Nel 2019 Volodymyr Zelensky venne eletto al ballottaggio dal popolo ucraino nella speranza che potesse porre fine ad una condizione di instabilità che ormai perdurava da cinque anni. Tali speranze vennero decisamente mal riposte, visto che l’ex attore era patrocinato dall’oligarca Igor Kolomoisky (finanziatore del Battaglione Aidar ripetutamente accusato di crimini di guerra in Donbass) e che la sua elezione venne salutata con giubilo dall’Ukraine Crisis Media Center (organizzazione finanziata, tra gli altri, dalla NATO, dall’ambasciata degli Stati Uniti a Kiev, dall’International Renaissance Foundation e dal National Endowment for Democracy).

La fondazione Renaissance, nel contesto ucraino, ha avuto (ed ha ancora oggi) un ruolo di primo piano. Questa è direttamente collegata alla Open Society di George Soros[1] ed ha sostenuto il processo di formazione del governo ucraino post-golpe attraverso un meccanismo di tipo aziendale, ovvero, facendo riferimento ad alcune società di cacciatori di teste e dando preferenza a personalità legate alla diaspora ucraina in Nord America.

L’Ukraine Crisis Media Center, subito dopo l’elezione di Zelensky, in un comunicato assai più simile ad un vero e proprio dettato politico, pose delle precise linee da seguire alla nuova presidenza. In particolare, veniva fatto aperto divieto di: a) sottoporre a referendum popolare l’ingresso nella NATO o le negoziazioni con la Russia; b) negoziare con la Russia senza la supervisione dell’Occidente; c) dialogare con i partiti d’opposizione ritenuti filorussi (non a caso, gli stessi messi recentemente al bando nonostante la loro condanna dell’azione militare di Mosca); d) porre a giudizio l’oligarca ed ex presidente Petro Poroshenko; e) riformare l’impianto delle legge che prevedeva la discriminazione linguistica delle minoranze; f) ritardare l’ingresso nella NATO[2].

Non c’è da stupirsi se, sulla base di queste direttive e di un crescente aumento delle spese militari (+76% nel periodo 2016-2020 rispetto ai quattro anni precedenti), nel marzo del 2021 Zelensky firmò un decreto nel quale veniva preannunciato il prossimo recupero delle aree ancora controllate dalle Repubbliche separatiste e addirittura della Crimea, annessa alla Russia.

A partire da quel periodo, ancora una volta senza particolari sorprese (tranne per chi segue l’agenda dei mezzi di propaganda generalisti), le provocazioni militari ucraine nella regione del Donbass sono progressivamente aumentate (non bisogna dimenticare che il conflitto in quest’area è vivo ormai da otto anni e che ha fatto oltre 15.000 vittime).

Al dicembre del 2021, invece, risale il netto rifiuto della NATO alle richieste della Russia di nuove garanzie di sicurezza dopo l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’INF – Intermediate range Nuclear Force Treaty nel 2018 (sotto l’amministrazione Trump)[3]. Di fronte a queste premesse, Mosca non ha potuto fare altro che optare per l’azione militare diretta. Un’operazione sulla quale si può iniziare a tracciare un breve bilancio ad oltre un mese dal suo avvio.

In primo luogo si può osservare un modus operandi che risulta essere sostanzialmente all’opposto rispetto a quello “occidentale” conosciuto negli interventi militari di USA e NATO dal 1999 in poi. Ciò deriva da un modo completamente differente di concepire la guerra. Alla strategia militare continentale (taluni la definirebbero “clausewitziana”) russa fa da contraltare quella “marittima” (o muscolare) dell’“Occidente”. A differenza della prima, la seconda mette subito in mostra tutta la propria potenza di fuoco senza fare particolari distinzioni tra combattenti e non combattenti (i 78 giorni di bombardamenti sulla Serbia dell’Operazione Allied Force o l’attacco alla Libia, in questo senso, sono emblematici). Non a caso, le morti civili nei conflitti degli ultimi decenni hanno raggiunto la triste percentuale dell’80%, mentre nel caso ucraino, secondo fonti ONU, dall’inizio dell’operazione russa al 22 marzo le morti civili sarebbero “solo” 1.035 (da notare che questo numero comprende anche le morti tra la popolazione civile delle Repubbliche separatiste)[4].

