Il 4 marzo 2012 il popolo russo ha votato. E, non dispiaccia a taluni, ha votato in maniera massiccia affinché Vladimir Putin diriga la Russia fino al 2018. Dopo lo spoglio del 99,3% delle schede, Vladimir Putin è in testa col 63,6% dei suffragi, seguito da Gennadij Zjuganov (17,19%) e da Mikhail Prokhorov (7,98%). Vladimir Zhirinovskij ottiene il 6,22% e Sergej Mironov il 3,85%. Il tasso di partecipazione si è attestato sul 65%.

Il risultato di queste elezioni è semplicemente una conferma di quello che tutti gli analisti lucidi e onesti avevano previsto, cioè che Vladimir Putin avrebbe ottenuto fra il 50% e il 65% al primo turno. Tutti i sondaggi lo davano vincitore al primo turno. Questo voto è anche un evento geopolitico di una portata che ancora senza dubbio sfugge alla grande maggioranza dei commentatori. L’elezione di Vladimir Putin per un terzo mandato si inscrive in una sequenza storica russa perfettamente coerente.

Nel marzo 2000, quando Vladimir Putin è eletto con poco più del 50% dei voti, il paese è devastato da un decennio postsovietico “eltziniano” ed esce da una grande crisi economica. Putin si manifesta ben presto come un uomo energico e il suo stile secco ed autoritario è positivamente apprezzato dalla popolazione russa. Fin dall’inizio degli anni 2000, Putin appare come una sorta di salvatore che restaura l’ordine pubblico. La sua seconda elezione nel 2004, con circa il 70% dei voti al primo turno, è un plebiscito. Il secondo mandato di Putin è il periodo di un’incontestabile rinascita economica.

Allorché nel 2008 egli cede il posto a Dmitrij Medvedev, l’autorità dello Stato è totalmente ristabilita ed è stato creato un partito di governo. In piena ripresa economica, nel marzo 2008 Dmitrij Medvedev è eletto presidente col 72% dei voti. Disgraziatamente, la Russia è colpita dalla crisi finanziaria mondiale e da una nuova guerra nel Caucaso. Nel 2009 il presidente Medvedev soffre delle conseguenze sociali della crisi e delle difficoltà di modernizzare il paese con l’auspicata rapidità. Anche la pressione internazionale diventa più forte e nell’ultimo anno del suo mandato la diplomazia russa è sconfitta in Libia e in Europa (scudo antimissile), sicché la politica estera di Medvedev è oggetto di critiche da parte dei Russi.

Dopo le elezioni parlamentari dell’ultimo decennio, nelle grandi città del paese hanno luogo manifestazioni di oppositori, le quali inducono certi commentatori stranieri a pensare che la Russia cominci a ribellarsi contro il “sistema Putin”. Altri, invece, vedono in queste manifestazioni l’embrione di una destabilizzazione orchestrata dall’esterno, secondo il copione delle “rivoluzioni colorate”. Parecchi indizi inducono a ritenere che questo scenario sia verosimile.

Paradossalmente, è stato questo rischio di “rivoluzione colorata” ad unire l’opinione pubblica ed a contribuire grandemente al successo di Putin. L’analista Jean-Robert Raviot ha definito questo fenomeno distinguendo tre Russie. La prima, la più mediatizzata perché occidentalizzata, è quella dei “moscoborghesi”, i borghesi metropolitani che i commentatori hanno battezzato come “classe media”. Poi c’è la Russia provinciale e periurbana, di gran lunga maggioritaria; animata da sentimenti patriottici, indebolita dalla crisi, essa costituisce lo zoccolo duro favorevole a Putin. Infine, la Russia delle periferie non russe, controllata da etnocrazie alleate del Cremlino, dove i risultati elettorali, alquanto omogenei, sono a favore del potere centrale.

In effetti, Mosca e San Pietroburgo sono le sole città in cui i risultati, presi isolatamente, avrebbero potuto dar luogo ad un secondo turno fra Putin e Prokhorov. Ma se questa Russia ricca, urbanizzata e occidentalizzata delle grandi città ha votato per Putin meno che il resto del paese, essa rimane tuttavia minoritaria. Invece la Russia delle città piccole e medie e delle campagne è molto più conservatrice e popolare. Votando massicciamente per Vladimir Putin, essa ha mostrato la propria inquietudine nei confronti di possibili torbidi. Dall’inizio degli anni 2000, la Russia prosegue nel proprio raddrizzamento e i disordini del primo decennio seguito alla scomparsa dell’URSS hanno profondamente segnato gli spiriti. Così il popolo russo ha fatto blocco dietro Vladimir Putin, respingendo ogni ingerenza esterna ed auspicando la prosecuzione della politica inaugurata dodici anni fa.

