Resoconto della conferenza: “CONDUCĂTOR, l’edificazione del socialismo romeno”.
 
 
Secondo il dott. Marco Costa, autore del saggio Conducator: l’edificazione del socialismo romeno, pubblicato dalle Edizioni all’insegna del Veltro, gli avvenimenti romeni del dicembre 1989 costituiscono il primo episodio di un’onda lunga di destabilizzazione condotta dall’Occidente, che, proseguita nel corso degli anni in Serbia e in Ucraina, arriva oggi fino alla Libia e alla Siria. Durante il periodo della “Guerra Fredda” la Romania ebbe una sua autonomia e l’elemento di rottura con il blocco sovietico fu quello identitario; da qui la definizione di “nazionalcomunismo” per l’esperimento condotto da Ceausescu. Il Conducator si oppose alla divisione internazionale del lavoro programmata a Mosca, secondo la quale alla Romania doveva essere assegnato il ruolo di semplice fornitrice di materie prime nell’ambito del Patto di Varsavia. Ma, dopo le aperture fatte ad Ovest negli anni precedenti, Bucarest giocò la carta autonomista anche nei confronti dei “poteri forti” vicini a Washington, svincolandosi dal ricatto usurocratico imposto dal Fondo Monetario Internazionale e azzerando il proprio debito estero. A caratterizzare il progetto di Ceausescu fu, in particolare, la dottrina del “multilateralismo sviluppato”, cioè una richiesta di policentrismo nelle relazioni internazionali; la fine della politica dei blocchi, lo scioglimento della NATO e del Patto di Varsavia, il ritiro delle basi statunitensi dell’Europa ne avrebbero dovuto costituire i presupposti. Questa idea antimperialista si scontrò con alcune contraddizioni della politica romena. Davanti al conflitto arabo-israeliano del 1967, per esempio, mentre gli altri paesi del Patto di Varsavia rompevano i rapporti diplomatici col regime sionista, la Romania si limitava ad una condanna formale dell’aggressione militare intrapresa da Tel Aviv. Una analoga posizione di equidistanza venne assunta da Bucarest nel 1968, al momento dell’entrata dei carri armati sovietici a Praga: la Romania non avallò l’intervento di Mosca e, pur non schierandosi a favore delle controriforme promosse da una parte della classe dirigente cecoslovacca, ne sostenne le ragioni autonomiste. Diversi i rapporti di Ceausescu col Terzo Mondo. Quelli con l’Iran furono sempre ottimi, sia prima sia dopo il 1979; quanto all’Africa, Ceausescu sostenne finanziariamente la guerriglia antimperialista in Angola. Come definire gli avvenimenti del dicembre 1989? Se è vero che la decisione di pagare il debito estero aveva generato dure condizioni di vita e quindi un diffuso malcontento popolare, tuttavia non di “rivoluzione” si trattò, bensì di un colpo di Stato sponsorizzato da Voice of America e Radio Free Europe. Anzi, secondo Costa si trattò della prima controrivoluzione postmoderna. In Italia, le falsificazioni su questi avvenimenti vennero accolte acriticamente da tutto quanto lo schieramento politico, PCI compreso, nonostante negli anni precedenti Nilde Iotti fosse arrivata a candidare Ceausescu al Premio Nobel per la Pace. Se importanti opinionisti come Ignacio Ramonet hanno definito l’invenzione dell’eccidio di Timisoara e le presunte fucilazioni attribuite a Ceausescu come “il più grande inganno mondiale dopo l’invenzione della televisione”, rimane indispensabile ancora oggi sottoporre ad un’obiettiva indagine storica l’esperienza nazionalcomunista della Romania.

Nel suo intervento il Direttore di “Eurasia”, Prof. Claudio Mutti, ha ricordato che la Romania, per via della sua peculiare collocazione geografica, è destinata ad agevolare le relazioni tra i paesi più industrializzati dell’Europa e quelli del Vicino e Medio Oriente; che l’appartenenza all’Ortodossia la colloca in un’area di dimensioni eurasiatiche, estesa da Belgrado a Vladivostok; che la simultanea appartenenza alla famiglia neolatina ne fa un potenziale elemento di raccordo tra le confessioni cristiane occidentali e quelle del cristianesimo orientale; che la Transilvania in particolare è il punto di convergenza di tre settori della geografia linguistica europea. Regione centrale e intermedia per eccellenza, dopo il 1945 la Romania (assieme agli altri paesi dell’Europa centro-orientale) venne a trovarsi al centro della lotta per il potere mondiale. Pur non mettendo mai in discussione l’appartenenza al Patto di Varsavia, essa mantenne buone relazioni di vicinato anche con paesi caratterizzati da un diverso sistema politico e sociale, come la Grecia e la Turchia. Nel dissidio tra Unione Sovietica e Cina, non solo Bucarest non si schierò con l’una o con l’altra parte, ma operò ai fini del riavvicinamento cino-americano, che Henry Kissinger riteneva necessario per la sua strategia antisovietica. Il prof. Mutti ha inoltre tentato di spiegare la peculiare posizione di Ceausescu di fronte al conflitto arabo-israeliano col fatto che i Romeni vedevano di buon occhio l’esistenza di una colonia sionista in grado di allontanare dalla Romania i numerosi ebrei che vi si erano stabiliti. Tuttavia ciò non impedì che elementi sionisti rimasti in Romania partecipassero attivamente al colpo di Stato del dicembre 1989. Per comprendere quell’evento, bisogna tenere in considerazione diversi fattori: non solo il ruolo dei servizi segreti occidentali, ma anche l’intento sovietico di recuperare il controllo sullo spazio romeno, intento che però finì per essere funzionale alla conquista statunitense dell’ex Europa Orientale. Inclusa dalla coppia Bush-Rumsfeld tra le nazioni della New Europe, oggi la Romania è un tassello del “cordone sanitario” antirusso e, in particolare, svolge il ruolo di sentinella dell’Occidente sul Mar Nero. Per queste ragioni sarebbe necessario che la Romania ridefinisse al più presto la propria identità geopolitica, proponendosi quale ponte geostrategico tra l’Europa e la Russia.