Si può subito effettuare un paragone con i vent’anni di “guerra al terrore” che hanno causato 3,1 milioni di morti ed una cifra che oscilla fra i 37 ed i 59 milioni di profughi e rifugiati[5]. A ciò si dovrebbero aggiungere i decessi dovuti agli stenti (ad oggi ancora incalcolabili) a causa degli embarghi e dei regimi sanzionatori occidentali contro Siria e Afghanistan, o a causa della guerra dimenticata nello Yemen. Le agenzie ONU calcolano che nel solo Yemen 31.000 persone rischiano di morire di fame e 2,2 milioni di minorenni si trovano in condizioni di indigenza[6]. Per ciò che concerne l’Afghanistan, invece, sarà bene ricordare che l’amministrazione Biden ha congelato oltre 7 miliardi di riserve monetarie che la Banca Centrale Afghana aveva portato negli USA quando a Kabul c’era ancora al potere un governo fantoccio sostenuto dall’“Occidente”. Inutile dire che questi fondi sarebbero assai utili per alleviare una crisi alimentare potenzialmente disastrosa. Tuttavia, Washington ha deciso che la metà di questi 7 miliardi andrà a risarcire i famigliari delle vittime dell’11 settembre. Non si capisce esattamente per quale motivo, visto che tra i 19 attentatori non vi era alcun afghano e che gli stessi Talebani (su pressioni pakistane) si resero disponibili, a suo tempo, all’estradizione di Osama Bin Laden, purché venisse giudicato da un tribunale islamico in un Paese islamico.

Tornando al confronto tra NATO e Russia in Ucraina, come affermato dal vicecapo di Stato Maggiore russo Sergej Rudskoj, l’operazione (per nulla studiata come “guerra lampo”) si articola in due azioni differenti ma non necessariamente successive: a) distruzione della maggior parte dell’aviazione e della forza navale ucraina; b) liberazione del Donbass (ad oggi, sarebbero stati liberati il 93% del territorio rivendicato dalla Repubblica di Lugansk ed il 54% del territorio della Repubblica di Donetsk). Il piano, inoltre, non prevedeva (fatte alcune precise eccezioni) l’ingresso immediato nelle città ucraine per evitare eccessive morti civili.

Queste eccezioni hanno riguardato prima di tutto la città di Mariupol. Oltre al valore strategico (prendere possesso della totalità della fascia costiera attorno al Mare d’Azov), la città possiede anche un valore “emozionale”: il 90% della popolazione è russofono, il 44% della popolazione è etnicamente russo. La città, inoltre, era sede del battaglione Azov, la cui eliminazione rientra in quello che i vertici politici e militari russi hanno definito come progetto di “denazificazione” dell’Ucraina. Termine che, ad onor del vero, risulta piuttosto ambiguo. Di fatto, nonostante l’utilizzo di simboli ed il ricorso a riferimenti al Terzo Reich ed al collaborazionismo ucraino antisovietico, questo gruppo è più facilmente ascrivibile ad una galassia di bassa manovalanza atlantista indottrinata ed ideologizzata per il raggiungimento di scopi geopolitici che poco hanno a che fare con l’integrità territoriale dell’Ucraina. Nello specifico, i membri del battaglione Azov sembrano assai più affini ai miliziani “gihadisti” della “dottrina Brzezinski” che non ai “banderisti” della Seconda Guerra Mondiale.

L’azione su Kiev, in questo contesto, sembra esser stata un gigantesco diversivo con un ampio potenziale di distrazione. La strategia militare cinese, ricca di rimandi alla tradizione millenaria del popolo asiatico, la chiamerebbe una “danza della spada di Xiang Zhuang”. Con questa espressione, infatti, si intende un’azione diversiva volta a confondere il nemico. L’espressione è nata nel contesto storico della lotta tra lo Stato di Chu e quello di Han nell’era a cavallo tra la fine della dinastia Qin e l’inizio della dinastia Han. Al vertice dei due Stati c’erano rispettivamente Xiang Yu e Liu Bang. La loro rivalità raggiunse una fama tale da venir ampiamente sfruttata come soggetto nell’arte e nella letteratura della Cina. L’episodio si lega al celebre banchetto di Hongmen organizzato da Xiang Yu. Questi, preoccupato per l’ascesa di Liu Bang, lo invitò al convivio al preciso scopo di ucciderlo. Allora Fang Zeng, consigliere di Xiang Yu, invitò Xiang Zhuang ad esibirsi nella “danza della spada” per distrarre Liu Bang e colpirlo quando meno se lo aspettava.

Non a caso, è proprio nell’area intorno a Kiev che l’esercito ucraino è riuscito a recuperare piccoli fazzoletti di terra abbandonati dall’esercito russo (azioni che dai mezzi di informazione generalisti occidentali sono state descritte come poderose controffensive).

L’operazione russa, inoltre, si sarebbe concentrata sull’accerchiamento di diverse guarnigioni ucraine asserragliate nei centri abitati di Chernihiv, Sumy e Kharkiv, in modo da favorire il pur lento esaurimento di munizioni e armi pesanti. Gli Ucraini, a questo proposito, hanno dichiarato di aver osservato il rientro di interi reparti russi all’interno dei propri confini a causa delle gravi perdite subite. In realtà si tratterebbe di una semplice turnazione delle truppe che consente al maggior numero di uomini possibile di maturare esperienza nel contesto di una guerra al contempo convenzionale e asimmetrica.

