La contesa Arabia Saudita – Iran, la guerra civile nello Yemen e l’amministrazione Obama

Lo scontro che sta coinvolgendo in queste settimane, la Repubblica dello Yemen e il regno dell’Arabia Saudita, ha origine dalle tensioni socio-economiche all’interno della repubblica di Sana’a. Tensioni che sono sfociate in scontri tra fazioni islamiste; da una parte il al-Tajammu al-Yamani li l-Islah (Raggruppamento Yemenita per le Riforme), movimento wahabita finanziato da Riyadh, la cui ascesa nello Yemen viene contrastata dall’imam Yahya al-Houthi, leaders di un movimento estremista zaidita (una corrente locale derivante dallo shiismo). Fu il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh che dal 1994 armò e finanziò al-Houthi, inviandolo nella città di Saada, affinché contrastasse il diffondersi delle scuole wahabite. Ma col tempo le posizioni tra Sana’a e il movimento zaidita di al-Houthi mutarono, tanto che nel 2004 quest’ultimo ha iniziato a pretendere l’autonomia della provincia di Saada dall’autorità centrale.
L’ultima campagna militare del conflitto è iniziata nell’agosto 2009, quando le forze governative hanno aumentato la pressione militare sui guerriglieri. L’offensiva, denominata ‘Terra Bruciata’, ha provocato 3.800 morti e 16.000 feriti tra i militari e la popolazione civile, cui vanno aggiunti oltre 175.000 sfollati e vaste perdite materiali, secondo la Croce Rossa e le Nazioni Unite. Ciò ha spinto il presidente Saleh a chiedere l’aiuto dell’esercito saudita, per poter proseguire la campagna contro il movimento islamista zaidita.
Da parte sua, l’Arabia Saudita è intervenuta non solo per aiutare Sana’a, ma anche per contrastare gli sconfinamenti del movimento di al-Houthi nella località montuosa del Jebel Dukhan. L’Arabia Saudita teme di trovarsi tra due fuochi: la sollevazione zaidita a sud e un’eventuale insurrezione della numerosa minoranza sciita nel nord, che risiede nelle regioni petrolifere del paese. Le milizie zaidite, secondo Al Sharq Al Awsat, avevano preso il controllo della regione di Qatabar, nella provincia di Saada, al confine tra Yemen e Arabia Saudita. Il regno saudita si è cosi sentito sotto attacco, poiché la regione saudita del Jabal Dokhan, confinante con la provincia yemenita di Sadaa, era stata occupata temporaneamente dalle milizie di al-Houthi; un’azione che è costata due morti alle guardie di frontiera di Riyadh. Già il 10 novembre l’Arabia Saudita aveva imposto il blocco navale alle coste yemenite sul Mar Rosso, nel tentativo di bloccare i rifornimenti ai ribelli. Inoltre, il presidente Ali Abdullah Saleh, per poter strappare il sostegno saudita, ha rinunciato ufficialmente a reclamare quei territori yemeniti che sono occupati dai sauditi dal 1934, che hanno un’estensione equivalente a quella della Siria.
