Nell’emisfero australe l’inverno è iniziato il 21 giugno, ma quello che si è appena concluso è stato un mese molto caldo in Venezuela. Le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale si terranno il prossimo settembre, tuttavia nel Paese sono già iniziate le grandi manovre per la campagna elettorale. Per la prima volta, dopo 11 anni al potere, il presidente Hugo Chavez sembra aver perso l’appoggio della maggioranza dei venezuelani, provati da una situazione economica molto negativa e da diversi mesi di crisi alimentare, idrica ed energetica. Secondo gli ultimi sondaggi il 48% degli elettori dichiara di non avere preferenze per nessun partito politico, l’80% non ha fiducia nei candidati del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), la formazione creata dal presidente, e per le presidenziali del 2012 il 64% dei venezuelani dice di volere un nuovo Capo di Stato.

Probabilmente allarmato da dati così infausti, Chavez ha reagito scendendo in campo in prima persona, utilizzando una strategia collaudata: attaccando quelli che considera i nemici storici del suo governo, ossia la borghesia venezuelana e l’imperialismo americano. Nelle ultime settimane il leader bolivariano ha iniziato un’azione a tutto campo, adottando una serie di provvedimenti che ampliano il controllo statale sull’informazione e sull’economia, rilanciando le relazioni con la Siria, rinvigorendo lo scontro con gli Stati Uniti e arrivando ad attaccare le Nazioni Unite e l’arcivescovo di Caracas, bollato come un “troglodita”.

Informazione

Pur godendo dell’appoggio di numerosi quotidiani e mezzi di comunicazione, creati dopo la sua salita al potere, Chavez ha deciso di prendere definitivamente in mano le redini dell’informazione. Il 9 giugno è stato creato il Centro di Studio sulla Situazione della Nazione (CESNA), un organo subordinato al Ministero dell’Interno, che potrà “dichiarare di carattere riservato, classificato o di divulgazione limitata qualsiasi informazione, fatto o circostanza”. Il CESNA è parte di quello che il governo boliviariano considera la “corresponsabilità dello Stato e della società” nelle materie di “sicurezza e difesa integrata del Paese”. Qualsiasi informazione pubblicata dalla stampa potrà essere considerata un crimine contro la sicurezza nazionale o interpretata come un atto terroristico, con punizioni dai 5 ai 10 anni di carcere per gli autori o i media responsabili della pubblicazione, tra cui blog e Twitter.

Sarà quindi molto più difficile ottenere informazioni sulla situazione venezuelana, e lo stesso governo di Caracas non pubblica da mesi dati importanti, come ad esempio quelli riguradanti la situazione sanitaria o la sicurezza. La creazione del CESNA sarebbe stata motivata dalla volontà di punire i bloggers che divulgano le quotazioni del dollaro sul mercato nero. Dare informazioni sul cambio valutario, il cui valore è fissato dal governo, è considerato un crimine in Venezuela.

Contemporaneamente si è inasprito il già duro scontro tra Chavez e il canale televisivo Globovision, l’unica piattaforma dell’opposizione che continua le trasmissioni, dopo che nel novembre 2007 il governo non ha rinnovato la concessione delle frequenze e l’autorizzazione a trasmettere a RCTV, la più antica emittente del Venezuela, accusata di essere finanziata dalla CIA e di aver appoggiato il golpe del 2002.

Due giorni dopo la creazione del CESNA, infatti, la magistratura venezuelana ha emanato un ordine di arresto nei confronti del presidente di Globovision, Guillermo Zuloaga, e di suo figlio, con l’accusa di usura, cospirazione, e per aver “nascosto illegalmente” 24 automobili Toyota nella sua residenza in modo da poter “speculare sui prezzi”. Oltre a Globovision, Zuloaga è proprietario di numerose concessionarie Toyota in Venezuela.

“Emettono un mandato di cattura contro un borghese e iniziano a dire che è la tirannia di Chavez – ha dichiarato il presidente venezuelano durante il suo programma televisivo “Alo Presidente” – Perché questo signore non si consegna?”.
Zuloaga, già arrestato lo scorso marzo per aver fatto “dichiarazioni offensive e irrispettose” su Chavez durante un programma televisivo, e rilasciato grazie alle forti pressioni dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e di ONG per la difesa dei diritti umani, è fuggito dal Venezuela e ora si trova in una località segreta. In una telefonata trasmessa da Globovision, Zuloaga ha dichiarato di essere “vittima di una caccia alle streghe iniziata da Chavez”, e di “essere arrivato alla conclusione che consegnandomi non farei nessun favore a Globovision, al Paese e alla mia famiglia”.

