La visita del presidente russo Dmitrij Medvedev in Serbia da molti è definita “storica”. Il termine ormai è logorato perché troppi si danno importanza vana autodefinendosi “storici”. Questa volta forse la gatta ci cova.

Il presidente serbo Tadic ha dichiarato, in tale occasione, che la Serbia sarà la miglior amica della Russia nell’Europa Unita, ma c’è chi dice (e forse è più vicino alla verità) che la Serbia invece sarà la miglior spia russa nell’Europa occidentale.

Scherzi a parte è certo che Medvedev vuole impostare una posizione energetica russa di primo livello in Europa indicando la Serbia come un centro di tutta l’area e dal quale la Russia potrà controllare l’area stessa e ampliare la sua influenza economica e politica. Il messaggio importante è che la Serbia è il partner principale della Russia nella regione e che l’appoggio politico della Russia alla Serbia nel Consiglio della Sicurezza delle ONU non mancherà mai, soprattutto per quanto riguarda il Kosovo e Metochia. Un messaggio politico forte è anche il finanziamento russo di un miliardo di euro tenendo presente che la Russia stessa subisce la crisi economica mondiale.

L’accordo energetico tra la Russia e Serbia sul gasdottoSouth Stream che partendo dalla “mammina russa”, come i Serbi chiamano la Russia per amore, attraversa la Serbia per arrivare all’occidente, è uno degli accordi economici ma anche strategici più grandi di tutti i tempi. La Serbia sarà non solo territorio di transito come altri paesi ma il crocevia di questo gasdotto con i grandi serbatoi di riserve enormi nel territorio serbo che garantiranno alla Serbia stessa ma anche all’Occidente la regolarità di approvvigionamento nei casi come quello dell’Ucraina quando gli Ucraini bloccarono il trasporto del gas per l’Europa Unita.

Inoltre quest’accordo relega in serie B il gasdotto americano Nabucco che dovrebbe aggirare la Serbia e vendere all’Europa Unita il gas molto più costoso che quel russo-serbo poiché gli Americani devono comprarlo dalla Russia e ciò comporta i prezzi più alti della distribuzione o dovranno occupare l’Iran con la scusa delle bombe atomiche per appropriarsi del gas iraniano. In tal caso però niente è sicuro perché l’Iran diventerebbe un nuovo Vietnam degli Americani, vedi il caso dell’Iraq o dell’Afganistan, e le cose comunque si trascinerebbero troppo a lungo per dare gli effetti economici positivi.

Molti dicono che in questo momento la visita di Medvedev ha più importanza sul piano economico che su quello politico, ma si sa che la politica e l’economia vanno a braccetto e se ci si aggiunge la fratellanza storica di due popoli slavi, i giochi sono fatti. Per porre l’accento a tale amicizia non per caso Medvedev giunse a Belgrado il 20 ottobre cioè il giorno della liberazione di Belgrado dall’occupazione nazista dovuta all’azione militare eseguita insieme dalle truppe russe e serbe nel 1944.

La Serbia potrebbe avere un ruolo importante nel nuovo sistema di sicurezza collettiva che Medvedev sta sviluppando, ma anche nei collegamenti tra il Bruxelleses e la Mosca via Belgrado.

Oltre al gasdotto gli elementi pratici della visita di Medvedev sono: la Serbia è il partner strategico della Russia e il partner principale di Mosca in tutta l’area, un segno d’appoggio politico anche attraverso la concessione di finanziamento di un miliardo di euro tenendo presente che la Russia ha recentemente respinto di dare tali finanziamenti all’Ucraina e alla Bielorussia, il gasdotto già citato, la metropolitana di Belgrado, l’autostrada cioè il cosiddetto Corridoio 10 che collega l’Occidente all’Oriente attraverso la Serbia, la ricostruzione delle ferrovie serbe, la partecipazione delle aziende russe nei progetti delle infrastrutture, delle centrali idroelettriche, ecc. Inoltre, tra la Russia e la Serbia non esistono le tasse doganali per i prodotti che sono nazionali o almeno nazionalizzati più del 50%.

