Breve panoramica sulle milizie cristiane operanti in Siria e sulla loro evoluzione nel contesto dell’attuale conflitto: dall’ambiguo MFS – Mawtbo Fulhoyo Suryoyo (Consiglio Militare Siriaco) alle forze lealiste di Junud al-Masih (Soldati di Cristo).

 

Le recenti dichiarazioni del Presidente Bashar al-Assad sull’importanza fondamentale per l’esistenza stessa della Siria come Stato sovrano della componente cristiana hanno riportato l’attenzione su una comunità troppo spesso dimenticata in Occidente sia per meri calcoli geopolitici, sia per la percezione di lontananza culturale da un cristianesimo che sotto molti aspetti mantiene invariato il suo carattere originario, genuino e tradizionale.

La Siria, oltre ad aver costituito sin dall’antichità un centro di irradiamento culturale e religioso di primo piano come nel caso della diffusione del culto solare (“provvidenziale intervento dall’Oriente” per René Guénon) nell’Impero romano, ha influito, con i suoi teologi, in modo determinante all’evoluzione della stessa dottrina cristiana; basti pensare all’opera di San Giovanni Damasceno, espressione perfetta di un cristianesimo propriamente orientale e ricco di influenze eurasiatiche.

Nel corso dei secoli il paese ha conosciuto in particolar modo uno sviluppo esteso del culto mariano. Un culto dimostrato dalla presenza di innumerevoli santuari mariani sopravvissuti negli anni del conflitto a saccheggi e distruzioni. Uno dei più importanti senza ombra di dubbio è il monastero di Saidnaya (Signora della Caccia in siriaco), appartenente al Patriarcato ortodosso di Antiochia e meta di pellegrinaggio anche per i musulmani.

Lo stesso Bashar al-Assad, desideroso di portare i suoi omaggi all’icona, attribuita a San Luca, della Vergine Chagoura (celebre in siriaco), trascorse tra le sue mura il natale del 2016 in compagnia della famiglia.

La storia di questo monastero è emblematica riguardo al carattere sacro e tradizionale della presenza cristiana in Siria. La leggenda narra che l’imperatore bizantino Giustiniano I, impegnato in una battuta di caccia nell’area, smarrì la via nei dintorni di Damasco rischiando di morire a causa della disidratazione. La sete venne placata grazie all’aiuto di una gazzella, successivamente identificata da Giustiniano come un messo angelico mariano, che lo condusse ad una fonte d’acqua su quella stessa rocca nella quale l’imperatore volle in seguito far costruire il santuario. Ed all’ingresso del santuario vennero iscritte le parole tratte dal Libro dell’Esodo: “togli le scarpe dai piedi, poiché il luogo in cui ti trovi è terra santa”.

Appare dunque evidente come la distruzione del patrimonio culturale cristiano operato dalle milizie jihadiste, lautamente sostenute dall’Occidente, sia stato percepito come un violento attacco al carattere stesso della Siria.

I cristiani in Siria, prima del conflitto, rappresentavano il 10% della popolazione. Sin dall’inizio del conflitto il governo ha distribuito armi leggere ai civili cristiani in modo da garantire una forma di autodifesa della comunità nei confronti della bande jihadiste. E questi gruppi di autodifesa hanno svolto un ruolo di primo piano nella difesa e  liberazione della Wadi al-Nasara (Valle dei Cristiani) nell’ovest della Siria e delle cittadine a maggioranza cristiana di Maaloula e della già citata Saidnaya nei dintorni di Damasco.

Questi gruppi, nati per la difesa dei luoghi santi cristiani in Siria, nel corso del conflitto, hanno subito una costante evoluzione che gli ha portati ad assumere delle precise caratteristiche nel contesto di una guerra che ha smascherato completamente il progetto occidentale di balcanizzazione etnico-settaria dell’area levantina. Va da sé che anche molti cristiani libanesi, reclutati da Hezbollah soprattutto nell’est del Libano, hanno consapevolmente scelto di unirsi al Movimento di Resistenza nella sua lotta all’ISIS ed ai qaidisti in Siria in base all’idea di una comunanza di lotta e destino che sta scardinando il progetto nordamericano di parcellizzazione dell’area lungo linee etnico-settarie[1].

