I Fratelli Musulmani egiziani stanno affrontando nelle ultime settimane una crisi di credibilità nei confronti del proprio elettorato. Il punto di rottura è arrivato quando la Fratellanza, dopo aver negato per un anno la volontà di schierare un candidato per le elezioni presidenziali, ha annunciato la nomina del milionario Khayrat al-Shater. Ciò ha suscitato nuovi dubbi in quanti avevano considerato il gruppo una forza riformista in grado di apportare un significativo cambiamento.

La Fratellanza Musulmana, per la maggior parte dei suoi ottantacinque anni di esistenza, ha sempre costituito la più potente forza all’opposizione in Egitto. In seguito alla Rivoluzione degli Ufficiali Liberi non è mai stato concesso al movimento il diritto di organizzarsi in partito politico, che ha mantenuto, in particolare durante la presidenza di Mubarak, un atteggiamento di compromesso con il regime e, per quanto possibile, ha evitato il confronto diretto. Il regime a sua volta ha sapientemente capitalizzato questo atteggiamento alternando, nel corso degli anni e secondo le necessità, fasi di brutale repressione a periodi di parziale inclusione sia per aumentare il proprio grado di legittimità popolare consentendo un qualche tipo di organizzazione di massa sia per marginalizzare l’opposizione “laica”.

A partire dal nuovo millennio, e in particolare dopo l’11 settembre 2001, l’intero discorso sulle riforme nel mondo arabo si intensificò e prese una nuova direzione concentrandosi più sulla “democratizzazione” e sull’inclusione di diversi attori nel processo politico. Questo periodo provocò un risveglio dell’opinione pubblica araba, in particolare in seguito al deterioramento del conflitto in Palestina e all’invasione statunitense in Iraq, dando inizio in Egitto alle mobilitazioni sociali. Anche i Fratelli Musulmani rimasero influenzati da tutto ciò, e in quegli anni pubblicarono un programma politico nettamente riformista, parteciparono attivamente alle manifestazioni e riuscirono così ad ottenere il 20% dei seggi alle elezioni parlamentari del 2005. Ma divenne subito chiaro che questa vittoria si era spinta oltre il ‘limite consentito’, perciò il regime scatenò la sua macchina repressiva che portò all’arresto di migliaia di militanti, tra cui importanti imprenditori che costituivano la base finanziaria del movimento, e diede avvio ad una campagna diffamatoria interna e internazionale. Quando nel 2007 i Fratelli Musulmani dichiararono per la prima volta ufficialmente la loro volontà di fondare un vero e proprio partito politico presentarono un programma che venne fortemente criticato perché rappresentava un passo indietro rispetto al precedente, che in molti definirono “la fine dell’esperimento riformista” della Fratellanza. Le ambiguità riscontrate all’interno del programma, unite alla mancanza di volontà o all’incapacità di costruire un’alternativa reale e solida al regime, minarono la sua credibilità e la sua efficacia nel dettare i termini del dibattito politico.

Oggi come allora il programma politico ed economico del partito Libertà e Giustizia, braccio politico della Fratellanza, è formato da una serie confusa e contraddittoria di idee. In particolare, la sezione del programma dedicata all’economia ha ricevuto molte critiche. L’economia di “libero mercato” e la “lotta alla corruzione” vengono presentate infatti come i rimedi che cureranno tutti i problemi economici dell’Egitto, ma non viene illustrata nessuna strategia concreta su come s’intende mettere in pratica questa teoria. Cercando di discernere un modello economico da questo insieme piuttosto vago di idee si rimane colpiti dall’emergere di due ideologie concorrenti che rispecchiano più o meno esplicitamente le diverse fazioni all’interno della Fratellanza. La prima è di tendenza interventista, e riflette la tradizionale struttura gerarchica dell’organizzazione. Si concentra sulla critica al sistema economico egiziano, improduttivo e basato sulla “rendita”, sottolineando nel contempo la necessità d’incoraggiare la produttività prediligendo i settori principali. L’altra ideologia si rifà al gruppo d’industriali e commerciali islamisti guidati da Khayrat al-Shater e da Hassan Malek, i quali sostengono invece un’economia di libero mercato e un clima favorevole alle imprese. Questa nuova classe imprenditoriale islamista è composta da una generazione di conservatori religiosi in aumento nel mondo musulmano, la cui devozione ha rafforzato la determinazione di giungere al successo tanto in politica che negli affari.