Il movimento zaidita ha, invece, accusato l’aviazione saudita di aver bombardato le proprie postazioni e di aver permesso alle truppe governative yemenite di attraversare il territorio saudita, con lo scopo di accerchiare le milizie del movimento di al-Houthi. Infatti, il 15 novembre 2009 l’aviazione saudita, nell’arco di 24 ore, effettuava 18 attacchi e ha lanciato più di 150 missili contro le postazioni dei ribelli zaiditi, alla frontiera con lo Yemen, colpendo le posizioni degli insorti nelle zone montuose di Jebel al-Doukhan, Jebel al-Doud, al-Sabkhayah e al-Ghaouia, mentre Sana’a inviava dei rinforzi verso la zona dei combattimenti. L’imam Abdel Malik al-Houti avrebbe annunciato, lo stesso giorno, di aver colpito con un razzo katjusha una base militare saudita. Il 19 novembre 2009 l’Arabia Saudita, secondo l’agenzia Press TV, avrebbe attaccato obiettivi civili nello Yemen, nelle regioni montuose del Malahit Maran, nella provincia di Saada. I Sauditi, nelle operazioni contro le forze di al-Huthis, di distanza al confine, e per fermare le infiltrazioni delle frontiere, hanno impiegato caccia-bombardieri, artiglieria pesante, forze speciali e marines. La battaglia più violenta si è svolta nella zona di Khoba, da dove i ribelli sono fuggiti dopo essere stati respinti dall’esercito saudita. La resistenza zaidita avrebbe distrutto 9 veicoli blindati delle forze armate dell’Arabia Saudita, sei Humvee e tre blindati, nelle province settentrionali di Omran e Harf Sufyan. Grave il bilancio degli scontri: 50 ribelli uccisi, 270 catturati e 400 seguaci dell’imam al-Houthi respinti dal territorio saudita, secondo la Tv satellitare ‘al-Arabiya’. Tra le fila delle forze della sicurezza saudita si conterebbero tre soldati morti, 15 feriti e tre dispersi.
Il risultato degli scontri indica quanto la guerriglia zaidita sia attiva al confine meridionale dell’Arabia Saudita. Al momento, le forze di sicurezza saudite controllerebbero la zona di frontiera con l’aiuto di civili armati, per impedire nuovi sconfinamenti da parte dei miliziani zaiditi. Ma nonostante Riyadh avesse dichiarato di aver sotto controllo la provincia, i bombardamenti contro le postazioni dei ribelli proseguivano per qualche giorno, mentre gli abitanti di 240 villaggi della zona non sarebbero ancora potuti tornare nelle proprie case, e le scuole locali rimanevano chiuse. Riyadh ha anche stabilito, nella provincia di Saada, un cordone sanitario profondo 7 miglia all’interno del territorio yemenita. L’intrusione territoriale, a quanto pare, è tollerata dal regime di Saleh.
L’esercito saudita ha detto che gli attacchi sono stati una rappresaglia per un precedente scontro tra i combattenti zaiditi e le forze di sicurezza saudite, dove sono rimasti uccisi due soldati dell’Arabia Saudita. I guerriglieri yemeniti avevano ammonito, il giorno prima, che ci sarebbero state ritorsioni contro l’Arabia Saudita, dato che Riyadh aveva acconsentito che le truppe governative dello Yemen lanciassero attacchi contro di loro, partendo dalla base militare saudita di Jabal al-Dukhan.
La rinuncia alle terre yemenite, già reclamate da Sana’a, ha suscitato viva irritazione presso la popolazione locale, provocando la reazione dei partiti d’opposizione islamici, nazionalisti e di sinistra. Un’opposizione che ha una considerevole base popolare in tutto il paese, e che al termine di un incontro, ha emesso un comunicato congiunto che accusa il governo di aver violato la sovranità nazionale, per poter condurre le operazioni contro la provincia di Saada.
Il presidente Saleh, per giustificare il suo operato e per garantirsi la legittimazione internazionale, soprattutto da USA ed emirati arabi del Golfo, invoca di volta in volta sia il presunto coinvolgimento iraniano a fianco di al-Houthi, peraltro mai dimostrato; sia la presenza di al-Qaida sul territorio nazionale, anche se fu proprio lui ad arruolare migliaia di jihadisti da utilizzare nella guerra contro la provincia di Aden (la ex-Repubblica Democratica Popolare), che nel 1994 si era ribellata all’autorità di Sana’a, e che poi impiegò contro gli altri suoi avversari nel resto del paese. Inoltre, il governo centrale di Sana’a fomenta le tensioni tra i gruppi tribali e settari, soprattutto nelle province nord-occidentali e meridionali del paese. Infatti, i miliziani del capo tribù Muhammad Ahmad Mansour, nella provincia di Ibb, a sud di Sana’a, hanno minacciato di distruggere le abitazioni di chi paga le tasse allo stato invece che al loro leader, come riferisce al-Sahwat. Mansour pretenderebbe per sé il pagamento del zaqat, la tassa islamica che i cittadini dello Yemen versano al governo. E tutto ciò accade mentre diventa sempre più aggressivo il movimento separatista filo-socialista nel sud dello Yemen, e il collasso economico causa disordini.