È altresì un dato di fatto che la strategia sionista, dopo il fallito appoggio alle milizie falangiste nel contesto della guerra civile libanese, sia progressivamente evoluta attraverso l’appoggio alle forme più brutali dell’islamismo politico radicale, con il preciso obiettivo di distruggere gli Stati limitrofi, islamizzandoli e cacciando ogni componente religiosa “altra” rispetto alla distorsione anti-tradizionale dell’Islam attuata da gruppi in vario modo collegabili al wahabismo.

Non è un caso se il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, nel discorso del 25 maggio 2013 con il quale ha annunciato il coinvolgimento del Partito di Dio nel conflitto siriano, ha affermato: “Una fazione dell’opposizione siriana sostiene il dialogo ma un’altra fazione lavora per gli americani e gli israeliani […] La crescita di questi movimenti non costituisce una minaccia solamente per gli sciiti ma per tutti i libanesi, siano essi musulmani o cristiani. La Siria rappresenta un sostegno essenziale per la Resistenza. La Siria è la spina dorsale della Resistenza. La Resistenza non può rimanere a braccia incrociate mentre le sue spalle sono scoperte ed il suo sostegno spezzato”[2]

Ed i volontari cristiani hanno avuto un ruolo di rilievo nelle recenti operazioni militari congiunte tra l’Esercito libanese, Hezbollah e l’Esercito arabo siriano, volte a liberare dalla presenza jihadista l’area di Arsal nella strategica valle libanese della Bekaa: area di fondamentale importanza strategica per la presenza dei fiumi Oronte e Leonte e capace di produrre il 40% delle risorse agricole del paese.

Una delle comunità cristiane che più ha sofferto la presenza in Siria dei gruppi jihadisti è stata senza ombra di dubbio quella assira; espressione della Chiesa assira d’Oriente fedele alla dottrina nestoriana pre-calcedonese delle due nature distinte del Cristo che raccoglie a livello globale 400.000 seguaci (soprattutto in India e Stati Uniti)[3]. Questa comunità, antichissima ma relativamente nuova in Siria[4], insieme ad una cospicua componente siriaca[5], sin dal 2013, nel governatorato di al-Hasakah, diede vita ad un gruppo di autodifesa successivamente scissosi in due fazioni, una anti-governativa e l’altra lealista.

Il Sutoro – Mawtbo d’Sutoro Suryoyo (Ufficio di Sicurezza Siriaco) è un forza di polizia assiro-siriaca operante nell’area nordorientale della Siria, espressione del SUP (Partito dell’Unione Siriaca)  a sua volta collegato al già citato gruppo paramilitare MFS (Consiglio Militare Siriaco) parte integrante delle cosiddette Syrian Democratic Forces a guida statunitense. Alleato, di fatto, delle forze curde dell’YPG (Unità di Protezione Popolare), il Sutoro (che prende il nome da un’antica preghiera in aramaico), operante all’interno della Federazione settentrionale della Siria – Rojava, si è reso tristemente famoso per operazioni di saccheggio ai danni della stessa comunità cristiana che teoricamente sarebbe chiamato a difendere[6].

Il Sutoro (che non a caso utilizza acronimi inglesi per auto-identificarsi) non deve essere confuso con le Forze di Protezione Sootoro/Gozarto, espressione anch’esse della comunità assiro-siriaco ma con una non irrilevante componente armena. Nate nel 2013 nella città di Qamishli, le Forze di Protezione Gozarto a differenza del Sutoro, sono schierate con il legittimo governo siriano ed hanno svolto un ruolo di primo piano anche nella rottura dell’assedio a Deir ez-Zor.

Un’altra milizia cristiana di rilievo è la Quwat al-Ghadab (Forze della Rabbia), fondata nella città greco-ortodossa di Suqaylabiyah e protagonista di azioni antiterrorismo a Tal Uthman e nella provincia di Latakia[7]. Il leader del gruppo è Philip Suleyman. Scagionato da un’accusa di contrabbando dopo una breve permanenza in carcere[8], Suleyman è notoriamente amico di Nabil al-Abdullah, capo del ramo di Suqaylabiyah della Forza di Difesa Nazionale la cui creazione è stata personalmente supervisionata dal generale delle Sepah e-Qods (forze speciali della guardie rivoluzionarie iraniane) Qasem Sulaimani, a loro volta sotto diretta supervisione della Guida Suprema Ali Khameini.

