«Mr. George» e il «detenuto ad alta pericolosità numero 1»

«Mr. George» ha acquisito una certa notorietà nel gennaio 2008 quando CBS News ha rivelato la sua vera identità e l’ha presentato come «l’americano che meglio conosce Saddam Hussein» nella sua famosa trasmissione “60 minutes”. Mr. George, alias George Piro, è arrivato negli Stati Uniti a 12 anni coi suoi genitori, cristiani libanesi, che fuggivano dalla guerra civile. Dopo il suo servizio militare nell’US Air Force, si è arruolato nella polizia della California ed è entrato nel FBI, dove non erano molti gli agenti che parlavano correntemente l’arabo. Nel febbraio 2004, fu inserito nel gruppo – legato all’Iraq Survey Group (ISG) di Charles Duelfer – incaricato di «far parlare» il presidente iracheno circa le armi di distruzione di massa, i suoi presunti legami con Osama Bin Laden… e di estorcergli informazioni sulla resistenza irachena.

Piro deve la sua designazione come interrogatore a Jerold Post, profiler in capo alla CIA, ed all’israeliano Amatzia Baram, professore all’Università di Haifa, che passano come specialisti della personalità di Saddam Hussein. Pensano che sarebbe più facile per un giovane arabo conquistare la fiducia del «detenuto ad alta pericolosità numero 1».

Gli interrogatori di Saddam Hussein e degli altri dirigenti baasisti sono valsi a George Piro due decorazioni ed hanno assicurato la sua promozione. In attesa di scrivere le sua memorie, egli racconta in alcune conferenze sulla sicurezza come abbia interrogato il presidente iracheno. Successo assicurato!

Saddam e le armi di distruzione di massa

«Mr. George» affronta la questione della armi chimiche a più riprese. Senza il loro utilizzo contro l’Iran, domandò a Saddam l’8 febbraio, l’Iraq avrebbe perso la guerra? «Non rispondo. Non risponderò», ma ricorda che l’Iran ha fatto, all’inizio, ricorso alle armi chimiche nel settembre-ottobre 1981 a Mohammara (Khorramchahr, in persiano).

A proposito della risoluzione 687 dell’ONU che impone all’Iraq di riconoscere l’esistenza delle armi chimiche e di accettare la loro distruzione, egli fece notare che gli Stati Uniti avevano utilizzato delle armi vietate in Vietnam ma che nessuno era andato a perquisire la Casa Bianca. «Se avessi avuto tali armi [proibite], avrei lasciato che le forze statunitensi si installassero nel Kuwait senza attaccare?». La commissione britannica Chilcot, che attualmente porta avanti l’inchiesta sull’intervento militare condotto in Iraq, ha confermato che gli occidentali sapevano che egli non ne possedeva più, ed ha obbligato Tony Blair a riconoscere il 12 dicembre, in un’intervista sulla BBC, che la guerra era quasi del tutto diretta contro Saddam ed i suoi due figli.

Curiosamente, sebbene un passaggio del rapporto del FBI dica che Saddam sia stato interrogato sulla guerra chimica nel Kurdistan Iracheno, le sue risposte non sono riportate in nessuna parte: ciò lascia pensare che la battaglia di Halabja non si sia svolta come i media occidentali hanno descritto.

Bin Laden e la politicizzazione dell’Islam

Saddam Hussein non aveva ovviamente nulla a che fare con l’attentato al World Trade Center del 26 febbraio 1993, neanche con quelli dell’11 settembre 2001 contro le torri gemelle. Egli ha affermato di non aver mai incontrato Osama Bin Laden, paragonandolo ad un zelota, né collaborato con lui. L’Iraq ed Al-Qaeda non avevano gli stesso nemici. Il suo paese si era opposto alla politica degli Stati Uniti, che è diverso. Se egli avesse voluto accordarsi coi nemici degli Stati Uniti, lo avrebbe fatto con la Corea Del Nord, con cui l’Iraq manteneva delle relazioni, o con la Cina. Detto questo, egli si opponeva a chiunque collaborasse con l’Occidente contro il suo paese.