La milizia di al-Houthi avrebbe affermato, secondo fonti yemenite e saudite, di non appartenere più alla corrente sciita zaidita, tradizionalmente prevalentemente in Yemen, ma a quella duodecimana, prevalente in Iran. In un’intervista pubblicata sul sito iraniano Ayandenews, l’imam Issam al-Imad, che sarebbe collegato al movimento di al-Houthi, sosterrebbe che loro non sono più zaiditi e che studiano esclusivamente su testi religiosi che proverrebbero da Qom, capitale religiosa dell’Iran. Al-Imad sottolinea l’influenza di Khomeini e di Hasan Nasrallah sulla leadership del movimento di al-Houthi, augurandosi che esso instauri una repubblica islamica nel territorio yemenita da loro occupato. Nel frattempo il ministro degli esteri iraniano Manouchehr Mottaki, si é offerto di cooperare col governo dello Yemen per “ripristinare la sicurezza” nel paese, ammonendo che “coloro che versano benzina sul fuoco devono sapere che non saranno risparmiati dal fumo che si alzerà”. Intanto, secondo l’UPI del 18 novembre 2009, l’Iran ha inviato delle navi da guerra nelle acque dello Yemen, nel Golfo di Aden, col pretesto di combattere i pirati somali che predano le principali rotte di navigazione. Il dispiegamento iraniano coincide con il blocco navale dell’Arabia Saudita nel Mar Rosso, che ha inviato tre navi da guerra dalla sua base di Yanbu, per intercettare le spedizioni di armi che, asserisce Riyadh, sono inviate dall’Iran e dall’Eritrea ai ribelli sciiti che combattono le forze saudite nello Yemen del nord. Le relazioni tra l’Eritrea e Yemen sono state tese per qualche tempo, e scontri di frontiera sono stati segnalati negli anni ‘90. Il regime di Asmara è accusato, dai suoi vicini, di aiutare i militanti islamici che combattono in Somalia.
Intanto dei commando delle forze armate giordane si sono, recentemente, uniti all’offensiva contro i combattenti Houthi nello Yemen nord-occidentale, presso il Jebel Al-Dukhan; così afferma il giornale Sada Najdhejaz del 21 novembre. I rinforzi sono stati attivati dall’Arabia Saudita, che ha ricevuto le forze nella base militare di Tabuk, pochi giorni prima, e poi aerotrasportati nei territori dello Yemen del nord. Le unità di rinforzo giordane avrebbero subito pesanti perdite negli scontri con i combattenti di al-Houthi. Le truppe giordane sono state arruolate da Sana’a, dopo che le sue forze non sono state in grado di ottenere dei risultati con l’operazione Terra Bruciata. Questo mentre diverse fonti affermano che i soldati yemeniti sarebbero divisi riguardo alla prosecuzione del conflitto, dove una parte sarebbe demotivata nel combattere i ribelli di al-Houthi. Infatti, sarebbero numerosi i soldati delle forze armate yemenite appartenenti alla corrente religiosa shiita degli zaiditi.
Il governo del presidente Saleh sostiene che anche gli iraniani armano i ribelli zaiditi. Il regime di Sana’a sostiene che la sua marina ha intercettato nel Mar Rosso, il 26 ottobre, una nave con equipaggio iraniano carica di armi. Il comandante dell’esercito iraniano, il maggior generale Hassan Firouzabadi, ha avvertito l’Arabia Saudita che il “terrorismo di stato wahhabita” nello Yemen, potrebbe avere conseguenze in tutta la regione. La stampa ufficiale saudita ha riferito che re Abdullah s’è incontrato con il direttore generale della Central Intelligence Agency, Leon Panetta, a Riyadh il 15 novembre 2009. A Washington, il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, ha incontrato il vice ministro della difesa dell’Arabia Saudita, il principe Khaled bin Sultan, per discutere di “questioni di sicurezza regionale”.