Al-Shater, il candidato della Fratellanza alle elezioni presidenziali, deve la sua fortuna ad una serie di imprese start-up che spaziano dal settore informatico a quello dei mobili, fino al settore tessile, che ha saputo dirigere anche dal carcere durante gli anni di prigionia. Al-Shater e Malek sono soci in affari e hanno trascorso più di quattro anni di carcere insieme fino alla loro liberazione dopo la “rivoluzione”. Ma il 17 aprile, la commissione elettorale egiziana ha definitivamente squalificato al-Shater e altri nove candidati alle presidenziali, dichiarandoli inammissibili a causa di una precedente condanna penale. Al-Shater ha affermato che sosterrà la candidatura di Mohamed Mursi, presidente del partito Libertà e Giustizia.

Indipendentemente dalle dispute elettorali, uomini come al-Shater e Malek, entrambi milionari, sono verosimilmente il nucleo della leadership dei Fratelli Musulmani, e agiscono, nelle parole di Joshua Stacher, come “il volto neoliberale” dell’organizzazione1. Questa élite all’interno della Fratellanza si propone di favorire una nuova classe d’imprenditori egiziani, quelli che non hanno avuto peso durante l’era Mubarak, e di provvedere al miglioramento della vita degli egiziani poveri e, nel contempo, di attrarre investimenti dall’estero. Al centro della loro agenda si trovano i principi base del libero mercato e viene sottolineata l’importanza della tutela della concorrenza per impedire la formazione di monopoli, contrari ai principi dell’Islam. Il loro modello di riferimento è quello turco, dove la classe media religiosa, incoraggiata dal governo di tendenza islamica, è stata alla base di un boom economico spettacolare. Ma parlare il linguaggio della crescita è una cosa, renderla reale in un paese la cui economia è così devastata come l’Egitto è un altra.

Hassan Malek è il fondatore della nuova Egyptian Businees Development Association (EBDA), presentata lo scorso marzo durante una serata di gala al Dusit Thani, un albergo di lusso tailandese in una parte ricca del Cairo. Più di 700 ospiti egiziani e internazionali hanno partecipato alla serata, tra cui dirigenti provenienti da Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti, ma anche imprenditori della “vecchia guardia” estranei alla Fratellanza. Ed è stata proprio la presenza di questi ultimi che ha attirato le accuse di demagogia nei confronti della Fratellanza, che è stata accusata di tentare d’ingraziarsi gli elementi delle classi dirigenti egiziane appartenenti all’ex-regime. Pertanto in molti hanno iniziato a chiedersi se il loro futuro governo sarà proprio come il vecchio regime, ma solo ‘con la barba’ in più.

Il ritardo e la cauta adesione dell’organizzazione alla “rivoluzione” del gennaio 2011, aggiunti al successo delle scorse elezioni parlamentari, hanno diffuso la sensazione secondo cui i Fratelli Musulmani sarebbero stati aiutati a consolidare il proprio potere proprio dal Consiglio militare. La questione non è quindi se la Fratellanza Musulmana rifiuterà il vecchio regime o se continuerà le politiche economiche orientate al mercato. Ciò che rimane da vedere è se il capitalismo clientelare che ha caratterizzato il regime di Mubarak continuerà il suo corso anche con i nuovi leader della Fratellanza in carica. A questo proposito si possono individuare alcune somiglianze e differenze con il passato. A destare i maggiori timori è la continua esistenza del matrimonio tra il potere politico e quello economico, caratteristica che accomuna la vecchia politica di Mubarak e il nuovo partito della Fratellanza. Al contrario, una delle maggiori differenze che sono state riscontrate e che fanno sperare nella possibile nascita di una classe imprenditoriale completamente nuova è l’enfasi posta sul settore privato e sul rafforzamento delle piccole e medie imprese, che non hanno avuto la possibilità di emergere nell’era precedente.

Wael Gamal, giornalista di «al-Shoruq», ha dichiarato che era risaputo che alcuni membri della Fratellanza mantenevano relazioni con i businessman durante il regime di Mubarak, invitandoli ad eventi ufficiali e perfino citandoli nelle pubblicazioni del movimento. Secondo il giornalista, confidare troppo nelle finanze di questi milionari islamisti e nell’immagine che hanno voluto mostrare di imprenditori di successo in grado di far rifiorire l’economia egiziana potrebbe in realtà causare un ritorno allo stesso vecchio modello di crony capitalism, ma con un’altra facciata. “Il problema di questa nuova classe imprenditoriale è che appartiene al settore delle imprese, che è il settore più corrotto dell’Egitto”, aggiunge Gamal2. Inoltre non è detto che perché sono riusciti a gestire le loro imprese con successo riescano a condurre con gli stessi risultati le questioni macroeconomiche di un intero paese sull’orlo di una grave crisi.

