Un primo bilancio della situazione turca dopo i ripetuti disordini dei giorni scorsi non può prescindere dalla valutazione del fenomeno mediatico sorto in parallelo.

La realtà sul campo è certamente complessa, ma l’interpretazione  riduttiva e faziosa fatta dai grandi media occidentali la riconduce a un tema ricorrente di propaganda: vale a dire lo scontro dei laicisti, progressisti e libertari contro i fondamentalisti che cercano subdolamente di islamizzare lo Stato e la società.

A parte il fatto che risulta difficile credere all’imperativo di una islamizzazione forzata di un Paese in cui l’Islam è già largamente e pacificamente presente, si dimentica al proposito la storia stessa della Turchia: dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e per oltre 50 anni, infatti – per non parlare dei decenni precedenti – è stato il cosiddetto laicismo (il kemalismo) a perseguitare l’Islam, e non viceversa. Un laicismo spesso eterodiretto, occidentale e atlantico, che si è manifestato con colpi di Stato direttamente o indirettamente gestiti dalla NATO (inizio anni Sessanta, Settanta, Ottanta del secolo scorso) e con pronunciamenti militari ratificati dall’intervento della magistratura (metà anni Novanta, con la messa al bando del partito di maggioranza relativo, di ispirazione islamica).

Venendo all’attualità di questi giorni, si può sottolineare che la dinamica delle uccisioni e la localizzazione delle tre vittime fin qui (5 giugno) segnalate – e riunite apoditticamente nella categoria “vittime della repressione” – è piuttosto significativa.

Un uomo è stato travolto da un taxi a Istanbul, altri due sono stati colpiti  – non si sa da chi e in quale circostanza – da armi da fuoco ad Ankara e nell’Hatay (la regione al confine fra Turchia e Siria). Il richiamo a questo ulteriore tragico accadimento in questa regione – a pochi giorni dalla strage di Reyhanlı  – riconduce al gravissimo stato di tensione legato alla situazione siriana, dove una vasta area è abbandonata all’arbitrio delle milizie antiAssad (in cui figurano massicciamente mercenari occidentali e i tagliagole già distintisi nella campagna libica), il caos è totale e si susseguono manifestazioni e proteste della popolazione locale che giustamente vorrebbe essere tutelata.

Tutto ciò ha ormai ripercussioni in tutto il Paese e rappresenta – ben più dei  limiti alla vendita degli alcolici fra le 22 e le 6 di mattina, o della ridicola storia dei baci in metropolitana – il problema vero della Turchia odierna, avvertito con preoccupazione anche dall’opinione pubblica.

In questo scenario possono poi innestarsi rivendicazioni marginali come quelle ambientali, la guerra di certi ambienti kemalisti contro l’Islam e magari qualche palpabile difficoltà legata alla riduzione – per via della crisi economica europea – delle esportazioni; insomma, come spesso accade, si possono ritrovare in piazza motivazioni diverse, talune profonde e meritevoli di attenzione, altre molto meno.

La Turchia, come è noto, ha grande importanza strategica e geopolitica; in particolare, essa è imprescindibile per la Russia e per il fronte occidentale e atlantista. Il governo AKP non è mai stato visto con benevolenza da quest’ultimo, perché, pur continuando a far parte della NATO, Ankara aveva compiuto nel decennio scorso passi importanti verso un concetto compiuto di sovranità.

Inoltre – fatto che viene spesso trascurato –  la Turchia è un Paese poco indebitato, che ha rifiutato anche recentemente i prestiti del FMI, progettando invece di triplicare entro il 2023 la presenza di istituzioni finanziarie conformi alla legge islamica (ciò anche per banche a controllo pubblico come la Halkbank e la Ziraat Bank): è insomma poco in linea con le linee guida della “globalizzazione”.

Con la sua posizione sulla crisi siriana – foriera di gravissime conseguenze e in controtendenza nei confronti della sua passata politica di “zero problemi con i vicini”, ormai diventata “zero vicini senza problemi” –  il governo Erdoğan si è illuso di (ri)conquistare la fiducia degli ambienti occidentali; ma così probabilmente non è, almeno a giudicare dai commenti di questi giorni dei mass media occidentali, che plaudono alla “rivolta” contro il nuovo sultano e contro l’intolleranza islamica …


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.