L’azione di Chavez contro i mass media dell’opposizione ha suscitato forti proteste da parte di Stati Uniti, Nazioni Unite e della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH). Il 17 giugno la CIDH ha accusato Caracas di utilizzare il sistema penale per zittire critici e dissidenti, e la relatrice speciale sulla libertà di espressione della Commissione, Caterina Botero, ha allertato che “la repressione dei mezzi di comunicazione in Venezuela tende ad aumentare con l’approssimarsi delle elezioni legislative di settembre” e che il Paese sudamericano “si sta dirigendo molto velocemente verso un limite intollerabile”.

“Nessun governo del mondo ha il diritto di ammutolire con procedure criminali i critici che si oppongono allo Stato” ha dichiarato Frank la Rue, relatore speciale dell’ONU per la libertà di espressione. Per La Rue “l’assedio nei confronti di Zuloaga” è un sintomo del deterioramento della libertà di espressione in Venezuela, e ha espresso la preoccupazione delle Nazioni Unite che il mandato di arresto sia “politicamente motivato, e volto solo a far tacere Zuloaga”.
Per Mario Silva invece, uno dei giornalisti che sostengono il governo è importante contrapporsi al potere dei mezzi privati di comunicazione, ostili alla “rivoluzione socialista” in corso nel Paese. Per Silva il logo della Globovision sarà presto colorato di rosso in omaggio a Chavez e al socialismo.

Economia

Il Venezuela sta affontando una situazione economica molto negativa. Il Pil del 2009 ha segnato un -3,3% e alla fine di maggio la Banca Centrale del Venezuela ha reso noto che nel primo trimestre 2010 è stato registrato un -5,8%, facendo del Venezuela l’unico Paese sudamericano che non ha mostrato alcun segno di miglioramento. L’inflazione è arrivata al 31,2%, il tasso più alto dell’America Latina, e sta falcidiando gli stipendi dei lavoratori venezuelani, sopratutto dei più poveri, scoraggiando gli investimenti e impedendo la crescita. Secondo lo stesso Ministro delle Finanze, Ali Rodriguez, l’inflazione potrebbe ulteriormente aumentare del 5%, e per la Royal Bank of Scotland entro quest’anno il Venezuela potrebbe affrontare un aumento dei prezzi al consumo del 40%.

Secondo molti analisti il problema rimane sempre l’eccessiva dipendenza dell’economia venezuelana dal petrolio. Nel 2002-03, infatti, il prezzo del barile di greggio toccò il record negativo di 20$, ed il Venezuela entrò in forte recessione. Dal 2003 in poi, tuttavia, il Paese ha recuperato terreno, grazie al forte aumento dei prezzi internazionali dell’oro nero. Nel 2007 la crescita economica venezuelana ha raggiunto il record dell’8,4%, quando la quotazione del barile sfondava quota 100$. Dal picco di 145$ del 2008, le quotazioni sono crollate a meno di 40$ nel 2009, tornando a salire negli ultimi mesi, ma assestandosi sui 70$. Troppo poco per finanziare i giganteschi piani sociali lanciati dal governo bolivariano.

Come se non bastasse, la popolazione venezuelana affronta da più di sei mesi una dura crisi alimentare. Gli scaffali dei supermercati del Paese sono sempre più vuoti e trovare prodotti di base, come latte o carne, è diventato quasi impossibile. Un rigido razionamento di acqua e di elettricità sta inoltre colpendo tutto il Paese, tranne la regione di Caracas. Anche il bagno caldo dei venezuelani è stato limitato a soli tre minuti al giorno.

Per tutta risposta il leader bolivariano ha dichiarato “guerra economica” agli imprenditori, colpevoli, a suo avviso, di nascondere forniture alimentari per speculare sui prezzi, aggravando in questo modo la crisi cercando di destabilizzare il suo governo. Una delle prime misure per combattere la crisi energetica è stato il decreto con in quale sono stati ridotti gli orari di lavoro del settore pubblico.