Rudskoj, inoltre, ha elencato le perdite subite sia dal suo esercito che da quello ucraino. Le perdite russe ammonterebbero a 1.351 soldati caduti e 1.597 feriti. Gli Ucraini, dal canto loro, avrebbero perso l’11,5% dei loro effettivi (più o meno 14.000 uomini), il 66% dei loro blindati, il 42,8% dell’artiglieria pesante, il 30,5 % dei lanciarazzi, l’82% dei sistemi antiaerei S-300 e Buk M1, l’85% dei missili tattici Tochka, il 75% degli aeroplani ed il 50% degli elicotteri[7]. Inoltre, su 36 droni turchi Bayraktar TB-2 (quelli che avrebbero inflitto più perdite alle forze russe) solo uno sarebbe ancora attivo[8], mentre16 piste d’aviazione e 39 depositi d’armi sono andati distrutti.

Appare evidente che questi dati, per quanto possano essere stati ingigantiti per motivi propagandistici (le fonti ucraine e occidentali fanno lo stesso), rimangono comunque impressionanti, se si considera che la Russia sta utilizzando tra il 10% ed il 15% della sua effettiva forza militare[9]. A ciò si aggiunga che la Russia, in alcune occasioni, ha fatto ricorso a missili ipersonici Kinzhal difficilmente intercettabili dalle difese antiaeree e capaci di colpire l’obiettivo con estrema precisione (l’Ucraina non possiede alcun tipo di profondità strategica che possa proteggere depositi di armi o eventuali rifornimenti contro questo genere di attacchi). Di fatto, queste armi sono state utilizzate soprattutto come messaggio alla NATO, nel momento in cui l’Alleanza Atlantica si appresta nuovamente a rifornire l’Ucraina di mercenari ed armi di per sé inutili per sovvertire le sorti del conflitto, ma assai utili per prolungarlo il più a lungo possibile e fare del Paese un nuovo Afghanistan nel cuore dell’Europa[10].

Dopo tutto, l’obiettivo USA è chiaro. Come ha lasciato intendere Joe Biden con il suo “for God’s sake, this man can’t remain in power”, la strategia nordamericana è quella di logorare la Russia in un conflitto ai suoi confini per “deputinizzarla” all’interno. Una Russia asservita agli USA (come ai tempi di E’lcin) ed un’Europa totalmente soggiogata possono permettere agli USA di concentrarsi verso il nemico per eccellenza del XXI secolo: la Cina.


NOTE

[1]George Soros è stato associato, insieme ad Hunter Biden, allo sviluppo dei laboratori biologici sul territorio ucraino. Nello specifico, il figlio del presidente USA avrebbe aiutato la società medica Metabiota (legata al Pentagono) a concludere contratti milionari per lo sviluppo di studi su agenti patogeni da utilizzare come armi nei laboratori ucraini. Inoltre, avrebbe favorito l’accesso di personalità legate a Metabiota all’interno della compagnia energetica ucraina Burisma. Si veda It’s never a good time for the Hunter Biden story, www.nytimes.com; Hunter Biden did help secure milions in funding for US contractor in Ukraine specializing in deadly pathogen research, laptop emails reveal, raising more questions about the disgraced son of then vice president, www.dailymail.co.uk.

[2]Si veda Joint Statement by civil society representatives on the first politcal steps of the president of Ukraine Volodymyr Zelensky, www.uacrisis.org.

[3]Questi eventi sono stati già riportato nell’articolo Ideologia, propaganda e conflitto, www.eurasia-rivista.com.

[4]Si veda Ukraine civilian casualities as of 24:00 22 March 2022, www.reliefweb.int. A questo proposito è utile ricordare che i 64 presunti attacchi russi ad ospedali ucraini avrebbero prodotto solo 15 morti secondo i dati dell’OMS. Ciò lascia presagire di certo non una volontà stragista o terrorista. Gli “attacchi” a queste strutture sono stati determinati o da tiri errati di artiglieria oppure dalla convinzione che fossero stati trasformati come avamposto  da parte delle forze ucraine (non nuove all’utilizzo di ex ospedali e istituti scolastici come caserme o depositi).

[5]Si veda Creating refuges: displacement caused by United States post 9/11 wars, www.watson.brown.edu.

[6]Si veda Yemen e Afghanistan: il silenzio che uccide, www.piccolenote.ilgiornale.it.

[7]Si veda Un mese di guerra in Ucraina, www.analisidifesa.it.

[8]Ibidem.

[9]Della medesima idea sembra essere l’analista della CIA Larry C. Johnson. Si veda Vetaran CIA analyst claims Ukraine military suffered major losses in war, www.economictimes.indiatimes.com.

[10]L’Occidente, secondo le fonti russe, avrebbe finore inviato a Kiev 100 unità d’artiglieria, 900 missili antiaerei, 3.800 armi anticarro ed oltre 6.500 mercenari.


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Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio Sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).