Le forze armate saudite, il 29 novembre 2009, avrebbero ripreso, ai ribelli dello Yemen, la regione strategica di Al-Dood sul confine Arabia Saudita-Yemen, ha affermato il vice ministro della difesa saudita, principe Khaled bin Sultan bin Abdul Aziz. “Le forze armate hanno il completo controllo della zona montuosa Al-Dood, una delle regioni più strategiche”, ha detto secondo i media ufficiali sauditi. Le forze saudite hanno “ripulito ogni centimetro del territorio saudita”, ha continuato, avvertendo che “ogni persona che si infiltrerà, o si arrenderà o sarà ucciso”. Il ministero della difesa dell’Arabia Saudita, il 26 novembre, aveva annunciato che nove soldati erano caduti durante il conflitto. Almeno altri nove soldati e quattro civili sono stati uccisi in Arabia, in base a dati non ufficiali. Il principe Khaled ha anche detto che le forze saudite avevano catturato 75 etiopi e 70 somali, durante le operazioni di frontiera.
L’escalation della guerra dell’Arabia Saudita contro i ribelli nel vicino Yemen, eleva quella che era stata una insurrezione locale contro Sanaa in un conflitto di dimensioni regionali, che potrebbe innescare conflitti più grandi, in una parte del mondo che già guarda nell’abisso. I persistenti combattimenti, che da cinque anni sono alimentati dalla ribellione tribale tra le montagne del nord dello Yemen, aggrava le rivalità regionali.
I sauditi, oggi, sono in lotta contro la tribù che avevano sostenuto durante la guerra civile nello Yemen, nel corso degli anni ‘60, quando l’imamato a cui queste stesse tribù realista portavano fedeltà, fu rovesciato dai repubblicani. I repubblicani sono stati sostenuti dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, l’icona del nazionalismo arabo. Oggi, nella figura del presidente Ali Abdullah Saleh, sono sostenuti da Riyadh. Al centro di questa complessa rete di rivalità regionali, si trova la concorrenza di lunga data tra l’Arabia Saudita e l’Iran su chi sarà la potenza fondamentale nel strategico e ricco di petrolio Golfo Persico. Anche da prima della rivoluzione islamica del 1979, che rovesciò lo Scià di Persia appoggiato dagli Usa, i due vicini del Golfo sono in competizione per la supremazia. La rivoluzione iraniana ha solo infiammato l’ostilità reciproca, con i sauditi che finanziarono l’Iraq di Saddam Hussein, nella guerra del Golfo 1980-88 contro il nemico iraniano.
Riyadh ritiene che Teheran sta sostenendo e armando i ribelli dello Yemen, che sono sciiti, come la stragrande maggioranza degli iraniani. Ma, come il governo di Saleh a Sanaa, i sauditi devono ancora produrre delle prove. Il Gran Muftì della maggioranza sunnita dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdulaziz al-Sheik, ha accusato l’Iran di “collusione nel peccato e di aggressione” e ha chiesto che la minoranza sunnita della Repubblica islamica sia protetta. Il Gen. Hassan Firouzabadi, il capo di stato maggiore dell’Iran, ha accusato i sauditi di compiere “terrorismo di stato”, favorendo il governo assediato di Saleh e la sua scarsa efficienza militare, nella lotta contro la tribù sciita. L’intervento militare dei sauditi nello Yemen, la prima di tali misure dopo la guerra del Golfo del 1991, da parte del regno che ha a lungo perseguito strategie più diplomatiche, potrebbe intensificare il latente conflitto che Riyadh e Teheran stanno conducendo in Libano, nei territori palestinesi e in Iraq.
