Uno degli aspetti più drammatici ma meno dibattuti della crisi ucraina è l’abnorme flusso di rifugiati dalle zone di crisi verso la Russia e le altre regioni dell’Ucraina. Alla fine di giugno, secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, circa centodiecimila persone erano fuggite dal Donbass per rifugiarsi in territorio russo, mentre altre 42.000 erano scappate verso ovest (1). Il 2 settembre, complici anche l’offensiva delle truppe di Kiev e la successiva controffensiva dei novorussi, il numero dei rifugiati interni era salito a 260.000, mentre quello di coloro che hanno scelto la Russia aveva raggiunto quota 814.000 (2). La Crimea da qualche mese tornata sotto il controllo russo, ha perso nel frattempo poco più di 14.000 persone, perlopiù Tatari e filoucraini (3). Il numero dei rifugiati, nel complesso, supera il milione: una cifra in Europa inaudita dai tempi della Guerra in Bosnia, che tra il 1992 e il 1995 aveva provocato la fuga di 2,2 milioni di persone (4), e quello in Bosnia è stato il conflitto che ha prodotto il maggior numero di rifugiati dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
La drammaticità della situazione è quindi fuori discussione, e gli effetti della crisi in corso rimarranno visibili anche quando la Guerra nel Donbass apparterrà alla storia. La geografia umana del Donbass sarà irrimediabilmente cambiata, e in caso di una vittoria dei lealisti alla regione potrebbe toccare un fato simile a quello della Slavjansk “liberata”, dove si è verificato una sorta di scambio di popolazione non ufficiale tra abitanti originari, molti dei quali fuggiti all’estero o in altre città ucraine, e nuovi residenti, molti dei quali provenienti dalle regioni occidentali (5). Allo stesso modo, qualora i ribelli dovessero tornare all’offensiva e avere la meglio, è alquanto probabile che ci troveremo di fronte ad una resa dei conti nei confronti dei governativi e dei gruppi paramilitari, come il Battaglione Azov e il Battaglione Donbass, che in questi mesi hanno accompagnato le forze lealiste, mentre nel caso (attualmente più probabile) di una sospensione del conflitto con l’istituzione di una qualche Repubblica del Donbass formalmente appartenente all’Ucraina ma nella prassi più vicina a Mosca che non a Kiev la rivalità tra il Donbass e il resto del Paese tenderebbe a cristallizzarsi. Ciò che oggi appare certo è che, nei prossimi anni, il limes non sarà tra Ucraina e Russia, ma passerà all’interno dell’Ucraina stessa. Ma la situazione potenzialmente più esplosiva riguarda proprio la Russia, non solo perché la maggioranza dei profughi ucraini ha scelto la Grande Madre, ma anche perché i rifugiati, molti dei quali hanno vissuto sulla loro pelle gli orrori della guerra, potrebbero diventare attori politici di primo piano nella Russia di domani, sia come protagonisti sia soprattutto come gruppo di pressione.
Il rischio che il fuoco del risorto nazionalismo russo si trasformi in un incendio di massicce proporzioni è tutt’altro che assente. Il contesto in cui si sta svolgendo la Guerra nel Donbass non è certamente di aiuto: quello attualmente in corso tra la Russia e l’Occidente non è una semplice contesa tra grandi potenze, bensì un vero e proprio scontro di civiltà, e l’Ucraina è solo il principale di una serie di contenziosi e di querelles, tra le quali non va sottaciuta la sensazione di trovarsi sul lato sbagliato di quella politica dei “due pesi e due misure” troppo spesso attuata dalle potenze occidentali. Il risultato è che i sentimenti nazionalisti e antiamericani hanno ormai raggiunto un livello che, solo pochi anni fa, sembrava impensabile. Secondo i dati del Pew Research Center, infatti, se ancora l’anno scorso il 51% della popolazione russa dichiarava di avere un’opinione positiva degli Stati Uniti, nel maggio del 2014 il 71% ne dichiarava una negativa (6). Negli ultimi mesi il livello delle tensioni ha vissuto un ulteriore aumento, con le calunnie di Obama contro la Russia sull’abbattimento del volo MH17 nei cieli del Donbass (tuttora avvolto nel mistero, ma di cui inizialmente furono accusati i novorussi) e la guerra delle sanzioni tra la Russia e l’Occidente, e l’arrivo dei profughi, con i loro vissuti e le loro recriminazioni, rischia di rendere la situazione in Russia ancora più incandescente.