Calin Mihaescu, di “Editura Eurasiatica”, ha esordito ricordando l’importanza della pubblicazione dei lavori di Aleksandr Dugin in Romania. Di fatto il popolo romeno non è russofobo, ma questo sentimento è indotto da una determinata corrente anticomunista e antirussa installatasi al potere nel paese. La generazione seguita al crollo del Muro di Berlino aveva mitizzato il modello comunista occidentale nella sua forma più ampia, perché la democrazia liberale prometteva libertà e prosperità. In realtà l’economia della Romania dopo il 1989 è stata completamente distrutta per aver seguito le ricette monetarie del Fondo Monetario Internazionale, mentre non si può nemmeno parlare di “democrazia” e “libertà”, in quanto, se un candidato alternativo parzialmente anti-sistema come Vadim Tudor arriva al ballottaggio durante le elezioni presidenziali, tutti gli altri partiti si uniscono contro di lui e il candidato viene linciata mediaticamente. Dopo questa disastrosa ubriacatura liberale è possibile che gradualmente si ritorni ad una politica di nazionalizzazioni, perché sta emergendo una nuova generazione che non mitizza più l’ideologia occidentale ed è economicamente disperata, perché non ha accesso nemmeno a servizi sociali essenziali come quello dell’abitazione. Tracciando un confronto con il passato, Mihaescu ha sottolineato che durante il periodo di Ceausescu c’era almeno una politica estera indipendente, mentre oggi la Romania si trova in ginocchio di fronte agli USA e alla NATO. Quando governava il Partito Comunista, c’erano circa 600.000 dipendenti statali; adesso ce ne sono 1.500.000, frutto delle clientele dei vari partiti politici. Nessun miglioramento può arrivare da un governo “tecnico”, ma paradossalmente la Romania può cambiare più rapidamente e radicalmente le proprie condizioni rispetto ai paesi occidentali proprio grazie alla sua passata eredità di stampo socialista. L’esperienza nazionalcomunista romena può anche fornire spunti positivi all’economia europea, anch’essa in forte crisi. Se dopo la caduta di Ceausescu la Romania avesse cercato di opporre resistenza al Nuovo Ordine Mondiale, avrebbe subito la stessa sorte della Jugoslavia di Slobodan Milosevic, destabilizzata, spezzettata e bombardata; la Russia non avrebbe potuto aiutarla e la Cina era ancora troppo debole dal punto di vista militare. Ma la dominazione occidentale è solo temporanea e verrà superata dalla vittoria del progetto eurasiatico.

Preceduto dalla lettura di un messaggio di saluto della Segreteria del partito comunista romeno ai partecipanti alla conferenza, l’intervento del rappresentante del partito in Italia ha efficacemente illustrato la situazione della Romania in seguito alla caduta di Ceausescu. Le speranze dei giovani si sono infrante ben presto a causa della mancanza di lavoro ed oggi la Romania non ha più alcun motivo di orgoglio, né dal punto di vista economico né da quello della sicurezza, ma si trova in condizioni disperate. Serve perciò un riscatto nazionale e la volontà di rialzare la testa in tutti i campi, anche nell’ambito culturale e sportivo, vista l’importante tradizione romena. I romeni immigrati in Italia che non si sono integrati gettano solo fango sul loro popolo; occorre perciò maggiore severità per i loro crimini, rafforzando la cooperazione tra italiani e romeni onesti, due popoli che hanno molte radici comuni.

Ha concluso il convegno il dott. Luca Bistolfi, collaboratore di “Eurasia”, dedicando la propria attenzione sui tragici avvenimenti del dicembre 1989. Se finora solo il Prof. Claudio Mutti aveva dimostrato un’attenzione scientifica e competente rispetto a quanto accaduto in Romania, nel maggio di quest’anno uscirà finalmente in Italia un lavoro organico e completo. Bistolfi ha confermato che Ceausescu aveva esautorato gli elementi sionisti che avevano dominato il partito comunista dal 1946 al 1952, allentando contemporaneamente la pressione del regime sui cittadini. Parlando poi dell’eliminazione di Ceausescu, decisa a Malta da Bush e Gorbaciov, Bistolfi ne ha indicato la causa nel fatto che il Conducator aveva saldato completamente il debito romeno con l’estero e stava cercando di fondare, assieme a Libia, Iran e Kuwait, una Banca mondiale che concedesse prestiti a tassi bassissimi ai paesi in via di sviluppo. Che Ceausescu nel dicembre 1989 non riuscisse più a controllare i vertici delle Forze Armate e della Securitate è testimoniato dal fatto che tra il 16 e il 17 del mese tentò di esautorarli, ma invano, perché il colpo di Stato era ormai in atto. Nonostante vi siano stati quasi 2.000 morti, ancora oggi non si sa con esattezza chi abbia sparato sulla folla; certo non fu Ceausescu a decretare l’ordine, visto che in quei giorni egli si trovava in fuga nella campagna valacca. I massacri successivi, almeno fino al 1991, vanno invece attribuiti ad Iliescu. In Italia ci fu certamente un diktat politico affinché i mezzi di comunicazione non ne parlassero, come è testimoniato dalla vicenda del giornalista Paolo Guzzanti, che decise di abbandonare il quotidiano “La Repubblica” quando vide censurati i suoi resoconti dalla Romania.

* Di Stefano Vernole – redazione di “Eurasia”

 
 
 
 
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