Il 15 dicembre, l’imam Abdel Malik al-Houthi, leader dei ribelli sciiti yemeniti, affermava che dei raid condotti da aerei statunitensi sulla città di Saada, avrebbero provocato 120 morti e 44 feriti soprattutto i civili. La denuncia di al-Houthi è stata poi ripresa dalla tv iraniana “al-Alam” che avrebbe anche mostrato le immagini delle vittime. Secondo quanto riportano i ribelli sciiti, i caccia statunitensi avrebbero colpito un mercato, alcuni centri dei profughi yemeniti di Saada, e distrutte la moschea Omeir e la moschea Abu Maska. “Abbiamo contato 13 raid in tutto solo ieri e i loro caccia sorvolano il nostro cielo di sera e anche di giorno”. Fino ad ora il governo yemenita non ha confermato la possibilità che i caccia statunitensi abbiano colpito i centri dei ribelli. Inoltre, i ribelli avevano denunciato l’uccisione di 70 civili, il 13 dicembre 2009, in un bombardamento aereo effettuato da aerei sauditi sul villaggio di Bani Maan, nel distretto di Razeh.
73 soldati sauditi sono stati uccisi, 470 feriti e 26 dispersi dopo gli scontri del novembre 2009 tra le forze saudita e yemenita e i ribelli. “Il confronto sul confine meridionale” ha portato a “73 martiri e 26 soldati dispersi”, ha detto il Vice-ministro della difesa saudita, il principe Khaled bin Sultan, nei commenti trasmessi in televisione di una conferenza stampa del 22 dicembre 2009, ad Al-Khoba, nella provincia meridionale del Jizan. “Riteniamo che 12 (soldati dispersi) siano stati uccisi, mentre non conosciamo la sorte di altri 14”, aveva detto il principe Khaled. “Il numero dei feriti ha raggiunto 470, la maggioranza dei quali sono stati curati e rilasciati, mentre 60 rimangono in ospedale”. È stata la prima volta che l’Arabia Saudita rendeva pubblici i dati sui morti in combattimento tra le forze saudite e yemenite e i ribelli sciiti, noti anche come houthis, iniziati il 3 novembre 2009. Il principe Khaled ha detto che la maggior parte delle operazioni erano ormai finite, ma aveva osservato che un piccolo villaggio di frontiera, Al-Jabiriyah, era ancora sotto il controllo Huthi. “Hanno 24 ore per arrendersi, o noi li distruggeremo”, aveva detto rivolgendosi ai ribelli.
La Saudi Air Force, il 18 Dicembre 2009, ha bombardato il confine yemenita con l’Arabia, compresi Jebel al-Dukhan, Jebel al-Rumayh, Jebel al-Madoud e al-Jabiri così come altre città di confine. Più di 70 attacchi aerei sono stati condotti da aerei da guerra sauditi, in 24 ore. Le regioni assediate sono state colpite da circa 165 missili aria-superficie. Tredici civili sono stati uccisi e decine di altri feriti. I combattenti zaiditi affermano che Riyad e Washington attaccano le loro posizioni e colpiscono indiscriminatamente i villaggi yemeniti. Secondo i combattenti, i sauditi usano materiali tossici, tra cui le bombe al fosforo bianco, contro i civili nello Yemen del nord. Il 20 dicembre 2009, un altro bombardamento saudita ha colpito il villaggio di Al-Maajala, nella provincia meridionale di Abyan, uccidendo 49 persone, tra cui 23 bambini e 17 donne. Il villaggio era ritenuto una base di al-Qaida.
I servizi segreti dell’Arabia Saudita hanno costruito una centrale operativa nella capitale dello Yemen, apparentemente per aiutare a coordinare una campagna congiunta contro i ribelli sciiti. Ma il compito principale sembrerebbe essere la caccia agli agenti di una risorgente al-Qaida, che minaccerebbe la monarchia saudita. I sauditi, avversari di lunga data dei repubblicani che hanno trionfato sui realisti, nella guerra civile dello Yemen degli anni ’60. L’ Intelligence Generale della Presidenza dell’Arabia (Saudi General Intelligence Presidency – GIP) è la principale l’agenzia d’intelligence saudita, ha iniziato a operare a Sanaa dal mese di giugno 2009, in seguito a colloqui tra re Abdallah e il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh. Il servizio è stato guidato, dall’ottobre 2005, dal principe Muqrin bin Abdulaziz, il più giovane fratellastro di re Abdallah. Il GIP è stati seguito, diverse settimane dopo, da una unità dei Servizi di Sicurezza Generale (GSS), collegati al Ministero dell’Interno. I GSS dipendono dal principe Mohammed bin Nayef Abdulaziz, il vice ministro cui è assegnato il compito di contrastare terrorismo nel regno saudita. Il principe, responsabile della campagna di frantumazione di al-Qaida in Arabia Saudita, nel 2007, è scampato all’assassinio da parte di un membro yemenita di al-Qaida, nel suo palazzo a Jeddah, il 27 agosto 2009. Entrambe queste potenti agenzie saudite, pilastri della monarchia, hanno lavorato con le forze speciali dell’esercito yemenita. Queste ultime sono comandate dal figlio del presidente yemenita, il colonnello Ahmed Abdullah Ali Saleh, che dovrebbe succedergli.
