Il 14 ottobre scorso ha avuto luogo a Budapest una manifestazione a favore della “autodeterminazione della Transcarpazia”. I partecipanti hanno reclamato la libertà delle minoranze rumene, russe, bulgare, armene e polacche che vivono in Ucraina.

L’obiettivo principale della manifestazione, secondo gli organizzatori, era quello di protestare “contro la barbarie golpista, che ha reso prigioniera l’Ucraina e insieme ad essa, i fratelli ungheresi che ancora vivono nello Stato ucraino”.

Già da molto tempo la regione transcarpatica è teatro di tensioni interetniche. Dopo poco più di un anno dalla rivolta di Euromaidan, nel luglio 2015 il nervosismo al confine ucraino-ungherese  è esploso in pesanti scontri armati, coinvolgendo, esattamente sabato 11 luglio 2015, la città di Mukačevo, dove si è registrata sia l’uccisione di tre persone ed il ferimento di altre undici, mentre avveniva l’evacuazione dei villaggi circostanti.

 Quanto accaduto al confine ucraino-ungherese nell’estate 2015 non è mai stato collegato dal governo di Kiev all’instabilità politica che vige in Ucraina dalla primavera 2014, benché sia evidente che tali tensioni sono connesse ai caotici strascichi del golpe di Euromaidan. A provocare lo scontro del  2015 fu il gruppo sciovinista “Settore Destro”, che iniziò un conflitto a fuoco contro gli uomini del  parlamentare Mihajlo Lanyo, innestando così un crescendo di violenze in cui furono utilizzati anche lanciarazzi  RPG.

La piccola crisi al confine sembrava essersi risolta definitivamente quando il Presidente ucraino Poroshenko,  recatosi sul posto, insieme col nuovo capo della polizia e dei servizi segreti (SBU) nominò governatore della Transcarpazia un suo uomo di fiducia, Hennadiy Moskal, reduce dai combattimenti di Lugansk. Questa nomina però non produsse gli effetti sperati; se mai, contribuì  ad acuire le tensioni nella regione, tanto che  il 5 aprile del 2016, durante una seduta del Consiglio regionale della Transcarpazia, i deputati chiesero al Presidente ucraino Poroshenko e al Primo Ministro ucraino Yatseniuk  di riconoscere la Transcarpazia come un “territorio speciale amministrativo autonomo”, in conformità coi risultati maturati del referendum del 1 dicembre 1991. Il portavoce della richiesta fu il deputato dell’opposizione Oleksandr Ledyda, sostenitore con Mihajlo Lanyo della fazione degli Antimaidan e degli autonomisti transcarpatici. Tale richiesta non venne sostenuta solamente dai politici di opposizione ucraini, ma anche dalle forze filoungheresi e filorusse che da decenni vivono nella regione.

Ancora oggi il nervosismo al confine ucraino-ungherese non sembra aver subito alcun miglioramento; anzi, la tensione tra Ungheria e Ucraina, sebbene non enfatizzata dai media internazionali, rimane alta e gli Ungheresi premono ogni giorno di più per poter ottenere la loro indipendenza.

In seguito a una legge votata  lo scorso settembre dalla Verkhovna Rada dell’Ucraina, che comporta la fine dell’istruzione scolastica nelle lingue delle minoranze nazionali entro il 2020, l’Ungheria ha accusato il governo di Kiev di violazione del diritto internazionale. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Sijjártó ha dichiarato che, in seguito ai provvedimenti legali lesivi dei diritti della minoranza ungherese, l’Ungheria bloccherà tutte le iniziative internazionali dell’Ucraina.

L’ambasciatrice dell’Ucraina in Ungheria, Ljubov Nepop, ha detto che il ministero degli Esteri del suo paese ha espresso le sue rimostranze per la protesta ungherese, dichiarando che la regione è ormai da anni soggetta a tensioni interculturali latenti, sicché tale manifestazione può solo incoraggiare le frange separatiste che spingono per la secessione. Tali forze, a detta della Nepop, possono sentirsi incoraggiate dagli striscioni apparsi durante la manifestazione, sui quali si poteva leggere: “La Transcarpazia, per legge, fa parte dell’Ungheria. Autodeterminazione per tutte le nazioni oppresse costrette a vivere in Ucraina”. Come risposta all’accusa mossa dall’ambasciatrice ucraina, la controparte ungherese si è limitata a far notare che in Ungheria esiste il diritto a protestare pacificamente.

Non va dimenticato, e questo il governo di Kiev dovrebbe tenerlo a mente, che proprio applicando la politica del pugno di ferro contro le minoranze etniche sono iniziati gli scontri con le forze filorusse nella parte orientale del paese, dove sono sorte le “Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk”. Il governo di Kiev non dovrebbe ignorare il problema nella regione occidentale, poiché la nascita di un altro conflitto militare rischierebbe di provocare un collasso dello Stato ucraino.


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