Douglas M. Bernacchia ha posto tre domande al nostro redattore Enrico Galoppini

1) Crede che l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea possa rappresentare il primo passo per una possibile integrazione culturale in Europa delle popolazioni di religione islamica?

Probabilmente la questione dell’“ingresso della Turchia nell’UE” va vista considerando due ipotesi differenti che si escludono a vicenda. La prima è quella che considera questo passo ineluttabile, prima o poi, per cui si tratta solo di definirne il come e il quando. La seconda è quella che non prevede affatto che la Turchia rientri, presto o tardi, nel novero degli Stati che compongono l’UE. Naturalmente bisogna sempre tenere a mente che una tale “adesione” la si opera in due, per cui è errato vedere la questione unilateralmente, ovvero con una Turchia in una sorta di perenne sala d’aspetto in attesa di vedersi “promuovere” in base a chissà quali parametri.

Detto questo, in entrambe le ipotesi, che restano simultaneamente aperte in attesa degli sviluppi di una situazione che a livello planetario va rapidamente evolvendosi rispetto a quando è stata avanzata l’idea di un’adesione della Turchia (si era ancora nella “fase unipolare” a trazione statunitense), vi sono da considerare fattori di carattere geopolitico, militare, economico e anche culturale-religioso.

Metto quest’ultimo fattore in fondo all’elenco perché ritengo che esso, sebbene venga sovrastimato a livello mediatico, non rappresenti il fattore dirimente nella scelta nell’un senso o nell’altro. Saranno piuttosto gli altri fattori a determinare il verificarsi di un’ipotesi piuttosto che l’altra, in specie lo stato di salute dell’UE stessa, a sua volta dipendente dalle scelte di campo che essa opererà nel medio termine.

Se l’UE non si penserà solamente come “occidentale”, allora vi saranno sviluppi anche ad est, verso il continente eurasiatico, altrimenti vi è il rischio che realtà-ponte come la Turchia (un’altra è la Russia) si rivolgano preferenzialmente ad oriente, dove Cina e India sono in rapida crescita economica, con l’UE stessa che verrebbe a perdere progressivamente interesse, per la Turchia e non solo.

La Turchia, Paese a maggioranza islamica, ha inoltre un’elevata  considerazione di sé, della propria storia, delle proprie radici (ottomane e turaniche) e delle proprie potenzialità sia come Paese crocevia d’Eurasia che come leader dell’intero mondo musulmano. L’Islam turco, dopo decenni di persecuzione di Stato, sta vivendo una nuova primavera grazie al governo del partito AKP del Primo ministro Erdogan. Senz’altro, se un domani la Turchia dovesse aderire all’UE, la presenza musulmana all’interno dell’Unione diventerebbe importante. Quanto al termine “integrazione”, bisogna intendersi: dal momento che si concepisce una ‘casa comune’ non è questione di “integrare” questo o quello, ma di vivere nel rispetto delle reciproche differenze. Ricordo inoltre che nell’Europa orientale vivono popolazioni musulmane lì stabilizzate da secoli, tra cui le più note sono quelle dell’ex Jugoslavia (soprattutto della Bosnia) e dell’Albania, mentre in quella occidentale la presenza di immigrati musulmani, che si stabiliscono nei diversi Stati con le loro famiglie, è sempre più rilevante e prima o poi avrà un suo peso, in specie allorquando alcuni ex immigrati o i loro figli verranno a giocare una significativa influenza economica.

2) Crede che gli europei siano disposti ad accettare l’ingresso di un Paese musulmano nell’Unione Europea? Quali risvolti potrebbe avere questo fatto a livello politico e di sicurezza?

Se dovessimo basarci su quello che traspare dai principali “mezzi d’informazione”, sembrerebbe di no. Ma i media, in specie quelli di rapida fruizione, non rappresentano fedelmente la realtà, per cui sarebbe interessante rilevare con sondaggi affidabili la predisposizione della gente comune. È senz’altro vero che, a causa di un’educazione scolastica davvero anacronistica nel suo provincialismo ed etnocentrismo (senza tra l’altro riuscire ad infondere alcun orgoglio di sé!), la parola “Turchia” evoca ancora in molti solo i termini “corsaro” o “saraceno”, così hanno buon gioco coloro che agitano un “problema islamico” ad ogni piè sospinto per farci schierare al loro fianco in una impresa sciagurata che prima ha visto l’attacco all’Afghanistan, poi all’Iraq e poi chissà a chi altri (ma si starà a vedere). È evidente che su queste premesse è difficile per la maggioranza delle persone accettare un evento percepito automaticamente come un “pericolo”.