L’apparato d’intelligence dello Yemen è ritenuto essere pesantemente infiltrato dai radicali islamici pro-alQaida. Così l’entità della cooperazione dei sauditi con i loro omologhi yemeniti non è chiara. Ma la presenza, senza precedenti, dell’intelligence saudita nello Yemen, sottolineerebbe la profonda preoccupazione di Riyadh per la rinnovata minaccia di al-Qaida, e l’incapacità del governo Saleh di sapere – o volere – schiacciare al-Qaida o la rivolta sciita. Tuttavia, fonti dell’intelligence dicono che i sauditi sono riusciti a catturare uno dei finanziatori dei jihadisti; un saudita di nome Hassan bin Hussein Alwan, con l’aiuto dell’Organizzazione di Sicurezza Politica dello Yemen (OSP). Alwan avrebbe operato per lungo tempo in Pakistan, nel Waziristan, lungo il confine con l’Afghanistan. Arrivato nello Yemen, via Oman, nell’aprile 2009, in fuga dall’assedio delle forze pachistane che spazzavano la roccaforte jihadista pakistana. L’intelligence saudita, grazie a una soffiata dell’Inter-Services Intelligence (ISI) del Pakistan, lo ha catturato tre mesi dopo. L’OSP, l’organizzazione dell’antiterrorismo dello Yemen, è diretta da Ghaleb al-Qimch, e i suoi vertici sono composti interamente da ex ufficiali dell’esercito e rispondono direttamente al Presidente Saleh.
Gli statunitensi sospettavano che la spettacolare fuga di 23 prigionieri jihadisti di alto valore, da una prigione di massima sicurezza di Sana’a, il 3 febbraio 2006, attraverso un tunnel di 50 metri, sia stato possibile grazie all’aiuto di agenti dell’OSP. I fuggitivi includevano diversi responsabili di al-Qaida, condannati per l’attacco all’USS Cole nel porto di Aden, il 12 ottobre 2000, che uccise 17 marinai statunitensi. Gli USA sono sempre più presenti nel conflitto, il Generale David Petraeus, alla testa del US CentCom, ha dichiarato alla TV Al-Arabiya, il sostegno statunitense al governo yemenita contro la ribellione zaidita, mentre il Daily Telegraph citava fonti anonime del governo Usa sull’invio di forze speciali statunitensi nello Yemen, per aprire un nuovo fronte del ‘Grande Guerra al Terrore’, dopo Afghanistan, Pakistan e Somalia.
Durante l’estate 2009, re Abdallah dell’Arabia Saudita avrebbe consegnato diverse centinaia di milioni di dollari a Saleh, per contribuire a finanziare i servizi di sicurezza yemeniti a sigillare il confine con l’Arabia Saudita, secondo Intelligence Online, un sito francese che si occupa di intelligence. Con la ribellione del nord in crescita, e con le forze di Saleh incapaci di sconfiggere in modo decisivo i combattenti tribali, Riyadh ha iniziato a fornire aiuti militari, compresi carri armati ridipinti con i colori militari dello Yemen, sempre secondo Intelligence Online. I militari sauditi, infine, si sono mossi contro i ribelli il 4 novembre 2009, dopo che questi avrebbero attraversato la frontiera e ucciso un ufficiale della guardia di frontiera saudita, come è stato già accennato sopra. Il primo effetto di tale collaborazione sono stati i raid delle forze dell’ordine contro le presunte cellule alqaidiste della provincia meridionale di Abyan di quella settentrionale di Arhab e della capitale Sana’a. I tre assalti della polizia yemenita hanno causato la morte di 34 terroristi e l’arresto di altri 17. Secondo la tv al-Arabiya, nella parte nord del Paese sono state arrestate otto persone dotate di cintura esplosiva e pronte per attentati contro scuole, autorità locali e persino pozzi di petrolio. Nel sud invece le forze dell’ordine hanno assaltato un presunto campo di addestramento di al-Qaida, uccidendo circa trenta terroristi. Le operazioni la polizia hanno richiesto l’appoggio di elicotteri da assalto.