I principali destinatari dei rancori dei profughi saranno, con ogni probabilità, l’attuale governo ucraino e i suoi sostenitori occidentali, ma è difficile che questi si dimentichino la differenza tra la determinazione del Cremlino nel sostegno delle rivendicazioni della Crimea e le titubanze mostrate dallo stesso nel Donbass. Quando nella penisola del Mar Nero sono scoppiati i primi moti filorussi, dopotutto, la Russia ha preso quasi subito le redini della situazione, prima dispiegando truppe senza insegne (i cosiddetti “omini verdi”) e poi sostenendo l’organizzazione di un referendum per la riunificazione della regione alla Russia. Il possesso russo della Crimea, con le sue basi militari, la sua storia e la sua popolazione in gran parte filorussa, è un punto su cui Putin non intende transigere, ed è alquanto improbabile che un suo successore, anche filoccidentale, possa mostrarsi più accomodante, salvo qualora non volesse passare alla storia come un traditore. Il ritorno della penisola all’Ucraina, di fatto, è possibile soltanto qualora la Russia fosse costretta a chiedere una resa incondizionata, come accadde a Germania e Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma ciò potrebbe accadere soltanto qualora l’Occidente fosse disposto a intervenire militarmente contro l’Ucraina, e uno scontro armato tra Russia e Occidente, anche qualora non implicasse l’uso di armi atomiche, è indesiderabile per entrambe le parti.
Il sostegno di Mosca alle autoproclamatesi Repubbliche Popolari di Doneck e di Lugansk, invece, è stato piuttosto esitante, mai del tutto convinto. Certamente non si può negare che i separatisti del Donbass abbiano beneficiato dell’afflusso di armi e volontari dalla Russia, sia da organizzazioni come Dobrovolec.org (7) e movimenti nazionalisti come il Movimento Imperiale Russo (8), sia, presumibilmente, direttamente dal Cremlino. Ed è stato lo stesso Putin a rispolverare per primo il toponimo “Novorossija”, che alla fine del Settecento indicava i territori della Crimea e dell’Ucraina meridionale appena strappati all’Impero Ottomano e ai suoi vassalli, quando le tensioni nel Donbass non sembravano destinate a sfociare in una vera e propria guerra. Eppure la Russia ha sempre mantenuto una certa distanza nei confronti dei ribelli novorussi. La prospettiva di un’annessione del Donbass alla Federazione Russa non è stata mai presa in considerazione, malgrado la stessa non avrebbe mancato di incontrare il sostegno della popolazione locale, né la dichiarazione di indipendenza della Novorossija ha trovato il sostegno di Mosca, che nel corso del conflitto si è quasi sempre mantenuta fedele alla linea della concessione di una forte autonomia alla regione ma senza violare nuovamente l’integrità territoriale dell’Ucraina.
