia di Bruxelles, che vedeva in Ignalina una nuova potenziale Chernobyl. Le preoccupazioni dell’UE risiedevano nell’architettura e nell’impiantistica della centrale lituana, come già accennato molto simile a quella della centrale ucraina esplosa. Nonostante numerosi investimenti (230 milioni di euro negli ultimi 15 anni) ed aggiornamenti, Ignalina necessitava, nell’opinione di Bruxelles, di ulteriori enormi miglioramenti in tema di sicurezza. Di parere completamente diverso il Direttore dell’impianto, secondo il quale le possibilità di un incidente nell’unico reattore rimasto sarebbero state pari ad una ogni milione di anni di attività(5). Contraria alla chiusura non solo la popolazione della Lituania nord-orientale, fortemente dipendente dalla centrale dal punto di vista economico, ma anche la popolazione lituana nel suo complesso. Ignalina è sempre stata un simbolo dell’indipendenza lituana raggiunta negli anni ’90. In realtà, come rilevato, la centrale ha rappresentato molto di più di un semplice emblema: il solo reattore 1, chiuso nel 2004, garantiva il 90% del fabbisogno energetico nazionale e l’impianto rendeva la Lituania, paese praticamente privo di risorse naturali, un esportatore di energia. A preoccupare i lituani, che in un referendum del 2008 si erano espressi per oltre il 90% in favore della continuazione dell’attività di Ignalina (referendum che, tuttavia, non raggiunse il quorum)(6), erano principalmente le conseguenze economiche della chiusura della centrale: perdita di posti di lavoro, aumento (previsto per oltre il 30%) delle bollette elettriche, aumento dell’inflazione, perdita di quel punto percentuale di PIL costituito dall’esportazione di energia. A tutto ciò si aggiungano i costi derivanti dal processo di decommissionamento della centrale (che terminerà nel 2029): 3 miliardi di dollari dei quali si dovrà far carico (per la verità solo in parte, visti gli aiuti comunitari che fin’ora anno raggiunto circa il miliardo di dollari) il governo di Vilnius(7).

Si chiude così un capitolo della storia lituana, un capitolo caratterizzato da orgoglio nazionale e politiche filo-occidentali, crescita economica ed autonomia energetica. Si chiude la vicenda di Ignalina, una storia tormentata dalle proteste ambientaliste, dalle successive chiusure, dagli smantellamenti e persino da numerose minacce di attacchi terroristici: nel 1992 Oleg Savčuk, un programmatore informatico della centrale, venne arrestato per aver tentato di sabotare un reattore; nel Novembre 1994 un tale Kestutis Mazuika minacciò di far saltare in aria Ignalina (attraverso suoi infiltrati all’interno dell’impianto), se non fossero stati versati 8 milioni di dollari all’organizzazione segreta NUC-41 “W”; pochi giorni dopo, simili minacce giunsero da Georgij Dekanidze, boss mafioso che richiedeva il rilascio del proprio figlio Boris, condannato alla pena capitale per l’omicidio di una giornalista lituana(8).

In un contesto di profonda crisi economica e con un PIL diminuito del 18% nel solo 2009, le autorità di Vilnius hanno dinanzi a loro una sfida epocale per il destino della Lituania. Una nuova politica energetica e, come conseguenza, una nuova politica estera appaiono necessarie. Si tratterebbe, in pratica, di ripensare al ruolo geopolitico del paese nell’area baltica. Esistono sostanzialmente due “vettori” sui quali muoversi per superare lo shock derivante dalla chiusura di Ignalina: un vettore occidentale ed un vettore orientale.

Certamente, il primo risulta di più facile percorribilità: una maggiore integrazione con le reti energetiche di Svezia, Lettonia, Estonia e, soprattutto, Polonia (il paese con il quale Vilnius vanta, ad oggi, i più cordiali rapporti) rappresenta per la Lituania una strategia irrinunciabile. Le autorità lituane sembrerebbero muoversi decisamente verso questa direzione ed accordi con i rappresentanti di Riga, Tallin e Varsavia per la costruzione di una nuova centrale nucleare lituana da oltre 3.000 MW, capace di alimentare tutti e quattro i paesi, sarebbero già operativi. Tuttavia quest’impianto, in realtà ancora ipotetico, non troverebbe la luce prima del 2020. Ne consegue che, almeno nel breve periodo, il buon esito della politica estera energetica lituana dipenderà in larga misura dal vettore orientale; in altre parole, dai rapporti con la Federazione russa.

