La cooperazione fra Paesi CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) rappresenta per la Russia una questione di fondamentale importanza sia a livello geopolitico sia geoeconomico. In particolare, nella “Strategia di Sicurezza Nazionale della Federazione Russa fino al 2020”, adottato dal presidente Medvedev nel maggio 2009, si legge che “lo sviluppo di relazioni di cooperazione multilaterali con i Paesi CSI è un obiettivo prioritario della politica estera russa”. Il primo accordo per la creazione di uno spazio economico comune fra Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan veniva istituito nell’ottobre del 2000, ma, in seguito all’impressionante aumento del commercio totale all’interno di quest’area, nell’ottobre del 2007 si decideva di regolare l’Unione doganale, Eurasec, in un vero e proprio quadro giuridico. Questo progetto, il più grande mai creato dalla caduta dell’Unione Sovietica, permette di armonizzare le norme amministrative e doganali grazie alla stesura di un documento di regolamentazione che sarà rappresentato dal codice dell’Unione. Il 6 aprile di quest’anno ad Astana si è stabilito che il Kirghizistan, così come il Tagikistan, hanno soddisfatto i criteri economici stabiliti per aderire all’Unione.

Il Kirghizistan, Paese relativamente piccolo situato nelle montagne dell’Asia Centrale, rappresenta uno Stato multietnico con una popolazione composta da almeno 80 diverse etnie. Secondo gli studi di Transparency International, nonostante le piccole dimensioni, la nazione si colloca fra gli ultimi posti nella classifica dei Paesi con più alti tassi di corruzione (livello 2, fra i più bassi, su una scala da 1 a 10). Anche i report di Freedom House confermerebbero i pochi, se non nulli, progressi fatti nello sviluppo della democrazia: nel 2009 il suo score risulta essere di 6.04, mentre nel 2010 di 6.21, indicando, perciò, una performance peggiore nel corso dell’anno.

Il potenziale impatto dell’EurasEC è stato ampiamente dibattuto in Kirghizistan. Secondo le statistiche, il commercio estero del periodo gennaio–luglio 2010 ammonta a 502.6 milioni, il 10% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La crescita si deve principalmente alle esportazioni, cresciute del 27.6%. Le importazioni sono complessivamente aumentate del 2.8%, stabilendosi intorno al miliardo e 700 milioni di dollari.

Cosa implica l’Unione doganale per i Paesi che ne fanno parte? Secondo la Asian Development Bank e la USAID (United States Agency for International Development), le tariffe doganali del Kirghizistan varierebbero notevolmente nel caso in cui entrasse a far parte dell’Unione: esse ammonterebbero a circa il 10.6% in seguito ad un’eventuale adesione, mentre rimarrebbero stabili al 5.1% in caso contrario. Si consideri che il Kirghizistan è membro del WTO, e, qualora accettasse di far parte dell’Unione, le sue tariffe doganali sarebbero ben più alte di quelle che esso si era impegnato di mantenere nei confronti dell’Organizzazione (7.7%), vedendosi pertanto costretto a confrontarsi con gli altri membri del WTO, dove non sono presenti né la Russia, né la Bielorussia, né il Kazakistan. L’adesione provocherebbe inflazione e ridurrebbe notevolmente il commercio del Paese con le nazioni vicine, come ad esempio la Cina, mentre aumenterebbe quello con i Paesi membri. L’adesione porterebbe indubbiamente i Paesi stranieri ad investire maggiormente nel territorio kirghiso.

D’altro canto, la non adesione rallenterebbe il processo di integrazione del Paese all’interno dello spazio post-sovietico. L’appartenenza al WTO non esclude la possibilità di far parte di altre forme di unione, essendo scopo del WTO quello di ridurre le barriere al commercio internazionale. È pertanto auspicabile un progressivo accesso all’Unione, alla luce soprattutto di un eventuale ingresso della Russia al WTO. Indubbiamente, alcuni progressi nell’economia del Kirghizistan nell’ultimo decennio sono stati fatti soprattutto in seguito alla creazione di attività profit, per lungo tempo sconosciute.

Dalla cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” il governo kirghiso non ha cambiato la sua politica filo-russa, continuando a far parte della OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) e del Patto di Shangai (OCS), a guida russo-cinese, acconsentendo inoltre all’apertura di una seconda base russa nella valle di Fergana: in questo modo la Russia potrebbe inviare fino a 1000 truppe sotto l’egida OTSC e OCS.

