La ripetizione delle elezioni politiche generali ha sancito (si veda la tabella riassuntiva dell’esito elettorale riportata alla fine dell’articolo) un notevole successo del partito di governo AKP, un mantenimento delle posizioni del repubblicano/progressista CHP e un arretramento del nazionalista MHP e del progressista/filocurdo HDP (questi due ultimi partiti però a giugno avevano registrato un consistente incremento dei voti, per cui l’elezione di novembre può rappresentate una sorta di assestamento, e comunque il superamento della soglia del 10 % utile per la rappresentanza in Parlamento).

Non si è trattato della “vittoria di Erdogan” come continuamente i media occidentali ripetono – con quell’abitudine alla personalizzazione dello scontro politico diffusa soprattutto quando si vuole accentuare il lato critico/polemico del commento – quanto soprattutto la vittoria di un governo che – a torto o a ragione – è visto dalla gran parte dei turchi come il più sicuro garante di un ordinato sviluppo e del rispetto di valori tradizionali. La presenza ad esempio di un partito come lo SP (Saadet PartisI), altrettanto attento alla salvaguardia del profilo islamico della società ma con un approccio geopolitico molto più avanzato e coerente, è stata trascurata dagli elettori, fermandosi il movimento di Kamalak allo 0,7 %.

Il tema geopolitico e della posizione internazionale della Turchia non ha avuto pertanto rilievo nella consultazione elettorale, e tutti i problemi suscitati da una sciagurata superficialità nell’affrontare la situazione siriana – vero epicentro della grave crisi vicinorientale – rimangono inalterati.

Quello che gli elettori hanno voluto riaffermare è piuttosto il radicamento in un tipo di società che l’opposizione “laica” non vuole riconoscere, affidandosi spesso a miti occidentali che sono importati ed estranei al sentire comune; in questo senso l’appartenenza religiosa rimane fondamentale e non può essere ridotta a mera scelta individuale – si tratta di una dimensione comunitaria valoriale che una mentalità globalizzata e globalizzante vive con fastidio.

Un voto che in positivo tende dunque a conservare, a mantenere la costituzione profonda di una società, e che in negativo perpetua una gestione della politica internazionale disastrosa e controproducente, sulla quale occorrerebbe una decisa virata di tendenza.

Primo novembre 2015 – I numeri definitivi:

AKP 49,41 % (a giugno 2015: 40,9)
CHP 25,38 % (a giugno 2015: 25,0)
MHP 11,93 % (a giugno 2015: 16,3)
HDP 10,70 % (a giugno 2015: 13,1)
SP 0,7 %
BBP 0,6 %
VATAN 0,3 %
HAK-PAR 0,2 %
HKP 0,2 %
DP 0,2 %
BTP 0,1 %

Risultati a Istanbul: AKP 48,8 % CHP 30,2 HDP 10,2 MHP 8,6
Risultati ad Ankara: AKP 48,9 % CHP 30,5 MHP 14,1 HDP 4,3
Risultati a Izmir: CHP 46,2 % AKP 31,5 MHP 11,3 HDP 8,8 %
Risultati a Diyarbakır: HDP 71,6 % AKP 22,0 % CHP 1,9 MHP 0,8


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.