La battaglia elettorale si sta combattendo soprattutto sul versante degli approvvigionamenti alimentari. Nell’ultimo mese il bersaglio preferito di Chavez è stato il gruppo Polar, il maggiore produttore di birra e di prodotti alimentari del Paese. Secondo Chavez, il Presidente della Polar, Lorenzo Mendoza, utilizzerebbe la sua azienda per aggravare la crisi alimentare, in vista dalla sua candidatura alle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, sostenuto dalle opposizioni e dagli Stati Uniti. Diversi stabilimenti e magazzini della Polar sono stati confiscati, e Chavez ha minacciato più volte la nazionalizzazione del gruppo.

Per provare a mitigare gli effetti della penuria di alimenti ed evitare che i commercianti e gli imprenditori “capitalisti” continuassero a “speculare, il governo ha lanciato lo scorso anno l’”Arepera Socialista”: una serie di ristoranti pubblici sparsi in tutto il Paese che vendono la arepera, piatto tipico venezuelano composto di una tortilla fatta con farina di mais, ad un “prezzo solidale” cioè metà di quello di mercato. Ma la stessa “Arepera Socialista” non è riuscita a contenere l’inflazione: dai 5 bolivares forte dello scorso dicembre, il prezzo di una arepera è oggi di 7,5 bolivares forte, un aumento del 50%.

Lo scorso 15 giugno l’Assemblea Nazionale venezuelana ha approvato la riforma della “Legge della terra”, che condanna il latifondo, amplia il controllo pubblico sulla terra e sul settore alimentare. Il nuovo testo crea un’impresa pubblica per la produzione, distribuzione e il marketing dei prodotti agricoli e alimentari, sia nazionali che internazionali.

L’approvazione della legge è stata semplice, dato che il PSUV controlla 155 seggi dell’Assemblea Nazionale su 167 totali, grazie al boicottaggio delle elezioni del 2005 da parte delle opposizioni.

Negli ultimi anni Caracas ha già nazionalizzato milioni di ettari di terra e numerose aziende private, dalle raffinerie ai supermercati. Secondo i calcoli di imprenditori del settore agricolo, dal 1999 sono stati nazionalizzati oltre 2,5 milioni di ettari di terra, dei quali soltanto 50 mila risultano oggi produttivi. Secondo dati dello stesso esecutivo venezuelano, sarebbe sotto controllo pubblico il 30% della distribuzione alimentare del Paese, e paradossalmente i primi a protestare per questa situazione sono stati i sindacati, che hanno denunciato un peggioramento delle condizioni di lavoro nelle imprese sotto il controllo pubblico.

L’approvazione della “Legge della terra” segue lo “Scandalo del cibo scaduto”, scoppiato a fine maggio in seguito alla scoperta di 100 mila tonnellate di alimenti in avanzato stato di decomposizione ammassati in container a Puerto Cabello, nei pressi della capitale. Lo scandalo ha messo il governo venezuelano in forte difficoltà poiché le forniture alimentari erano state importate dalla statale Productora y Distribuidora Venezolana de Alimentos (PDVAL), sussidiaria della statale petrolifera venezuelana Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), e sarebbero dovute essere vendute a prezzo politico nei mercati del Paese. Nel 2009 la PDVSA aveva importato 405 mila tonnellate di cibo in Venezuela.

Chavez ha promesso di fare luce sullo scandalo, e la polizia ha arrestato l’ex presidente della PDVAL, Luis Enrique Pulido, insieme ad altri due funzionari della società.

Il ritmo delle nazionalizzazioni in Venezuela ha subito una forte accellerazione negli ultimi 30 giorni. Il 14 giugno Chavez ha decretato la nazionalizzazione del Banco Federal, l’ottavo istituto di credito del Paese per volume di depositi, di proprietà dell’imprenditore Nelson Mezerhane, uno dei principali azionisti di Globovision. Il governo ha motivato la statalizzazione citando “problemi di liquidità”, il “rischio di frodi” e la “volontà dell’esecutivo di proteggere i depositi dei cittadini”.

Il Banco Federal era responsabile del pagamento degli stipendi ai giornalisti di Globovision, che ora vengono pagati soltanto grazie alle rimesse di venezuelani residenti all’estero. Con la nazionalizzazione del Banco Federal, il governo venezuelano controlla il 26% del settore bancario. Nel 2008 la partecipazione statale era del 10,9%.
Il giorno dopo la nazionalizzazione del Banco Federal un tribunale di Caracas ha emanato un mandato di cattura per 21 direttori del gruppo bancario, tra cui lo stesso Mezerhane.

