Marco Ghisetti
Talassocrazia.
I fondamenti della geopolitica anglo-statunitense
Prefazione di Leonid Savin
Anteo Edizioni, 2021
Pagg. 198, € 18,00

Il testo di Marco Ghisetti, giovane collaboratore di “Eurasia”, è davvero utile e ben scritto. Chiaro, sintetico e scorrevole, ma completo e rigoroso, riassume per il lettore non del tutto digiuno di geopolitica il pensiero dei tre padri della geopolitica anglosassone – Mahan, Mackinder e Spykman – inserendoli nel contesto storico dell’espansionismo nordamericano. Non limitandosi a riassumere in modo critico e retrospettivo le idee dei tre strateghi, l’autore, col coraggio del “geopolitico militante”, esamina l’attività imperialistica statunitense in tre teatri chiave della geostrategia contemporanea: il Mediterraneo propriamente detto e i mediterranei americano ed asiatico.

Militanza non significa faziosità e completezza, né pedanteria: il libro è agile e sintetico (“rem tene, verba sequentur”), ma nondimeno corredato da un apparato di note e riferimenti che rimanda ad una selezionata produzione scientifica, italiana e non, relativa alla geopolitica ed alle scienze strategiche e internazionali odierne. Partendo ovviamente dai testi dei tre studiosi in esame e citando una nutrita schiera di studiosi diversi (da Thiriart a Terracciano, da Bordonaro a Graziano, da Mearsheimer a Thual, da Brzezinski a Claudio Mutti) l’autore dimostra una completa padronanza delle discipline, il che rende rigorosa la sua opera e articolata ed argomentata. la sua analisi.

Il testo, impreziosito da un’introduzione di Leonid Savin e da un interessante apparato finale di mappe, si articola in sei capitoli. Il primo è su Alfred Mahan, il secondo su Halford Mackinder, il terzo su Nicholas Spykman. Il quarto capitolo considera i riflessi del pensiero dei tre succitati nell’opera e nelle teorie degli autori statunitensi più recenti (da Gray a Kissinger), un quinto capitolo concerne la geopolitica dei “tre mediterranei” ed un sesto racchiude le conclusioni dell’autore stesso. Sullo sfondo, l’eterno dibattito al centro della disciplina: nel decidere le sorti dell’uomo e della civitas, prevale il fattore della volontà umana o quello geografico e naturale? Permettendo al lettore di farsi liberamente una propria idea, l’autore riporta sia le posizioni di chi definisce “deterministi” i tre studiosi anglosassoni, sia quella di Bordonaro, che nel suo La geopolitica anglosassone (Guerini Scientifica, 2012) li assolve da tale accusa.

Lo studio della geopolitica come disciplina nelle sue basi teoriche è urgenza non più rimandabile da parte di quanti vogliano capire il mondo di oggi senza farsi travolgere dalla malafede o dalla crassa ignoranza del giornalismo e degli studi politologici “ad usum Delphini”. Basta vedere, giusto per parlare di attualità, in che modo la ritirata degli USA dall’Afghanistan venga dipinta dal coro dei media ufficiali come il tradimento dell’ideale occidentalista da parte di un’America stanca; oppure si considerino gli epicedi in morte di Donald Rumsfeld (“quando nascono tutti belli, quando si sposano tutti ricchi e quando muoiono tutti bravi”, recita un proverbio bergamasco). Chi ha letto Braudel ed ha praticato la ginnastica intellettuale della “longue durée”, chi ha studiato Spykman e l’influenza delle teorie del Rimland sulla politica di Washington, chi conosce le dottrine politiche del “containment” e del “roll-back” e chi si è abbeverato al realismo di Mearsheimer e al neocontinentalismo di Brzezinski può invece comprendere quale sia il piano sul quale è stato giocato l’intervento USA in Iraq e sul quale si gioca oggi la ritirata dal pantano afghano. All’epoca per gli USA era necessario, prima ancora che assicurarsi riserve petrolifere (la vulgata economicista non spiega appieno quel conflitto), piantare due bandierine nel “Grande Medio Oriente” (dizione americana, e come spiega Ghisetti le definizioni nominali e geografiche degli spazi non sono mai neutre), allora assicurandosi che il mondo musulmano restasse caotico, e oggi che l’Asia Centrale torni ad essere un caos che coinvolga Russi, Iraniani e Cinesi. Sotto questo punto di vista, l’Operazione Iraq e l’Operazione Afghanistan sono state per gli Stati Uniti un completo – per quanto dispendioso – successo.

Lo ripetiamo: questi fenomeni storici, la geopolitica come prassi, non possono essere compresi senza una strutturata preparazione teorica basata sulla geopolitica come disciplina. Per entrambe le inquadrature il testo di Marco Ghisetti è un ottimo viatico, anche se non vuole essere puramente introduttivo-divulgativo, ma si rivolge comunque ad un pubblico già informato.

Sui presupposti metodici e sulle conclusioni non posso che trovarmi d’accordo con l’autore. Al peso del pensiero di Spykman e di altri autori come Mahan ed alla geopolitica come “ideologia”, cioè come sistema di idee che disegna e definisce lo spazio politico abitato dall’uomo, ho dedicato infatti due testi (La Guerra Fredda non è mai finita e Geopolitica: storia di un’ideologia, usciti nel 2017 e nel 2018, il primo in collaborazione con Andrea Farhat e Stefano Cavedagna). Marco Ghisetti riesce magistralmente a riassumere tutto questo in un testo solo, giungendo a parlare dell’aggressione alla Siria e della sfida in atto tra Washington e Pechino. Un libro di pregio, da leggere, da diffondere e su cui dibattere.


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Amedeo Maddaluno collabora stabilmente dal 2013 con “Eurasia” - nella versione sia elettronica sia cartacea - focalizzando i propri contributi e la propria attività di ricerca sulle aree geopolitiche del Vicino Oriente, dello spazio post-sovietico e dello spazio anglosassone (britannico e statunitense), aree del mondo nelle quali ha avuto l'opportunità di lavorare e risiedere o viaggiare. Si interessa di tematiche militari, strategiche e macroeonomiche (si è aureato in economia nel 2011 con una tesi di Storia della Finanza presso l'Università Bocconi di Milano). Ha all'attivo tre libri di argomento geopolitico - l'ultimo dei quali, “Geopolitica. Storia di un'ideologia”, è uscito nel 2019 per i tipi di GoWare - ed è membro della redazione del sito Osservatorio Globalizzazione, centro studi strategici diretto dal professor Aldo Giannuli della Statale di Milano.