Né la popolazione lituana, né la classe dirigente di Vilnius appaiono ansiose di collaborare con Mosca. Il secco “no” con il quale il presidente Dalia Grybauskaite ha recentemente risposto all’offerta di Putin per la costruzione congiunta di una centrale nucleare nell’enclave di Kaliningrad(9) testimonia come in Lituania non si sia ancora pronti per l’adozione di un “approccio multi-vettoriale” nella propria politica estera. A ben vedere, l’appartenenza di Vilnius ad istituzioni occidentali quali la NATO, diminuendo il potenziale “potere di ricatto” di Mosca (tanto temuto dalla popolazione lituana), dovrebbe favorire un simile approccio. È perciò difficile non ascrivere (almeno in parte) la riluttanza dell’esecutivo di Vilnius a motivazioni ideologiche, anche perché la realtà dimostra come già oggi la Lituania dipenda pesantemente dalle fonti di energia russe. Il 65% del fabbisogno energetico lituano viene attualmente soddisfatto dall’impianto Lietuvos Elektrine di Vilnius, alimentato principalmente da gas proveniente interamente dalla Federazione russa. In totale, Mosca fornisce il 90% del fabbisogno di metano del paese baltico. Appare peraltro evidente come episodi simili a quello della centrale elettrica di Kaunas, dove il gigante Gazprom (proprietario dell’impianto) aveva rilevato un’ingiustificata diminuzione dei prezzi di vendita dell’energia rispetto a quanto pattuito con le autorità di Vilnius, non aiutino al miglioramento delle relazioni russo-lituane(10).

Appena possibile la Lituania ritornerà al nucleare: secondo dati statistici, insieme agli svedesi ed agli slovacchi, i lituani sono i più propensi in Europa all’utilizzo di tale tecnologia. Tuttavia, come sappiamo, questa opzione potrebbe richiedere molti anni. Dal canto loro le fonti rinnovabili, se fortemente sviluppate, offrirebbero un significativo contributo al fabbisogno energetico del paese. Anche in questo caso, comunque, si tratterebbe di una strategia di lungo periodo. Nell’immediato la via maestra dovrebbe piuttosto essere quella di una nuova politica energetica, basata su di una politica estera autenticamente “multi-vettoriale”. Per Vilnius, guardare verso Mosca è oggi una necessità e, al contempo, un’opportunità. Il nuovo scenario energetico creatosi dopo la chiusura di Ignalina potrebbe offrire alla Lituania l’occasione per aumentare il proprio peso geopolitico nell’intera area baltica. Di più: la Lituania potrebbe diventare un significativo punto d’incontro nelle relazioni politiche, militari ed economiche tra Russia ed Occidente. La classe dirigente lituana saprà dar vita ad un simile approccio, nell’interesse del suo popolo e del dialogo est-ovest?

* Francesco Rossi, dottore in Relazioni internazionali (Università di Bologna), collabora con “Eurasia”.

Note

  1. Si veda il sito ufficiale di Ignalina; http://www.iae.lt/default_en.asp?lang=1&subsub=10001 (16 Marzo 2010)
  2. http://www.cafebabel.co.uk/article/30609/energy-lithuania-companies-renewable-2020-vilnius.html (16 Marzo 2010).
  3. Non mancarono peraltro momenti di distensione tra Lituania e Russia, come la firma nell’Ottobre 1997, da parte dei presidenti Algirdas Brazauskas and Boris Eltsin, di due importanti trattati confinari, poi ratificati da Mosca nel Maggio 2003.
  4. Per quanto attiene agli altri Paesi Baltici, l’Estonia indipendente è sempre stata energeticamente autosufficiente per circa il 90% del proprio fabbisogno; principale risorsa utilizzata sono stati gli scisti bituminosi (impianto di Narva). La Lettonia, invece, ha coperto il proprio fabbisogno energetico attraverso centrali idroelettriche e tramite l’importazione di elettricità dall’Estonia e dalla Lituania. Sia in Estonia che in Lettonia il metano utilizzato è ancora oggi di provenienza principalmente russa;

http://www.nationsencyclopedia.com/Europe/Latvia-ENERGY-AND-POWER.html;

http://en.wikipedia.org/wiki/Estonia#Economy (16 Marzo 2010).

  1. http://it.euronews.net/2009/12/22/1-gennaio-2010-la-centrale-di-ignalina-chiude-i-battenti/

(17 Marzo 2010),

  1. L’affluenza al referendum si era attestata al 48,43%, di poco sotto al 50%+1 richiesto;

http://www.vrk.lt/2008_seimo_rinkimai/output_lt/referendumas/referendumas.html (17 Marzo 2010).

  1. http://www.isn.ethz.ch/isn/Current-Affairs/Security-Watch/Detail/?ots591=4888CAA0-B3DB-1461-98B9-E20E7B9C13D4&lng=en&id=113432; http://www.globalpost.com/dispatch/lithuania/100113/lithuania-nuclear-power-plant?page=0,1

(17 Marzo 2010)

  1. http://www.nti.org/db/nisprofs/over/nuccases.htm (18 Marzo 2010).
  2. http://www.baltictimes.com/news/articles/24358/ (18 Marzo 2010).
  3. http://www.alfa.lt/straipsnis/10319410/?Gazprom.demanding.191.million.dollars.from.Lithuania=2010-03-05_12-20 (18 Marzo 2010).

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