Il 17 giugno, in un discorso pronunciato nello stabilimento di Caracas di una produttrice di automezzi iraniana, Chavez ha annunciato la nazionalizzazione della Autoseat da Venezuela, una produttrice di componentistica per autoveicoli, costretta a chiudere nel 2009 causa della pessima situazione economica. Il leader bolivariano ha dichiarato che la società cambierà nome e resterà sotto “controllo operaio”.
Infine, il 29 giugno, Chavez ha approvato una “Dichiarazione di utilità pubblica” con la quale il governo ha statalizzato 11 piattaforme petrolifere di proprietà della compagnia statunitense Helmerich & Payne (HP). L’operazione è stata diretta dal Ministro per l’Energia venezuelano, Rafael Ramirez, che ha accusato la società americana di utilizzare le piattaforme per “tentare di boicottare la produzione di petrolio del Paese”.

Lo stesso giorno il governo ha alterato la politica valutaria nei confronti del dollaro, creando due quotazioni del bolivar forte: una per l’acquisto di beni essenziali, come cibo e vestiti (passata da 2,15 a 2,60 bolivares forte per 1 dollaro), e un’altra per tutti gli altri prodotti (da 2,15 a 4,30 bolivares forte per 1 dollaro). La diretta conseguenza è stata l’esplosione del mercato nero dei dollari, già molto florido nel Paese sudamericano, che ha costretto il governo a decretare la centralizzazione della vendita di valuta statunitense.

Politica

Secondo Antonio Rivero, generale a riposo dell’esercito venezuelano ed ex portavoce di Chavez, i già forti legami tra Caracas e L’Avana si sarebbero ulteriormente stretti in quest’ultimo periodo.

Da anni Cuba mantiene migliaia di medici sul territorio venezuelano, insieme ad un grande numero di consulenti che aiutano il governo bolivariano in diversi settori: dall’agricoltura all’allenamento di atleti olimpici. Nelle ultime settimane è iniziata una discreta espansione dei consiglieri militari cubani nel Paese, suscitando forti preoccupazioni tra le fila dell’opposizione, secondo la quale le forze armate starebbero subendo una ristrutturazione ispirata da L’Avana, trasformandosi in un’istituzione che potrebbe essere utilizzata per sopprimere qualsiasi tipo di contestazione interna.
Per Rivero i consiglieri cubani avrebbero assunto una forte influenza su aree sensibili, come l’intelligence militare, l’addestramento dei soldati, la pianificazione strategica e la logistica dello stesso Chavez, che viaggia frequentemente su un aereo cubano.

“Siamo alla mercé di ingerenze in aree di sicurezza nazionale da parte del regime cubano, che desidera che Chavez rimanga al potere perché gli fornisce petrolio – ha dichiarato Rivero in un intervista al quotidiano brasiliano Estado de S. Paulo – I consiglieri cubani sono lì per fare pressioni, e sempre più spesso dicono di parlare a nome del presidente come se fossero suoi emissari”. Il Venezuela fornisce a Cuba ogni giorno 100 mila barili di petrolio, aiutando l’isola a superare il collasso economico provocato dalla fine degli aiuti sovietici nei primi anni ’90.

Secondo i calcoli di Carlos A. Romero, uno scienziato politico dell’Università Central da Venezuela che analizza i legami militari con Cuba, i consiglieri dell’esercito cubano in Venezuela sarebbero oltre 500, tra cui un gruppo d’elite composto da 20 ufficiali che operano a Forte Tiuna, la principale caserma del Paese.
“Cuba non vende sistemi di arma, a differenza di Russia e Cina, con le quali il Venezuela ha accordi di cooperazione militare – siega Rocio San Miguel, avvocato di Caracas specializzato in questioni militari – Ciò che vende Cuba è intelligence e pianificazione strategica, basata su 50 anni di esperienza nel mantenere un regime repressivo al potere”.
Chavez ha già adottato misure per politicizzare le Forze Armate: le ha ribatezzate Forze Armate Bolivariane, ha degradato centinaia di ufficiali considerati poco fedeli, promuovendone altrettanti che invece lo appoggiano, e ha decretato che i soldati urlino lo slogan “Patria, Socialismo o morte!”.

Lo stesso leader venezuelano ha iniziato a tenere sempre più spesso discorsi con toni marziali. La “guerra economica” contro la borghesia “senza patria”, la “mobilizzazione dei battaglioni elettorali” e “l’ordine” impartito ai suoi candidati di “attaccare” l’opposizione durante la campagna elettorale sono solo alcuni esempi del tono assunto da Chavez nelle ultime settimane. In vista delle consultazioni di settembre il PSUV ha già organizzato “Unità di Battaglia Elettorali” per mobilizzare gli elettori, e i candidati del partito giurano all’urlo di “¡A la carga!” (All’attacco). Anche la risposta alle problematiche interne del Paese ha assunto toni militareschi: per affrontare la crisi energetica, il presidente ha creato lo “Stato Maggiore Elettrico”.