Il 24/12/2009 l’esercito yemenita attuava un altro bombardamento aereo nella provincia di Chabwa, a est della capitale Sanaa, dove trentaquattro presunti membri di Al-Qaida sarebbero rimasti uccisi. L’azione è avvenuta pochi giorni dopo che le autorità yemenite avevano riferito di aver sventato degli attentati terroristici. “Il raid è stato compiuto, mentre decine di talebani erano riuniti a Wadi Rafadh”, una regione montagnosa a 650 chilometri da Sana’a. Tra le vittime (non confermate) ci sarebbero stati anche due dirigenti dell’organizzazione di Usama bin Ladin: Saad al-Fathani e Mohammad Ahmed Saleh al-Umir. Gli Usa, quindi, hanno aperto proprio nello Yemen il terzo fronte della ‘Guerra al Terrore’. Nel 2008, la CIA inviò a San’a agenti dell’antiterrorismo e commando speciali che hanno addestrato alle tattiche della contro-insurrezione le forze di sicurezza locali. Il Pentagono, inoltre, ha stanziato più di 70 milioni di dollari per impiegare le sue Forze Speciali nell’addestrare ed equipaggiare i militari yemeniti, raddoppiando gli aiuti militari allo Yemen. La Casa Bianca sta rafforzando i legami con il governo di Saleh.
L’amministrazione Obama teme che lo Yemen possa sfuggire dalla sua area d’influenza, come accaduto alla Somalia, e possa unirsi al processo di sganciamento strategico da Washington, che sta sempre più interessando l’area. Processo simbolizzato dalla creazione di una nuova moneta locale, adottata dal Consiglio dei paesi del Golfo Persico, il ‘Gulfo’. In effetti, nel conflitto yemenita-saudita, si è ulteriormente infiltrata Washington, che dopo il provvidenziale ‘tentato attentato’ dello squilibrato nigeriano Umar Farouk Abdul Mutallab, del 26 dicembre 2009, al Volo 253 Amsterdam-Detroit della Delta Airlines, ha iniziato ad incrementare gli interventi occulti e palesi nello Yemen, e ad avviare una campagna mediatica allarmistica, cui si sono accodati tutti i media mainstream occidentali.
Secondo la CNN, gli Usa pensano a una serie di azioni in Yemen, per ‘reagire alla strage di Natale sul volo Delta per Detroit, mancata per un soffio’. Barack Obama aveva affermato, all’indomani del “tentato attentato”, che “errori e responsabilità umane sono inaccettabili. Dobbiamo imparare da questo episodio”. L’amministrazione Obama ha inviato forze speciali e dell’intelligence statunitensi, che in cooperazione con i militari yemeniti, cercano di individuare obiettivi contro cui attuare le rappresaglie. Afferma la Cnn, “secondo l’amministrazione Obama è venuto il momento di fare i conti con il ramo di Al Qaeda nel Paese, che ha rivendicato la paternità del fallito attacco sul volo per Detroit. Stando alle fonti il Pentagono sta esaminando i possibili obiettivi da colpire insieme alle forze armate yemenite. Non è ancora stato deciso ‘un attacco di rappresaglia’, ma è bene ‘avere pronte delle opzioni qualora il presidente Obama decidesse in questo senso’. Lo scopo, hanno aggiunto le fonti, ‘è di verificare quali obiettivi possono essere considerati legati all’attentato contro il volo Nortwest e alla sua preparazione’”. Il governo di Sana’a, comunque, “‘non ha ancora dato il via libera a un attacco condotto con commando trasportati in elicottero il cui compito sarebbe di catturare sospettati per interrogarli’”.