E’probabile che, specie all’inizio, Putin sperava in una rapida conclusione della crisi, tale da non rendere necessario un suo intervento oltre il dovuto, così come è probabile che, mantenendo un basso profilo, Putin abbia cercato di non intimorire i suoi vicini di casa, in primis il Kazakistan, oltre che di evitare quanto possibile le ritorsioni occidentali. A tutto ciò si aggiungono considerazioni di tipo strategico: qualora il Donbass dovesse separarsi da Kiev, infatti, la probabilità di un ritorno di un filorusso alla Bankova, già ridottasi dopo la perdita della Crimea, diventerebbe praticamente nulla, mentre, parallelamente, si farebbero più concrete le prospettive di un’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e alla NATO. Paradossalmente, quindi, l’indipendenza del Donbass o il suo passaggio alla Russia finirebbe per convenire più all’Ucraina – almeno qualora questa volesse seriamente intraprendere il cammino euroatlantico – che non alla Russia, che si vedrebbe tagliato il cordone ombelicale che la lega a Kiev e privata delle province ucraine tradizionalmente filorusse di Char’kov, Dnepropetrovsk e Odessa. La prudenza di Putin è quanto mai comprensibile, e non c’è da stupirsi se i rapporti tra questi e i novorussi non sono sempre stati idilliaci, e le accuse di codardia non si sono fatte attendere (9). Analoghe critiche sono pervenute anche da una parte dell’opinione pubblica russa. “In Occidente”, scrive il britannico Spectator, “siamo abituati a vedere Putin presentato come un nazionalista pericoloso e avventurista. Ma per Strelkov (il comandante delle truppe della Repubblica Popolare di Doneck, nda), e per i milioni di Russi che sono diventati suoi ammiratori, Putin non è abbastanza nazionalista” (10).
Nelle ultime giornate la Russia e l’Occidente si sono scambiati minacce e accuse pesanti, ma nel contempo si sono fatte più concrete le prospettive di pace, con Putin e Porošenko che hanno raggiunto un accordo per una tregua permanente e uno scambio di prigionieri. Il tutto mentre i rifugiati iniziano a riprendere in massa la strada del ritorno (11). Ma per Putin e Porošenko si apre ora la sfida più difficile: quella con l’opinione pubblica dei loro Paesi. Cinque mesi di guerra, infatti, hanno sostanzialmente inasprito i rapporti tra l’Ucraina da un lato e la Russia e le regioni filorusse di Kiev dall’altro. La retorica di guerra è stata pressante da entrambi i lati, come dimostrato dai frequenti riferimenti ai “fascisti” di Kiev da un lato e ai “terroristi” di “Putler” dall’altro. Placare, o perlomeno isolare, le frange ucraine più oltranziste potrebbe non essere molto difficile, non fosse altro per la depressione economica in cui il Paese è stato ricacciato da quasi un anno di tensioni interne e internazionali (secondo il Fondo Monetario Internazionale, qualora nelle prossime settimane le tensioni dovessero effettivamente rientrare, il calo del PIL per il 2014 sarebbe pari al 6,5%, mentre nel 2015 l’economia crescerà soltanto dell’1% (12) e per l’atteggiamento dei leaders occidentali, poco propensi ad impegnarsi in una guerra da cui difficilmente uscirebbero vincitori. Per la Russia, invece, la questione si fa più complessa. Le ultime settimane, infatti, hanno visto l’esercito novorusso passare all’offensiva, e al momento dell’inizio della tregua era in procinto di conquistare l’importante città portuale di Mariupol. Il tempo sarà probabilmente a favore di Putin: una volta raggiunta la pace, infatti, il sipario sull’Ucraina calerà e l’Occidente, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, sarà distratto da altre questioni per esso più vitali, Stato Islamico in primis. La Russia, nel frattempo, avrà rafforzato i suoi rapporti con la Cina ed altri Paesi non occidentali, e ciò la renderà inevitabilmente più impermeabile alle pressioni dell’Occidente. L’Ucraina, così, tornerà lentamente ma inesorabilmente a gravitare nell’orbita della Russia, sebbene (forse) mantenendo una certa distanza, e già oggi non è da escludere che Putin, dopo aver operato per mesi da destabilizzatore, si stia accordando – o magari si sia già accordato – con Porošenko per la concessione di aiuti sostanziali simili a quelli concessi dal Presidente russo a Janukovič nel dicembre scorso. Ossia, almeno ufficialmente, senza contropartita se si esclude la loro restituzione una volta scaduti i termini del prestito.
