“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” potrebbe essere la didascalia più adeguata per la fotografia di questo nuovo esecutivo. Puntare su nuovi nomi, ma vicini ai vecchi, oppure progettare stravolgimenti costituzionali in tutta fretta solo per evitare altri capitomboli elettorali, pare appunto un nuovo corso capace di assicurare la stabilità dei rapporti di forza sin qui sopravvissuti.

La situazione italiana ed europea è critica ormai da decenni e se la classe dirigente di tutto questo periodo decide per grandi intese e riforme solo oggi, è principalmente perché ha visto mettere in pericolo la propria sopravvivenza.

Infatti quelle a cui ci troviamo di fronte sono mosse anche radicali, a tratti di completa discontinuità rispetto alle dichiarazioni di intenti del passato: l’accantonamento del parlamentarismo è una di queste, con il ritardo incredibile nella costituzione delle commissioni, ferito da una composizione numerica a dir poco discutibile (1) e sostituito da una Convenzione nominata per fare riforme. Ma le stesse modifiche costituzionali saranno elaborate per evitare un’altra crisi istituzionale come quella appena passata, e dovuta al fatto che milioni di italiani non hanno votato i partiti storici, così come verrà elaborata per lo stesso motivo la legge elettorale.

Inoltre una sorta di discontinuità – certificata dalla fotografia ufficiale scattata appena dopo il giuramento, con il Presidente della Repubblica e il premier Letta che si stringono intorno al Ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge – ci verrà dalla riforma del principio dello jus sanguinis. Una vera e propria rivoluzione concettuale che ci porterà dal diritto del sangue a quello della terra, jus soli. La scelta dello jus soli, certificato dalla Costituzione e rielaborato nel 1992, è dovuto al fatto che l’Italia, paese di emigranti, ha sempre avuto interesse a mantenere i contatti con le famiglie lontane, ma anche dall’idea che la cittadinanza dovrebbe essere un patto, non un premio, e quindi concessa a chi partecipa alla costruzione dello Stato. Di certo persone nate, cresciute e con il proprio futuro in Italia avranno tutto l’interesse a partecipare alla vita comune del nostro Paese e non sarebbe giusto, oltre ad essere incomprensibile, negare questa possibilità. Però cambiare completamente il principio dello jus sanguinis, fra l’altro utilizzato da tutta Europa, pare semplicemente una scelta populista per solleticare quella parte di élite e cittadinanza che è attratta da novità di questo genere, poco incisive sulla vita reale.

La cerimonia di giuramento dei Ministri del nuovo Governo, durante la tragica sparatoria fuori Montecitorio, ci parla più di quanto si immagini: facce rilassate e sorridenti si complimentano a vicenda, mentre fuori, il Paese reale, impazzisce, si suicida o spara. Lo stessa sensazione si prova quando il presidente della Camera Boldrini annuncia un giro di vite sulla libertà della rete, oppure appunto quando l’emergenza è cambiare l’approccio giuridico e ideologico alla cittadinanza. Ma lo jus soli è stato adottato soltanto da Stati, come per esempio Argentina e Stati Uniti, che avevano bisogno di nuovi cittadini in quanto enormi e spopolati. Oggi non c’è bisogno di cambiare totalmente i principi costituzionali per andare incontro a risultati incerti: si possono ascoltare le problematiche di chi ha trovato difficoltà a certificare la giusta cittadinanza italiana, senza per questo farne campagne propagandistiche stravolgendo la Carta fondamentale, che semmai andrebbe migliorata dando una definizione degna all’Italia, considerata non uno Stato, ma soltanto una fumosa “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. QQQE quindi migliorare la possibilità di produrre le adeguate certificazioni per chi ha entrambi i genitori stranieri ma è nato in Italia. Chi ha un genitore italiano è già cittadino. Invece chi ha genitori stranieri non cittadini italiani deve dimostrare la residenza continuativa sul territorio tricolore e la regolarità dei permessi di soggiorno. Inoltre chiunque, fino alla maggiore età, già adesso gode degli stessi diritti di un cittadino italiano. Il problema si può presentare al momento della maggiore età, quando si apre una “finestra” di un anno per chiedere la certificazione di cittadinanza. Non serve quindi modificare ideologicamente l’approccio, ma rendere più efficiente la possibilità di farlo, migliorando i servizi pubblici preposti, snellendo le difficoltà burocratiche che tutti conosciamo bene e approfondire semmai il dibattito su come far durare di più la “finestra” per la richiesta della cittadinanza. Non siamo di fronte a nessuna emergenza che non sia legata semplicemente a malfunzionamenti di informazione sulle modalità burocratiche e sulla corretta procedura di queste. Pare l’ennesimo scarico di responsabilità delle istituzioni: cambiare del tutto per non affrontare miglioramenti adeguati.

Perché dunque buttarsi a capofitto in modifiche costituzionali poco ragionate? Le modifiche alla legge sulla cittadinanza sono solo un esempio di come l’emergenza attuale abbia messo in allarme le istituzioni, che tentano mosse improvvisate per ritrovare la fiducia del popolo, al quale spetta, sempre secondo la Costituzione, la sovranità. Ma non è continuando a procedere senza strategia nazionale e continentale che si riuscirà ad uscire dalla crisi attuale; al contrario elaborazioni ragionate di lungo periodo, siano esse relative alla politica interna o alla geopolitica, sono assolutamente necessarie.

 

*Matteo Pistilli è redattore di “Eurasia”, vicepresidente del Cesem e fondatore di “Informazione Scorretta”.


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