L’Asad al-Qarubin (Leoni dei Cherubini) è una forza creata nel 2013 durante l’attacco terroristico al monastero dei Cherubini di Saidnaya. La milizia, collegata agli Huras al-Fajr (Guardiani dell’Alba) e sviluppatasi sul modello delle milizie sciite, ha partecipato a diverse operazioni anche all’infuori di Saidnaya, soprattutto nel Ghouta a Daraya, Homs, Qalamon e Jubar[9]. Agli Huras al-Fajr sono inoltre collegabili i gruppi Ararat, Asad al-Wadi, Asad al-Hamidiya e Asad Duala[10].

Non è altresì da sottovalutare il ruolo pro-governativo della Chiesa cattolica greco-melchita: Chiesa cattolica sui iuris di rito bizantino[11]. Durante il recente incontro con il nuovo patriarca Youssef a Damasco, il presidente Assad ha infatti sottolineato “il ruolo fondamentale, a livello nazionale, che i cristiani hanno svolto nel custodire il senso di unità e di appartenenza nazionale di fronte ai tentativi di diffondere idee estremiste”. 

Non è dunque un caso se nel febbraio del 2016 il gruppo cristiano siriano Junud al-Masih (Soldati di Cristo) aderente agli Asad al-Qarubin, pubblicava la dichiarazione: “La Siria è bella con Assad. Al vostro servizio nell’anima e nel sangue, per il nostro presidente Bashar al-Assad, abbiamo iniziato con cinque gruppi e oggi siamo diventati più di quindici gruppi armati cristiani”[12].


NOTE

[1]    Si veda a tal proposito A. Maddaluno, Le spartizioni di Stati sovrani lungo linee etniche e La trappola delle letture settarie, su www.eurasia-rivista.com.

[2]    S. Fabei – F. Polese, I guerrieri di Dio. Hezbollah dalle origini al conflitto in Siria, Ugo Mursia Editore, Milano 2017, Cap. XXII – Il ruolo di Hezbollah in Siria, p. 287.

[3]    É emblematico il fatto che la sede del Patriarcato di Seleucia-Ctesifonte sia stata trasferita prima a Chicago dal patriarca Mar Dinkha IV e successivamente ad Erbil, nel 2015, dal suo successore Mar Gewargis III Sliwa.

[4]    La comunità assira giunse in Siria dall’Iraq a seguito delle persecuzioni subite ad opera del governo dei Giovani Turchi nell’Impero ottomano (non a caso un governo espressione di società segrete deviate di stampo massonico e giudaico nate nell’area balcanica dell’Impero) durante la Prima Guerra Mondiale, ed a seguito di una violenta ribellione, conclusasi in scontri settari, nell’Iraq hashemita sotto mandato britannico nel 1933.

[5]    Espressione della Chiesa ortodossa siriaca: una Chiesa autocefala monofisita che utilizza il siriaco (idioma appartenente alla famiglia linguistica dell’aramaico) come lingua liturgica. 

[6]    M. Bader, Christian militias loot Christian in northeastern Syria, su www.middleasteye.net.

[7]    A. Lattanzio, Le formazioni paramilitari siriane, su www.aurorasito.wordpress.com.

[8]    A. J. Al-Tamimi, Quwat al-Ghadab: a Pro-Assad Christian militia in Suqaylabiyah, su www.aymenjawad.org.

[9]    A. Lattanzio, Le formazioni paramilitari siriane, ivi cit.

[10]  Ibidem.

[11]  Melchita deriva da malkà (sovrano in siriaco) e indica i fedeli che a seguito del Concilio di Calcedonia del 451 d. C. conservarono le posizioni cristologiche dell’imperatore bizantino.

[12]  A. Lattanzio, Le formazioni paramilitari siriane, ivi cit.


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Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio Sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).