Saddam disse a Mr. George che credeva sì in Dio, ma che non era un fanatico. La visione che aveva Bin Laden dell’Islam non era la sua. Pensava che non bisognasse mischiare religione e politica. L’ideologia baasista non era religiosa; nel suo partito, non si sapeva per forza chi era sunnita, sciita o cristiano. Egli stesso aveva appreso che Tarek Aziz era cristiano molto tempo dopo il loro primo incontro. Ha smentito il fatto che la stampa irachena abbia applaudito agli attentati dell’11 settembre. Si era invece interrogato sulle ragioni che potevano aver spinto degli uomini a compiere tali atti.

Saddam e la guerra Iran-Iraq

Dopo gli accordi di Algeri del 1975 tra l’Iraq e l’Iran, il governo iracheno informò l’ayatollah Khomeini, rifugiato in Iraq, che non «sarebbe stato consegnato» allo Scià, ma che, in quanto «ospite», non avrebbe più dovuto intromettersi negli affari iraniani. «Khomeini rifiutò di cessare le sua attività e dichiarò che se queste erano contrarie alla politica dell’Iraq, se ne sarebbe andato» disse Saddam Hussein. Tentò di recarsi nel Kuwait che gli negò l’accesso. Se l’Iraq non l’avesse riammesso sul suo territorio, l’ayatollah sarebbe forse stato lasciato all’Iran, ma ciò non avrebbe cambiato nulla, aggiunge Saddam, il popolo iraniano «non voleva più lo Scià, Khomeini era diventato un simbolo». Alla domanda di sapere se l’ayatollah iracheno Muhammad al-Sadr, giustiziato nel 1980 a Bagdad, poteva anch’egli divenire un simbolo, Saddam rispondeva: «Forse».

Per quanto riguarda le origini della guerra Iran-Iraq, Saddam ricorda che prima del 29 settembre 1980, data dell’inizio della guerra, c’erano stati «540 attacchi» iraniani contro l’Iraq, tra cui 249 raid aerei o incursioni. Navi irachene e straniere erano state affondate nello Shatt al-Arab, raffinerie bombardate. Le Nazioni Unite ne erano al corrente. Qual era l’obiettivo della guerra? gli chiede «Mr. George». È l’Iran che deve rispondere, è lui che l’ha cominciata. Un fanatico religioso come Khomeini, disse Saddam, «pensava che tutti i dirigenti fossero simili allo Scià e che, avendolo rovesciato, potesse fare lo stesso anche altrove, ivi compreso l’Iraq». Nonostante ciò, egli non rimpiange di averlo così ben accolto a Najaf.

1990: il Kuwait ed il complotto americano-sionista

Mentre gli Stati Uniti sono all’origine della prima guerra del Golfo, nel 1991, ci si chiede che cosa cercasse il FBI dedicando a ciò non meno di cinque lunghi colloqui con Saddam Hussein. Egli ha ricapitolato per «Mr. George» gli avvenimenti conseguenti l’arrivo delle truppe irachene nel Kuwait nell’agosto 1990, in particolare la diminuzione del prezzo del petrolio a 7 dollari al barile per impedire all’Iraq di ricostruire le sue infrastrutture. Saadun Hamadi, ministro iracheno degli Affari Esteri, tornando dal Kuwait, era convinto che si tramasse con «gran forza» una cospirazione contro l’Iraq . Erano state organizzate manovre militari dal generale americano Schwarzkopf nel Kuwait, nel corso delle quali l’Iraq era designato come nemico. Contemporaneamente, i kuwaitiani che reclamavano il pagamento dei debiti maturati dall’Iraq durante la guerra contro l’Iran, riconoscevano di aver rubato dei miliardi di dollari di petrolio effettuando trivellazioni trasversali sotto la frontiera.

Secondo Saddam Hussein, gli Stati Uniti hanno preso di mira l’Iraq a causa delle pressioni esercitate da Israele e dalle lobby militar-industriali americane sulla politica estera statunitense. Dopo l’occupazione dell’emirato, gli iracheni hanno scoperto dei documenti avvaloranti la tesi del complotto.

L’attacco del Kuwait è stato deciso in ragione dell’assenza di una soluzione politica alla crisi e prima che la costruzione delle sue linee di difesa (dietro le quali l’esercito americano doveva istallarsi) fosse terminata. Era una guerra preventiva. L’emirato è stato invaso in due ore e mezza. I suoi capi, messi al potere dai britannici, sono fuggiti o sono stati espulsi. Il Kuwait è stato dichiarato «19ma provincia» molto semplicemente perché, storicamente, è una terra irachena. Saddam ha negato che le truppe irachene vi avessero commesso delle atrocità. Egli ha precisato che in quest’ambito rispetta un documento più antico della Convenzione di Ginevra: il Corano, il quale prescrive di trattare i prigionieri di guerra con nobiltà. Saddam ha detto di aver dato personalmente l’ordine di lanciare dei missili Scud su Israele, poiché la «potenza sionista» era all’origine del male dell’Iraq.