Lo scopo occulto di questa operazione ‘False Flag’ è convincere l’opinione pubblica occidentale della necessità di intervenire nella penisola arabica, aprendo un altro fronte della ‘Guerra al Terrorismo’. Al-Qaida è lo spauracchio che viene agitato ogni volta che si presenti, per Washington, la necessità di un intervento armato diretto. Con la scusa della lotta al terrorismo islamista, l’Iraq e l’Afghanistan sono stati aggrediti e invasi dagli statunitensi, ma ciò è avvenuto al scopo di perseguire obiettivi strettamente geoceonomici e geostrategici. Lo stesso accade per lo Yemen; dietro alla lotta alla guerriglia zaidita e dietro al contrasto armato della presunta presenza di Al-Qaida, si celano precisi obiettivi geopolitici: a metà dicembre 2009, alcuni emirati del Golfo Persico hanno avviato la prima fase dell’Unione Monetaria del Golfo, che ha come obiettivo il lancio entro dieci anni del Gulfo, la moneta unica degli stati petroliferi del Golfo Persico. Sfiderà il dollaro come mezzo di transazione internazionale. “Il patto dell’unione monetaria del Golfo è diventato realtà”, ha affermato il ministro delle Finanze del Kuwait Mustafa al-Shamali, al summit per il Gulf Cooperation Council (GCC). La prima fase del processo sarà la creazione del Gulf Monetary Council, nucleo di una futura Banca Centrale del Golfo Persico. L’intervento di Washington andrebbe letto in questa ottica, piuttosto che nell’ottica dell’antagonismo iraniano-israelostatunitense nella regione. Difatti, è probabile che la serie di violenze a Tehran, scatenate i questi giorni da organizzazioni ‘riformiste’ finanziate dall’USAID, l’agenzia propagandistica della CIA, siano parte di una manovra volta a creare tensioni nella regione mediorientale, sia distraendo la cosiddetta ‘opinione pubblica’ occidentale dall’imminente ennesimo intervento armato statunitense, nello Yemen; sia intralciando la possibilità dell’Iran di svolgere il ruolo strategico di riequilibratore regionale.
Risulta evidente, comunque, che il comportamento statunitense sta ricalcando ogni giorno di più, l’azione seguita dalle amministrazioni Kennedy, Johnson e Nixon-Kissinger, quando sprofondarono nel pantano indocinese, allargando ad altri teatri il confronto con le forze patriottiche e popolari del VietNam. Prima il Laos e poi la Cambogia furono travolte dall’interventismo armato statunitense. Come nella ‘Guerra al Comunismo’ degli anni ’50-’70, la ‘Guerra al Terrore’ delle amministrazioni Bush II e Obama sta trascinando gli USA da un pantano all’altro. Dall’Afghanistan all’Iraq, e dall’Iraq allo Yemen. Gli esiti per le popolazioni sono i medesimi, ma non è improbabile che l’Asia del Sud-Ovest riservi alle forze armate degli Stati Uniti d’America lo stesso destino che, trent’anni fa, l’Asia del Sud-Est inflisse a esse.
Inoltre, il confronto tra Arabia Saudita e Iran è accentuato dai timori di Riyadh verso l’espansione sciita iraniana e l’emergere di un Iraq governato dai partiti sciiti. La situazione di stallo negli sforzi per assicurare un pace arabo-israeliano, dopo 15 anni di trattative inutili, rende solo le cose più gravi. La prospettiva di un confronto diretto tra l’Arabia Saudita e l’Iran sullo Yemen, alimentato ovviamente dalle attività segrete di entrambe le parti in Libano, in Iraq e nei territori palestinesi, sarà rafforzata, se i combattimenti nello Yemen peggiorano e vi trascinano altri.


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