Nell’aprile 2010, in seguito a tensioni, l’Uzbekistan chiudeva le frontiere con il Kirghizistan creando notevoli complicazioni a livello economico e sociale per entrambi i Paesi, ma soprattutto aumentando il già forte sentimento di insofferenza fra le due etnie. Gli ufficiali uzbeki giustificavano il loro gesto spiegando che le frontiere erano state chiuse per motivi di sicurezza, ma i residenti della parte sud del Kirghizistan lamentavano di aver avuto una grande perdita economica causata dall’isolamento.

Secondo le stime della “Bishkek Association of Markets, Trade and Service Sectors”, la decisione dei “vicini” avrebbe provocato un crollo del 90% nel commercio fra i due Paesi.

È inoltre importante tenere in considerazione il fatto che le dispute fra i confini della Pianura di Fergana coinvolgono anche il Tagikistan. Le autorità kirghise affermano che lo scorso anno il commercio fra Kirghizistan ed Uzbekistan ammontava a 150 miliardi di dollari, cioè il 50% in meno rispetto al 2009.

La chiusura delle frontiere continua tutt’oggi a contribuire ad episodi di smuggling e ad incrementare le attività del mercato nero. Nel sud della valle sono state identificate più di 200 rotte illegali che sfruttano i corridoi delle vicine Uzbekistan e Tagikistan.

I Paesi, però, non si trovano solo a combattere il contrabbando, ma anche i traffici di droga, di persone e terrorismo. Definire in modo preciso i confini aiuterebbe a combattere efficacemente questi traffici: dei 1.375 km del confine kirghiso–uzbeko, solo 975 sono stati ben demarcati.

L’EurasEC è il più grande progetto di integrazione creato dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica: la zona doganale coinvolgerà i territori di Russia, Bielorussia e Kazakistan, nel cui territorio scompariranno i posti di blocco al confine e la merce che sarà consegnata, ad esempio, attraverso il confine bielorusso-polacco a ovest o il confine kazako-cinese a est, non dovrà essere sottoposta a nessuna ispezione doganale. Verrà inoltre inserita una tariffa doganale comune, in modo da regolarizzare e garantire la piena armonizzazione del commercio estero. Come è stato più volte sottolineato, per la dogana russa è di fondamentale importanza proteggere l’industria automobilistica. I leader dei Paesi EurasEC hanno anche firmato una nuova versione dello statuto, nell’ambito del quale si è istituita la Corte EurasEC, il cui compito sarà quello di risolvere eventuali controversie economiche. La Bielorussia è molto importante in qualità di gateway verso l’Occidente; il Kazakistan ha annunciato di voler ricostruire la sua economia, mentre la Russia già da tempo ha confermato di voler progredire nella sua modernizzazione. Secondo il presidente kazako Nazarbayev, carica appena riconfermatagli in occasione delle elezioni del 4 aprile ad Astana, l’Unione doganale porterà fino a 400 miliardi di dollari di profitti in Russia, mentre in Bielorussia e Kazakistan più di 16 miliardi. Naturalmente i commenti sulla creazione dell’Unione non sono stati completamente positivi: prima di tutto perché è stata una decisione inaspettata e, in secondo luogo, per la lunghezza dei lavori che hanno più volte visto rimandare le date degli accordi. Ad ogni modo, la propensione dell’Occidente nel rimandare l’adesione di Russia e Kazakistan al WTO ha favorito la creazione dell’EurasEC. Ucraina, Moldavia e Armenia, i tre osservatori all’interno dell’Unione, hanno buone possibilità di prendervi parte in futuro.

Le tensioni fra i territori dell’Asia Centrale rimangono i più seri ostacoli alla cooperazione economica, così come le spinte indipendentiste promosse da alcuni Paesi CSI nei confronti della Russia. Affinché l’Unione funzioni davvero serve, inoltre, una nuova regolamentazione riguardo le labour migration. Il Kazakistan è un grande Paese attrattore di flussi di migranti dalle repubbliche meridionali e il personale qualificato è stimato all’1%. Inoltre, l’aspetto demografico del Paese non deve essere sottovalutato alla luce, soprattutto, del fatto che la popolazione russa è attualmente in declino e l’età media dei lavoratori ha superato i 40 anni, mentre in Kazakistan la popolazione continuerà a crescere.

Nonostante le difficoltà iniziali, sembra che si sia definitivamente avviata una nuova fase di cooperazione, risultato di trattative lunghe e difficili.

 

* Eleonora Ambrosi è ricercatrice all’IsAG.


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