Venerdì 20 aprile si è tenuto il convegno “Europa e democrazia: il caso ungherese”, organizzato dalle cattedre di Diritto costituzionale e di Diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma.

Purtroppo, nonostante la partecipazione di due costituzionalisti comparatisti, il convegno non ha approfondito per nulla il tema della Legge Fondamentale dell’Ungheria emanata il 25 aprile 2011, ma si è limitato a riproporre le argomentazioni polemiche abbondantemente divulgate dalla grancassa giornalistica. Lo stesso testo costituzionale, oggetto teorico delle relazioni accademiche, non è stato accostato dai convenuti, per loro stessa ammissione, se non attraverso una traduzione inglese di incerta origine, tant’è vero che il documento in questione è stato citato come “the new Constitution of Hungary”! (Eppure una traduzione italiana del Preambolo apparve nel 2001 su “Eurasia” ed una traduzione integrale della Carta è disponibile dall’aprile di quest’anno nella sezione Documenti del sito di “Eurasia”).

Più che un’iniziativa di carattere scientifico, dunque, il convegno di Parma è sembrato un processo animato da pregiudizi ideologici.

Ciò è apparso chiaro fin dall’introduzione del prof. Antonio D’Aloia, che con tono allarmato ha ripetutamente definito “inquietante” il nuovo testo costituzionale, mentre un altro relatore, il prof. Roberto Toniatti, ha elencato per esteso i motivi d’inquietudine che turbano le coscienze autenticamente democratiche.

“Inquietante”, a quanto pare, è il fatto che la carta costituzionale si apre col verso iniziale dell’Inno di Ferenc Kölcsey (1790-1838): “Dio, benedici l’Ungherese!” (Isten, áldd meg a Magyart), la poesia che, musicata da Ferenc Erkel, è diventata inno nazionale. E’ inquietante la citazione dell’inno nazionale? O, più probabilmente, è il richiamo a Dio che risulta inquietante per una coscienza laica e democratica? Se è così, allora si dovrebbe rivedere e correggere anche l’inno nazionale italiano, il quale, evocando una Vittoria poeticamente personificata, dice che “schiava di Roma – Iddio la creò”. E perché la coscienza laica del prof. Toniatti non è inquietata da formule ufficiali e istituzionali come “God bless America!” e “In God we trust”? Forse perché sono americane e non ungheresi?

Altrettanto “inquietante” è la dichiarazione costituzionale secondo cui lo Stato ungherese si impegna a “custodire l’unità spirituale e morale della nostra Nazione, andata in pezzi nelle tempeste del secolo scorso”, perché su questo punto si fonda l’estensione della cittadinanza ungherese, con relativo diritto di voto, ai connazionali che sono cittadini dei paesi confinanti. Come mai non risulta inquietante, per fare un solo esempio, il fatto che la cittadinanza dello “Stato d’Israele” sia legalmente accessibile a tutti gli ebrei del mondo, i quali possono essere simultaneamente cittadini tanto dello Stato in cui risiedono quanto dell’entità sionista?

“Inquietante” è pure il fatto che la nuova Costituzione riconosce l’esistenza di nazionalità facenti parte della comunità politica ungherese. Infatti il testo costituzionale, tradotto in italiano (anziché in inglese), recita così: “Le nazionalità che vivono con noi sono parti della comunità politica ungherese e fattori costitutivi dello Stato”. In effetti il pregiudizio individualistico, che sostituisce la comunità organica con la “società degli individui” e riduce il cittadino a “uomo senza qualità”, né nazionale né religiosa né altro, rende incomprensibile una concezione come questa, nella quale si coglie il ricordo dell’esperienza storica vissuta dagli Ungheresi nell’edificio multinazionale della duplice Monarchia.

Particolarmente “inquietante”, soprattutto per un giurista che si occupa dei “diritti LGBTI (Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex) nel XXI secolo” è la definizione del matrimonio come “comunione di vita (életközösség) tra uomo e donna”. Ma una persona normale si inquieterebbe al pensiero che il matrimonio possa esser definito diversamente.

Nella seconda parte del testo costituzionale, che concerne diritti e doveri dei cittadini, ha suscitato analoga inquietudine l’articolo II, il quale afferma che la vita umana è protetta fin dal momento in cui viene concepita. A chi sostiene che tale articolo viola i valori europei, bisognerebbe obiettare che esso, al contrario, è perfettamente conforme al principio del diritto romano secondo cui “infans conceptus pro nato habetur” (il bambino concepito è considerato come nato).

O forse ciò che più d’ogni altra cosa inquieta gli alfieri dei “diritti umani” è proprio il punto che è stato sottaciuto dai giuristi, ossia quello che rinvia all’attività del legislatore l’attuazione di una disposizione concernente la Banca Centrale Nazionale, ispirando una serie di riforme costituzionali che mirano a porre l’attività creditizia al servizio della comunità, e non degli speculatori?


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