Tuttavia, durante un’intervista alla rete televisiva britannica BBC rilasciata il 15 giugno, Chavez ha difeso il sistema politico del suo Paese, dichiarando che “non esiste un Paese più democratico del Venezuela”.
“Qui non c’è una dittatura. Io sono stato eletto tre volte – ha dichiarato Chavez – Sono un democratico. Ho la legittimità che mi è stata data dalla maggioranza del popolo. È il socialismo democratico”.
Durante l’intervista Chavez ha attaccato il presidente statunitense, Barack Obama, reo di non aver mantenuto le promesse fatte in relazione all’America Latina durante la campagna elettorale. Per il presidente venezuelano gli “Stati Uniti stanno installando sette basi militari in Colombia: Obama da continuità all’imperialismo americano”.
E si è svolta all’insegna della lotta contro l’imperialismo americano la visita a Caracas del presidente siriano, Bashar al-Asad, avvenuta il 26 giugno. Chavez ha definito la visita di Asad come “la continuazione di un progetto strategico di alleanza, un asse in costruzione tra Damasco e Caracas” e i due leader hanno dichiarato di avere “nemici comuni: l’impero yankee e lo Stato genocida di Israele”. Chavez ha auspicato la “fine dell’imperialismo degli Stati Uniti” che “minacciano i due Paesi con guerre, anche nucleari”. Asad ha ringraziato Chavez per il suo appoggio alla causa araba, nominando il Presidente venezuelano “nuovo leader arabo” e dicendosi sicuro che sarebbe “un ottimo segretario dell’Asse del Male”. Durante la visita sono stati firmati una serie di accordi di partenariato tra i due Paesi, tra i quali la costruzione di una raffineria in Siria finanziata con capitali venezuelani e iraniani, con una capacità di oltre 200 mila barili al giorno.

Durante la visita del Capo di Stato siriano, Chavez ha lanciato un duro attacco alle Nazioni Unite, accusate di essere diventate delle “marionette” che “invece di proteggere la pace si trasformano in organizzazioni che danneggiano la pace”. Il giorno prima il governo venezuelano aveva contestato duramente il rapporto dell’United Nations Office on Drug and Crime (UNODC), che indica come più della metà del traffico di cocaina verso l’Europa parta proprio dal Venezuela. Il Ministro dell’interno venezuelano, Tareq al-Aissami, ha chiesto all’Onu la rettifica dei dati presenti nel rapporto.

Conclusione

Se giugno è stato un mese caldo per la politica venezuelana, i prossimi mesi si preannunciano bollenti.
Luglio si è aperto con un insulto rivolto dal leader bolivariano all’arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa Savino. Durante la solenne seduta di commemorazione della Dichiarazione di Indipendenza, in piena Assemblea Nazionale, Chavez ha definito l’alto prelato un “troglodita” e “indegno”, per aver “seminato paura su comunismo”. Il cardinal Urosa Savino ha spesso espresso toni critici nei confronti del leader bolivariano, tanto da essere accusato da quest’ultimo di aver appoggiato il tentativo di golpe contro di lui nel 2002.

Anche Agosto, si preannuncia sulla stessa linea. Nel mese che precedente le consultazioni, l’Assemblea Nazionale dovrebbe approvare la “Legge del Sistema Economico Comunitario”, un progetto che prevede l’esenzione fiscale e la priorità nell’assegnazione degli appalti ad imprese “comunitarie”, cioè imprese pubbliche gestite da “assemblee di cittadini”.

Per la prima volta dopo 11 anni al potere, il Presidente Chavez si trova a dover affrontare una tornata elettorale che potrebbe negargli la riconferma. Il responso delle urne a settembre rivelerà se il popolo venezuelano crede ancora nel progetto di Socialismo del XXI secolo del leader bolivariano, o se vuole un cambiamento di rotta nella politica del Paese. Le misure che il governo adotterà nei prossimi mesi, prima e dopo le elezioni, riveleranno se il Venezuela può ancora essere definito una nazione democratica.

* Carlo Cauti è laureando in Relazioni Internazionali (Università di Roma LUISS G. Carli)


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