Il sostegno dell’Iraq al popolo palestinese

L’Iraq ha sempre riconosciuto l’Organizzazione della Liberazione della Palestina (OLP) come il solo rappresentante legale del popolo palestinese, dice Saddam. Ha qualificato come «buone» le relazioni con la centrale palestinese. Quelle con le organizzazioni palestinesi erano talvolta burrascose. Nel 1978, ad esempio, il Fatah aveva dovuto chiudere i suoi uffici a Bagdad dopo aver distribuito dei volantini propagandistici che criticavano il governo iracheno. L’Iraq appoggiava il Fronte di Liberazione della Palestina (FLP) diretto da Abu Abbas e l’Organizzazione di Abu Nidal, a patto che essi non conducessero attività anti-irachene, si astenessero da atti terroristi e non s’intromettessero negli affari dell’OLP. Ha riconosciuto che i servizi segreti iracheni avevano aiutato Abu Abbas, ma, per i vincoli di budget dovuti all’embargo, meno di quanto gli Stati Uniti credessero. Saddam ha aggiunto: «Auspichiamo una lotta armata per riprendere le terre arabe». Ha detto che le operazioni pianificate contro Israele non erano atti di terrorismo, ma azioni condotte per liberare delle terre arabe. Il ruolo di un’organizzazione palestinese è di lottare all’interno, non all’esterno. Quanti negoziassero col nemico – su richiesta di Yasser Arafat – non venivano appoggiati dall’Iraq.

Abu Abbas è stato arrestato dagli americani in Iraq nell’aprile 2003. È stato interrogato per diversi mesi con la partecipazione di agenti del Mossad. È morto sotto tortura l’8 marzo 2004.

Resistenza

Mr. George ha interrogato Saddam circa le sue attività nell’aprile 2003. Il presidente gli ha risposto che era rimasto a Bagdad fino al 10 o 11 aprile, ovvero dopo l’arrivo delle truppe americane. Ha dunque riunito gli alti dirigenti del paese e, in particolare, ha dichiarato loro: «Andiamo a batterci in segreto», poi è entrato in clandestinità.

Torture americane: la testimonianza di Saddam Hussein

Il New York Daily News ha pubblicato, il 5 marzo 2009, la traduzione in inglese, declassificata dalle autorità americane, di una lettera del presidente Saddam Hussein, consegnata ai suoi carcerieri a fine 2003. Vi rievocava, dieci giorni dopo il suo arresto, le sue condizioni di detenzione e le torture che aveva subito. «Si aggiungono ai colpi presi al momento della mia cattura; la banda che mi deteneva non ha risparmiato alcuna parte del mio corpo che porta ancora le tracce del loro agire». Scriveva che il suo luogo di prigionia era stato trasformato «in centro di tortura per i prigionieri, generalmente durante la notte, ma anche di giorno». «La maggior parte del tempo, si sentono le grida inquietanti di coloro sono interrogati o torturati. Credo che chiunque abbia un cuore sensibile ed un sentimento d’umanità non possa dormire tra le urla dei torturatori e dei torturati…»

(traduzione di Matteo Sardini)

* Gilles Munier è segretario dell’Associazione d’Amicizia Franco-Irachena (AFI) dal 1986. Ha vissuto a lungo in vari paesi arabi ed è autore dei libri Guide de l’Irak (pubblicato in Italia col titolo Iraq. Diecimila anni in Mesopotamia, Torino 2003) e Les espions de l’or noir (Paris 2009). Ha inoltre curato Zabiba et le Roi (Paris 2003), edizione francese del romanzo di Saddam Hussein. Sulle pagine della rivista “Eurasia” ha pubblicato: Tigri-Eufrate: il sangue dell’acqua (nr. 3/2005), Fine della politica araba della Francia? (nr. 2/2007) e Diritto internazionale o legge di Lynch? Saddam Hussein, rais martire (nr. 4/2007).


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