Ma, nell’immediato, resta da placare la prevedibile rabbia dei separatisti che, pur avendo accettato la tregua nel Donbass, continuano a rivendicare l’indipendenza e a rifiutare l’idea di diventare un’entità federale dell’Ucraina (13). Un grattacapo non di poco conto per Putin, che nei prossimi mesi potrebbe dover tenere testa a una situazione simile a quella che ha dovuto affrontare la Francia durante la fase finale della Guerra in Algeria e negli anni immediatamente seguenti, quando alcuni Pieds-Noirs (14), delusi dall’atteggiamento della madrepatria, crearono la famigerata OAS (Organizzazione Armata Segreta), responsabile di una serie di attentati contro obiettivi algerini e persino di un tentativo di assassinare Charles de Gaulle. E, in tutto questo, i profughi – molti dei quali destinati a rimanere in Russia – potranno avere un duplice ruolo. La possibilità di fare ritorno nelle proprie terre d’origine, anche semplicemente in vacanza, dovrebbe fungere da sprone per assumere un ruolo da pacieri. Ma, allo stesso modo, i rancori accumulati potrebbero aggiungere benzina sul fuoco del nazionalismo, specie nell’eventualità in cui Putin dovesse accettare un compromesso al ribasso. I precedenti storici non mancano, e vanno dai già menzionati Pieds-Noirs alle diaspore ucraine negli Stati Uniti e, in particolare, in Canada, composte in prevalenza da esuli della Guerra Civile russa e da Ucraini occidentali fuggiti dalla loro terra natia dopo la conquista sovietica seguita alla Seconda Guerra Mondiale e che negli ultimi mesi hanno avuto un ruolo tutt’altro che marginale nel promuovere la linea dura contro Mosca (15). I prossimi mesi, sotto questo punto di vista, avranno un’importanza cruciale.

*Giuseppe Cappelluti, laureato in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Mediazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Bari. Ha trascorso un periodo di studio di sei mesi presso l’Università di Tartu (Estonia) nell’ambito del programma Erasmus. Alcuni suoi contributi sono stati pubblicati dal Fondo Gorčakov (http://gorchakovfund.ru/).

NOTE
1. http://www.unhcr.org/53ad57099.html
2. http://www.unhcr.org/540590ae9.html
3. http://unhcr.org.ua/en/2011-08-26-06-58-56/news-archive/1244-internal-displacement-map
4. http://www.unhcr.org/4bbb422512.html
5. http://antifashist.com/item/zhiteli-slavyanska-ischezli-gorod-zaselyaetsya-vyhodcami-iz-zapadnoj-ukrainy.html#ixzz39hUoJeiV
6. http://www.pewglobal.org/2014/05/08/chapter-3-russia-public-backs-putin-crimeas-secession/
7. http://dobrovolec.org/stat-dobrovoltsem/
8. http://www.rusimperia.info/news/id20000.html
9. http://time.com/2969586/vladimir-putin-russia-ukraine-rebels/
10. http://www.spectator.co.uk/features/9298982/the-frightening-face-of-russias-future/
11. http://ria.ru/world/20140906/1023043873.html
12. http://www.ft.com/intl/cms/s/0/51a7c518-32b1-11e4-a5a2-00144feabdc0.html#axzz3CZi11IaV
13. http://www.washingtonpost.com/world/shelling-rocks-outskirts-of-mariupol-as-talks-to-end-ukraine-conflict-due-to-begin/2014/09/05/5601eade-a8a3-44f8-8203-fc1ab352002e_story.html
14. I Pieds-Noirs erano i coloni francesi ed europei in Algeria.
15. http://www.canada.com/Ukrainians+Canada+could+game+changers+federal+election/9578956/story.html


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Giuseppe Cappelluti, nato a Monopoli (Bari) nel 1989, vive e lavora in Turchia. Laureato magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Mediazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Bari. Dopo aver trascorso periodi di studio presso l’Università di Tartu (Estonia) e a Petrozavodsk (Russia), nel 2016 ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali d’Impresa Italia-Russia presso l’Università di Bologna. Dal 2013 ha pubblicato numerosi articoli su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e nel relativo sito informatico. Suoi contributi sono apparsi anche su “Fond Gorčakova” (Russia), “Planet360.info” (Italia), “Geopolityka” (Polonia) e “IRIB” (oggi “Parstoday”, Iran).