Oltre a questi grandi temi sono stati fatti gli accordi per rinforzare i legami culturali e nasceranno molti nuovi centri di cultura russi in Serbia, gli scambi culturali tra i de paesi saranno molto rinforzati per dare una risposta all’influenza culturale filo atlantica praticata dal dopo Milosevic a oggi dai governi serbi filo atlantici ad eccezione di quello di Kostunica che era il primo promotore di South Stream quando era il primo ministro. Perciò, nell’occasione della visita di Medvedev e per dare il via simbolico al rilancio di rapporti culturali tra le due nazioni l’Associazione degli scrittori russi e quella serba hanno inaugurato un monumento al grande poeta russo Puskin.

Le falsità del comportamento atlantico nei confronti della Serbia diventano evidenti se si sa che i ricatti di Bruxelleses, soprattutto dell’Olanda, sono stati un po’ allentati l’anno scorso solo quando si è saputo che la Serbia e la Russia stavano progettando uno scudo missilistico russo nella montagna serba di Kopaonik. Per evitare tale minaccia Bruxelles e Washington diedero la mano a Boris Tadic, il presidente serbo filoamericano, autorizzandolo per mantenersi al potere di fare una coalizione per costituire un governo con i socialisti di Milosevic odiosissimi fino a quel momento. Ora però c’è un’altra novità di questo genere perché i Serbi hanno ormai capito che cedere sempre ai ricatti di Bruxellese e di Washington non porta all’approdo. Nell’ambito della visita di Medvedev dunque si è fatto anche un accordo per costruire una grande base serbo-russa chiamata per ora Centro umanitario comune per le operazioni di protezione civile nei casi di grandi incendi, terremoti, inondazioni, ma anche per intervenire nei disastri tecnologico-chimici, per eliminare i campi minati e per le azioni antiterroristiche. Forse perché destinato anche alle attività antiterroristiche questo centro sarà situato a Nis, città natale di Costantino il Grande, a poca distanza dal Kosovo e Metochia e dalla base americana Bondstil. Nella base serbo-russa è prevista anche la presenza continua dei soldati russi delle unità speciali addestrate allo sminamento e degli elicotteri e aerei russi antincendio. Pure i laici capiscono che nel caso in qui fosse necessario quel centro, si può trasformare facilmente e velocemente in una base militare. Le unità antiterroristiche russo-serbe che saranno continuamente stazionate nella base ne dicono qualche cosa. Un piano simile esisteva anche ai tempi di Milosevic nel 1998-1999, quando si pensava di fare una base russa militare di rimontaggio sempre a Nis, per garantire la sicurezza della Serbia; ma Eltsin, il presidente russo dell’epoca,  tradì la Serbia e non se ne fece niente. Ora con i Russi veri, Putin e Medvedev, le cose cambiano.

La Serbia risponde all’ironia della NATO che chiamò ironicamente la sua aggressione illegale “angelo misericordioso” e “guerra umanitaria” con un’altra ironia detta “centro umanitario” che poi sarà non solo umanitario ma un po’ militare perché servirà anche ad agire nei casi di attacchi terroristici contro la Serbia da chicchessia l’aggressore con particolare sguardo ai terroristi albanesi e le loro pretese di appropriarsi anche dell’area Presevo-Medvedja-Bujanovac, un territorio tra Nis e Bondstil americana.

La NATO ormai può sognarsela di bombardare di nuovo la Serbia e la Bruxelles e Washington possono sognarsela di fare alcun effetto a Belgrado con i loro giochetti e ricatti continui. Anche perché la Russia ha già dimostrato di essere decisa nei casi di Abazia e Osetia. Perciò o si cambia radicalmente la politica nei confronti della Serbia o si perdono grossi affari.

Qualcuno l’ha già capito. L’ENI italiana sarà il partner principale della Russia e della Serbia nella realizzazione del gasdotto South Stream. Inoltre, molti industriali occidentali hanno capito bene come vanno le cose e stipulano i contratti proficui con la Russia servendosi della mediazione delle società serbe perché “i Serbi sanno meglio trattare con i Russi”.

Sapiens satis!

Mraovic, Dragan, ex console jugoslavo in Italia, è docente presso l’Università di Bari. Contributi pubblicati in Eurasia: Intervista (nr. 2/2006, pp. 197-211), Geopolitica recente, attuale e futura nei territori dell’ex Jugoslavia (nr. 1/2007, pp. 149-162).


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