In Serbia un gruppo di oltre 200 fra politici, intellettuali e personalità della cultura e dello spettacolo ha firmato un documento con la richiesta di un referendum sull’eventuale adesione del paese alla Nato, un tema del quale negli ultimi tempi si parla con sempre maggiore insistenza.

La Nato e’ stata vista costantemente dai serbi come un nemico, soprattutto dopo i bombardamenti “alleati” del 1999, decisi contro la politica dell’allora presidente jugoslavo Slobodan Milosevic in Kosovo.

Di recente, tuttavia, il ministro della difesa Dragan Sutanovac non ha escluso un’adesione di Belgrado all’Alleanza Atlantica, sostenendo che la Nato è ”la strada naturale verso l’Europa”.

In una conferenza stampa tenutasi pochi giorni fa a Belgrado, i promotori dell’iniziativa sopracitata hanno sottolineato che una decisione di tale importanza dovrà essere presa dai cittadini e non dai partiti o da singoli individui.

I cittadini serbi – e’ stato rilevato – sono gli unici che possono prendere decisioni sul loro futuro, e una di tali decisioni e’ la possibile adesione del paese alla Nato, un passo che potrà essere intrapreso solo previo referendum.

I promotori hanno osservato, peraltro, che la Serbia non ha mai fatto parte di un’ alleanza militare, e che un’ adesione alla Nato significherebbe per Belgrado l’implicito riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.

Attualmente la Serbia partecipa alla partnership per la pace, il programma di collaborazione offerto dalla Nato ai paesi dell’ex blocco comunista e dell’Europa Orientale.

La richiesta di referendum e’ stata firmata, tra gli altri, dal regista Emir Kusturica, dall’ex presidente e leader del Partito democratico serbo (nazionalista) Vojislav Kostunica, dall’ideologo e ‘padre della Serbia’ Dobrica Cosic e dal noto scrittore Momo Kapor.

Nel frattempo fonti giornalistiche dicono che Osama bin Laden cercò di acquistare armi in gran segreto dalla ex Jugoslavia negli anni Ottanta, ma il suo tentativo venne respinto.

Lo ha rivelato il quotidiano serbo “Blic”, secondo cui le armi erano destinate all’Afghanistan, dove i mujahidin sostenuti dagli americani combattevano contro l’invasore sovietico.

L’inchiesta di “Blic” cita una fonte dell’industria bellica di stato Sdpr, secondo cui il leader di Al Qaeda “si presentò a sorpresa il 25 giugno del 1986 e disse semplicemente, ‘voglio comprare questo e questo'”.

Secondo la fonte, la ‘lista della spesa’ di bin Laden includeva missili antiaereo, mitragliatrici e dispositivi per le comunicazioni e anti-intercettazioni.

Per ottenere quelle armi, il terrorista saudita – che all’epoca era uno dei leader della resistenza ai sovietici, non ancora il capo di Al Qaeda – offrì 100 milioni di dollari cash.

“I colloqui terminarono prima ancora di iniziare – ricorda la fonte – La Jugoslavia aveva una posizione forte nel commercio di armi, con profitti significativi, così non fu troppo difficile resistere all’offerta di Bin Laden”.

Per quanto riguarda l’Italia, infine, si assiste ad un ridimensionamento delle forze italiane in Kosovo, dovuto proprio alla necessità di un loro maggiore impiego in Afghanistan.

Alla Multinational Task Force West (Mntf-W), Brigata Multinazionale a guida italiana, organicamente inserita nella Kosovo Force (Kfor) e comandata dal Generale di Brigata Roberto D’Alessandro, subentra il Multinational Battle Group West, basato sul 9° Reggimento Fanteria ”Bari”, al comando del Colonnello Vincenzo Grasso.

La cerimonia si e’ svolta nel Piazzale della Pace della grande base italiana in Kosovo, ‘Villaggio Italia’, alla presenza del comandante della Kosovo Force, il Tenente Generale tedesco Markus Bentler, il Comandante Operativo di Vertice Interforze, Generale di Divisione Aerea Tommaso Ferro, e tutte le più importanti cariche istituzionali, religiose e militari dell’area di responsabilità della Mntf-W.

A rendere gli onori ai due comandanti, cedente e subentrante, un reggimento di formazione multinazionale agli ordini del Colonnello Antonio Velardi, Comandante del Gruppo di Supporto di Aderenza.

Il ridimensionamento del contingente italiano in Kosovo (torneranno a casa circa 500 militari italiani e ne resteranno circa 1400) è la conseguenza diretta dell’approvazione, da parte dell’Alleanza Atlantica, della riduzione della forza KFOR da 15.000 a 10.000 unità.

L’Italia, dunque, così come stanno già facendo le altre Nazioni che partecipano all’operazione, rimodulerà gradualmente il proprio contingente.

Il 10 dicembre scorso, il Ministro della Difesa – Ignazio La Russa – lo aveva annunciato nel corso dell’audizione congiunta con il Ministro per gli Affari Esteri, Franco Frattini, alle Commissioni riunite di Esteri e Difesa della Camera e del Senato.

“Si tratta di un adeguamento dello strumento militare all’attuale situazione in Kosovo – spiega lo stato maggiore della Difesa – che, considerati i notevoli progressi conseguiti, rende ora possibile ridurre dal punto di vista quantitativo il livello delle forze impegnate, senza compromettere le capacità di risposta ad eventuali minacce”.

La protezione dei luoghi che identificano la cultura e le tradizioni locali (cosiddetti PrDSS – Property Designated with Special Status) costituisce uno dei principali compiti di KFOR.

In questo contesto, il contingente italiano continuerà ad assicurare, senza riduzione degli assetti dedicati, la salvaguardia di quattro luoghi di culto della Chiesa serbo-ortodossa: il monastero di Visoky in Decani, il monastero di Goriok, il monastero di Budisavic ed il Patriarcato di Pec.

La formale divisione in due della provincia serba autoproclamatosi indipendente il 17 febbraio 2008, che vede il nord del Kosovo sotto controllo serbo e il centro-sud nelle mani degli albanesi di Pristina, non appare però una situazione destinata a durare in eterno, come dimostrato dagli incidenti che periodicamente si verificano, specie nell’area di Mitrovica.

Vedremo se le opposte spinte, quella russa per un’entrata della Serbia in Europa come paese neutrale e quella statunitense, che come già accaduto con gli altri paesi dell’Est, indica la possibile adesione di Belgrado all’Unione Europea possibile solo dopo l’ingresso serbo nella NATO, andranno a confliggere proprio sulla questione del Kosovo e Metohija.

* Stefano Vernole è redattore della rivista “Eurasia”; è autore dei libri La lotta per il Kosovo e La questione serba e la crisi del Kosovo.


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