Lo stabile livello dei consensi ottenuti da Gennadij Zjuganov, il candidato del partito comunista, mostra che il partito ha fatto il pieno e che il 4% o il 5% dei suoi elettori dell’ultimo dicembre (il partito comunista aveva raggiunto il 19% alle legislative, avvantaggiandosi del suo statuto di principale concorrente di Putin) stavolta si è spostato su Mikhail Prokhorov. Indubbiamente quest’ultimo ha canalizzato la maggioranza dei voti degli oppositori che hanno manifestato nell’ultimo mese. Egli raccoglie infatti il 20% a Mosca e il 15,5% a San Pietroburgo. Lo scarso bottino di Vladimir Zhirinovskij è senz’altro da mettere in rapporto con l’elevata percentuale dei voti di Putin, poiché molti elettori del suo partito hanno votato per Putin al primo turno. E’ difficile immaginare che il partito di Zhirinovskij possa sopravvivere senza la presenza carismatica del suo capo. Infine, la cocente sconfitta del candidato Mironov (3,46%), il cui partito aveva ottenuto un numero elevato di voti alle legislative, mostra che gli elettori russi rifiutano i candidati troppo socialdemocratici.

Era scontato che molti commentatori stranieri (per negare un sostegno popolare che non possono né ammettere né comprendere) scrivessero che le elezioni sono state truccate e che sono state riscontrate numerose frodi in favore di Vladimir Putin. In ogni caso, come per le legislative, la stragrande maggioranza di queste accuse di frode si rivelerà infondata. Il numero dei reali casi di frode non dovrebbe superare i 300, contro i 437 delle legislative di dicembre.

Gli osservatori della Comunità degli Stati Indipendenti e dell’Organizzazione di Shanghai, nonché gli osservatori indipendenti, hanno dichiarato che lo scrutinio si è svolto normalmente e che l’elezione è stata conforme ai canoni; hanno anche proposto di instaurare il sistema di vigilanza voluto da Putin (96.000 seggi elettorali filmati da 91.000 telecamere) per le elezioni del Parlamento europeo. A questo proposito: se Mikhail Prokhorov è risultato primo in Francia e in Inghilterra, i Russi di Germania e di Spagna hanno votato per Putin in maniera maggioritaria.

Che cosa succederà adesso? L’opposizione ha annunciato che continuerà a manifestare, come d’altronde ha già fatto all’indomani dei risultati elettorali. Ma la manifestazione ha radunato solo 10.000 persone e il clima sembra già cambiato. Nel corso della manifestazione Mikhail Prokhorov e Boris Nemtzov sono stati coperti di fischi, mentre Aleksej Navalny e Sergej Udaltzov (nazional-liberale il primo, di estrema sinistra il secondo, ma alleati contro Putin) sono stati oggetto di un’ovazione. Al termine della manifestazione, rifiutando di abbandonare il luogo ed esortando ad occupare la piazza, hanno provocato l’intervento della polizia contro i 300 o 400 irriducibili che li accompagnavano, per la gioia dei giornalisti stranieri. Più tardi, un centinaio di ultranazionalisti ha cercato di marciare sul Cremlino, provocando un analogo intervento della polizia. Ci si può dunquedomandare se l’opposizione legale non si sia cristallizzata intorno a Mikhail Prokhorov e se la frangia più radicale ed antipolitica di questa variegata opposizione non cercherà di provocare disordini, rifiutando di riconoscere un’elezione che nel mondo non è più contestata da nessuno.

NOTE
Traduzione di Claudio Mutti

*Alexandre Latsa è un giornalista francese che vive in Russia e gestisce il sito DISSONANCE, volto a fornire una “visione diversa della Russia.” Collabora inoltre con l’Istituto per le relazioni internazionali e strategiche (IRIS) e partecipa a varie altre pubblicazioni.


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