Gli attacchi statunitensi, francesi e britannici contro il territorio siriano avevano e hanno – fra gli altri – un obiettivo ben preciso, e di notevole importanza: convincere la Turchia a rilanciare la sua “crociata anti Assad” separandola da Russia e Iran,  riportandola di fatto in quel  campo atlantico che resta determinato a eliminare chirurgicamente la spina nel fianco della sovranità di Damasco.

I primi riscontri sembrano incoraggianti per i tre “dilettanti allo sbaraglio” Trump – May – Macron: «Il regime siriano ha ricevuto il messaggio che i suoi massacri non resteranno senza risposta», ha affermato dopo i bombardamenti Erdoğan , dimenticando che gli attacchi unilaterali occidentali si collocano al di fuori di ogni legittimità internazionale e inaspriscono la tensione oltre misura: attacchi ancora più gravi per il fatto che le accuse rivolte  al governo di Damasco – uso di armi chimiche – sono assolutamente indimostrate.

La situazione tuttavia è molto fluida e la posizione della Turchia, come spesso accade, ondivaga e non ben definita. Caratteristiche forse inevitabili per un Paese che fa parte della NATO e però tende a costruire una propria non facile autonomia e sovranità. Secondo quanto riferito dall’agenzia di Stato Anadolu, Erdoğan nella giornata del 14 aprile ha parlato al telefono separatamente con il suo omologo francese Emmanuel Macron e con Vladimir Putin, dopo avere avuto un colloquio anche con Theresa May e con Donald Trump.

Secondo Anadolu, il Presidente turco ha alla fine affermato che sulla Siria bisogna “collaborare sia con la Francia che con la Russia”, e – concordando in particolare con Putin – che “occorre una soluzione politica” alla drammatica crisi siriana, lontana da pressioni militari.

Nel frattempo, il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha invitato tutti gli alleati “a fornire maggiore sostegno alla Turchia”, Paese in cui si trova proprio in questi giorni. Nel corso di un’intervista rilasciata presso il quartiere generale di Bruxelles, Stoltenberg  ha anche affermato che “la Turchia è il Paese della NATO che ha sofferto maggiormente degli attacchi terroristici”, glissando disinvoltamente sul fatto che sono proprio gli Stati Uniti d’America – anima della NATO – a sostenere in territorio siriano  il fronte guerrigliero curdo autore di continui attacchi e attentati sul suolo turco; e che in territorio statunitense vive con la massima protezione l’eminenza grigia del “sistema profondo” responsabile di tante azioni dirette contro la sovranità dello Stato turco.

La NATO propone dunque alla Turchia un riallineamento, nella prospettiva di una pressione congiunta e crescente contro la Siria ma soprattutto contro Russia e Iran, secondo le direttrici chiaramente definite a Washington dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale  Bolton e dal Segretario di Stato  Pompeo. I Turchi sono in realtà a stragrande maggioranza contrari a questa continua strategia della tensione:  sta al governo di Ankara  prendere  posizione di fronte alle campagne belliche promosse da tali direttrici, fatte incoscientemente proprie da Trump e dalla “comunità internazionale”.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.