Se si verificasse tra le due ipotesi summenzionate quella dell’inclusione della Turchia nell’UE, le conseguenze politiche, o meglio geopolitiche, sarebbero importantissime, perché la stessa Unione non sarebbe più prettamente “europea”, essendo la Turchia un Paese-ponte rivolto verso il Caucaso, l’Iran, le propaggini turcofone dell’Asia Centrale e il Vicino Oriente arabo-musulmano. In poche parole, cambierebbe l’intero assetto strategico e delle alleanze.

Per quanto riguarda la “sicurezza”, argomento si cui si parla troppo e a sproposito perché non si capisce in effetti se al “terrorismo” corrisponda una realtà oggettiva o rappresenti una definizione a geometria variabile, vi è da dire che la stessa Turchia ha subito e subisce atti terroristici, da quelli delle varie formazioni curde, a quelli della cosiddetta “al-Qa‘ida”, a quelli di gruppi di potere interni sostenuti dall’esterno che intendono rovesciare l’attuale governo anche con metodi drastici. Di recente, tra l’altro, è stata smantellata dalle autorità turche una rete che mirava al colpo di Stato (ne sono accaduti vari nella storia della Turchia repubblicana) e che annoverava tra i suoi principali attori alcuni pezzi grossi delle Forze armate, notoriamente “laiciste” e filo-occidentali. Anche da queste brevi note si può perciò comprendere come il tema della “sicurezza” sia da riconsiderare bene una volta che lo si mette in relazione al rapporto tra l’UE ed importanti Paesi a maggioranza islamica.

3) Crede che l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea possa rappresentare l’inizio di una “invasione Islamica” in Europa?

Non lo credo davvero, innanzitutto perché per svolgere una “invasione” ci vuole chi la diriga, e gli arabo-musulmani, da questo punto di vista, sono tra i popoli più divisi che vi siano a livello di dirigenza! Diverso, invece, il discorso demografico, quindi la questione della cosiddetta “invasione islamica”, agitata in malafede da personaggi in cerca di consensi, è semmai da vedersi come la risultante di questioni di carattere demografico, legate alle scelte di politica economica fatte dai vari Paesi che compongono l’Unione Europea.

Per cui, se un certo modello di “mercato del lavoro” s’impone a detrimento di altri, va da sé che arrivino gli immigrati, e a quel punto non si può stare a sindacare sulla religione di chi arriva. Se, per di più, gli immigrati musulmani in media fanno più figli, il problema non sono loro, ma le popolazioni autoctone che in maggioranza si sono adagiate sul tipo di famiglia col “figlio unico” per tutta una serie di motivi che qui non abbiamo lo spazio per analizzare.

Aggiungiamo comunque che il senso di appartenenza religioso non si mantiene sempre stabile presso tutti gli immigrati, in particolare tra quelli di seconda o terza generazione (che a quel punto si sentono anche italiani, francesi ecc.), quindi tutto questo “pericolo” davvero non lo vedo.

Ma anche se così non fosse, non vedo di che preoccuparsi, poiché non sono certo gli immigrati coi valori delle loro culture di riferimento che devono spaventarci, bensì l’inaridimento, tra le popolazioni europee, di valori forti, fondati su solide e durature basi. Forse, a spaventare eccessivamente molti cittadini dell’UE è anche il rischio di rimettersi in gioco, di riconsiderare determinate “certezze” che a ben vedere non sono tali. Una cosa è sicura: chi teme una “invasione islamica” dovrebbe d’ora in poi spiegarcene le modalità e, soprattutto, le conseguenze, soprattutto  alla luce dell’attuale condizione etica e valoriale riscontrabile nei vari Paesi europei.


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Enrico Galoppini scrive su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” dal 2005. È ricercatore del CeSEM – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo. Diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato in Yemen ed ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane (Torino ed Enna); attualmente insegna Lingua Araba a Torino. Ha pubblicato due libri per le Edizioni all’insegna del Veltro (Il Fascismo e l’Islam, Parma 2001 e Islamofobia, Parma 2008), nonché alcune prefazioni e centinaia di articoli su riviste e quotidiani, tra i quali “LiMes”, “Imperi”, “Levante”, “La Porta d'Oriente”, “Kervàn”, “Africana”, “Rinascita”. Si occupa prevalentemente di geopolitica e di Islam, sia dal punto di vista storico che religioso, ma anche di attualità e critica del costume. È ideatore e curatore del sito "Il Discrimine".