JEAN THIRIART e altri,
PRO E CONTRO MAASTRICHT
Prefazione di Luca Tadolini. Postfazione di Claudio Mutti
Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2022, pp. 80, € 12,00

 

Il 20 settembre 1992 si svolse in Francia un referendum che poneva il seguente quesito: “Approvate voi il progetto di legge sottoposto al popolo francese dal Presidente della Repubblica autorizzante la ratifica del trattato sull’Unione Europea?” Su un 69,70% di votanti, il SÌ prevalse ottenendo il 51,04% dei voti. Nel quadro della campagna referendaria, il 4 settembre Radio Courtoisie (Parigi) trasmise un dibattito al quale era stato invitato anche Jean Thiriart, appena rientrato da un viaggio a Mosca che gli aveva dato modo di prendere contatto con gli esponenti dell’opposizione al regime di Eltsin e di esporre le sue vedute in una serie di conferenze stampa, interviste, tavole rotonde e colloqui personali. Al dibattito organizzato da Radio Courtoisie nel quadro del “Libre journal” di Denys Rousselot (alias Jean-Michel Vernochet), oltre a Jean Thiriart parteciparono Joël Broquet (segretario generale del Mouvement Fédéraliste Français), Daniel Hamiche (un saggista monarchico), Éric Delcroix (avvocato difensore di Claude Autant-Lara e Robert Faurisson e collaboratore degli “Annales d’histoire révisionniste”).

Jean Thiriart, come scrive il suo biografo Yannick Sauveur, “in questa trasmissione non è nella sua forma migliore” (Jean Thiriart, il geopolitico militante, Edizioni all’insegna del Veltro, 2021) e la sua posizione risulta “mal difesa” (ibidem), in quanto appare contraddittoria.

Thiriart afferma che il Trattato di Maastricht “contiene il meglio e il peggio”; e spiega: “Il meglio è l’unificazione delle legislazioni e l’avanzata – a mio parere estremamente timida – di un esercito unico verso il federalismo auspicato dalla maggior parte degli europeisti” (ma non da lui, che era fautore di un’Europa unitaria, non di un’Europa federale e tanto meno di una “Europa delle patrie”). Il peggio del Trattato, invece, consiste a suo giudizio nel fatto che esso impegna l’Unione Europea ad agire in conformità con la strategia della NATO, mentre Thiriart ha sempre sostenuto che “l’Europa deve essere fatta contro gli Stati Uniti”. La posizione di Thiriart viene dunque da lui stesso sintetizzata nei termini seguenti: “Se nel Trattato di Maastricht c’è l’unificazione europea, un grande SÌ; essere legati, dipendenti dagli Stati Uniti, un grande NO. Ecco la mia posizione di base”.

La sostanziale “apertura di credito” di Thiriart nei confronti del Trattato di Maastricht (così la chiamano il prefatore e il postfatore del libro nel contesto delle rispettive valutazioni) rappresenta una variazione sul tema rispetto alla posizione costantemente tenuta dal “geopolitico militante” nei confronti della cosiddetta “Europa teorica”, l’Europa non legittima ma solo legale delle istituzioni di Strasburgo e di Bruxelles, l’Europa dei “piccoli politicanti traditori”. Totalmente negativo, infatti, è sempre stato il giudizio di Thiriart sul Parlamento Europeo (“una fabbrica di chiacchiere”) e sul Consiglio d’Europa (“un nido di vipere nazionaliste”); egli salvava a malapena la Commissione (“Fanno un buon lavoro amministrativo, tecnico, giuridico”).

L’“apertura di credito” nei confronti di Maastricht si comprende meglio se si tiene presente lo stile aggressivo e provocatorio caratteristico di Thiriart, il quale dal microfono di Radio Courtoisie si rivolge ad un pubblico di “piccoli nazionalisti” (come lui era solito chiamarli), tanto “piccoli” che alla regia arrivano messaggi di protesta perché alla trasmissione di una radio francese è stato invitato… un Belga! Thiriart coglie dunque l’occasione per reiterare quella condanna dei nazionalismi “ristretti e meschini” che, espressa in termini di sovrano disprezzo, ritorna come un leit-motiv in tutta la sua produzione saggistica.

Inoltre occorre considerare che con il crollo dell’Unione Sovietica, avvenuto neanche un anno prima, era venuta a cadere l’ipotesi di un’unificazione dell’Europa intrapresa da un auspicato “nuovo Stalin”, ipotesi esposta da Thiriart nel 1984 nel libro L’Empire euro-soviétique (trad. it. L’impero euro-sovietico da Vladivostok a Berlino, Edizioni all’insegna del Veltro 2018). In relazione ad un eventuale processo di unificazione europea, rimaneva perciò un’unica possibilità teorica: quella rappresentata dal progetto di Maastricht, nonostante quest’ultimo si limitasse alla parte occidentale dell’Europa e fosse gravemente ipotecato dalla subordinazione agli Stati Uniti d’America. Archiviato l’auspicio dell’avvento di un “nuovo Stalin”, restava soltanto quello di un “nuovo Bismarck”, capace di trasformare in Europa politica l’Europa economica; un auspicio, questo, che Thiriart difatti ribadisce nel corso del dibattito radiofonico del 1992.

L’intervento di Thiriart si conclude con una previsione che colpisce per il suo ottimismo. “Ci sarà un’altra Europa – dice – dopo l’Europa invertebrata del signor Mitterrand e del suo amico Kohl. Verranno altri uomini, che radicalizzeranno questa Europa. Ma lasciate che inizino i principianti, lasciate pure che facciano, lasciate che vengano i Lafayette e i Mirabeau. Poi, come ho detto, avremo i ghigliottinatori, come nel 1793. Dopo avremo i Robespierre, li avremo; ora lasciate pure che a dare inizio all’Europa siano molluschi come Mitterrand!”

Oggi i molluschi sono ancora qui e l’Europa è più invertebrata che mai. Non c’è quindi da stupirsi se il già citato biografo di Thiriart fa la seguente riflessione e si pone l’interrogativo che ne deriva: “Trent’anni dopo Maastricht, – scrive Sauveur – si vede cos’è diventata questa Europa. Molti che avevano detto ‘Sì’ nel 1992 si sono riscoperti ostili a questa Unione Europea – un’Europa senza nerbo, una pseudoeuropa. Thiriart sarebbe con loro, al giorno d’oggi?”


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