Un’altra preoccupazione crescente riguarda la continua lotta per il potere tra il Consiglio Supremo delle Forze Armate, che di fatto è ancora alla guida dell’Egitto, e i membri della Fratellanza che stanno giocando un ruolo fondamentale non solo all’interno del Parlamento e nella corsa per le elezioni presidenziali, ma anche nella stesura della nuova costituzione. La Fratellanza ha cercato di limitare i poteri dei militari, che – è risaputo – controllano vastissimi settori dell’economia, mentre i generali al potere hanno ribadito che non lasceranno il loro posto fino a quando non avranno ricevuto dai nuovi dirigenti politici le necessarie garanzie per proteggere i loro interessi. Questa impasse, dicono gli economisti, potrebbe ritardare l’esecuzione delle prime fasi del piano di risanamento della Fratellanza e tenere lontano i potenziali investitori. “Non siamo preoccupati per il successo politico del partito Libertà e Giustizia in sé, ma per il fatto che la Fratellanza non ha ancora assunto il controllo dell’economia, che continua a deteriorarsi”, ha dichiarato Magda Qandil, direttrice dell’Egyptian Center for Economic Studies. “Finora, è rimasta a livello di dichiarazioni e buoni slogan, ma ci sono ancora molte dispute interne dietro le quinte”, ha aggiunto. “Questo è ciò che rende gli investitori preoccupati. Vogliono una risoluzione dello scontro di potere”3.

La scorsa settimana al-Shater, durante una conferenza stampa, parlando eloquentemente e senza note, ha riconosciuto che ci sarebbero voluti anni per portare a compimento le strategie economiche del suo partito. La sua presentazione elegante a PowerPoint ha presentato i piani che si estendevano fino al 2025. Ha dedicato diversi minuti ad elencare la miriade di problemi che affliggono l’economia egiziana: il problema del deficit di bilancio e del debito estero, l’eredità del vecchio regime e le conseguenze del «furto organizzato» che ha sottratto al paese e ai suoi abitanti miliardi di dollari. Un altro problema – ha affermato – è che l’economia è troppo dipendente da tre filoni principali di reddito: il Canale di Suez, il turismo e le rimesse degli egiziani all’estero. Al-Shater ha proposto perciò di diversificare l’economia e di includere progetti industriali e agricoli, ed ha menzionato di sfuggita che una delegazione della Fratellanza aveva visitato di recente la Norvegia per studiare il settore della pesca. Il comizio a favore del libero mercato tenuto da al-Shater è sicuramente suonato familiare agli statunitensi, anche loro impegnati in questi giorni a seguire le varie campagne presidenziali, tranne che per i frequenti riferimenti al «progetto islamico» che – ha giurato – metterà l’Egitto sulla strada della ripresa. Ad un certo punto, ha raccontato un aneddoto risalente ai tempi del Profeta dell’Islam, nel quale si cita un musulmano che, in possesso di un solo germoglio di palma nel Giorno del Giudizio, deve comunque andare avanti e piantarlo, anche se la fine del mondo è oramai arrivata.

I mesi e gli anni a venire verificheranno se all’ordine del giorno della Fratellanza vi è veramente l’obiettivo di realizzare una crescita sostenibile a favore di tutti gli egiziani o di beneficiare solo quella categoria esigua alla quale uomini come al-Shater appartengono.

* Eliana Favari è dottoressa magistrale in Scienze Internazionali – Global Studies (Università degli Studi di Torino).

NOTE:
1. Joshua Stacher, Brothers in Arms? Engaging the Muslim Brotherhood in Egypt, Institute for Public Policy Research, aprile 2008.
2. Bassam Haddad, Ziad Abu-Rish, How do you finance social justice in Egypt? Jadaliyya interview with the journalist Wael Gamal, accessibile su http://www.jadaliyya.com/pages/index/1820/-how-do-you-finance-social-justice-in-egypt-jadali, ultimo accesso effettuato il 30 aprile 2012.
3. Suzy Hansen, The Economic Vision of Egypt’s Muslim Brotherhood Millionaires, accessibile su http://www.businessweek.com/articles/2012-04-19/the-economic-vision-of-egypts-muslim-brotherhood-millionaires, ultimo accesso effettuato il 30 aprile 2012.


Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.