La geopolitica talassocratica classica definisce “Isola Mondo” l’insieme delle masse continentali eurasiatica ed africana. Questa “sfera maggiore” è circondata da alcune “sfere minori” che fungono da suoi satelliti e che, in un modo o nell’altro, hanno storicamente cercato di esercitare una pressione costante su di essa e di contenere ogni eventuale sforzo cooperativo al suo interno. Questo ruolo “satellitare” è stato storicamente attribuito al Giappone ad Oriente, alla Gran Bretagna prima (“isola europea ma non in Europa”) ed agli Stati Uniti poi ad Occidente, ed oggi all’Oceania a Meridione dell’Eurasia.

Escludendo l’arcipelago giapponese, le cui ambizioni di potenza vennero nuclearizzate al termine della Seconda Guerra Mondiale e quelle tecnologiche frenate dalla concorrenza sleale degli stessi Stati Uniti negli anni ‘80, il disegno geopolitico che viene a crearsi è quello di un accerchiamento dell’“Anglosfera” sull’Eurasia.

Già lo stratega Nicholas Spykman, dopo aver riconosciuto l’impossibilità per una potenza talassocratica di accedere alla massa terrestre dell’Asia centrale, sostenne l’idea che lo scontro (sempre riaffiorante) fra potenze marittime e potenze terrestri (che utilizzano espressioni telluriche anche quando si rapportano al mare) poteva svolgersi solo nel rimland: ovvero, nella zona marginale del continente eurasiatico. Questo scontro, secondo Spykman, è dovuto in primo luogo ad una forma di bipolarismo permanente: quello tra “Nuovo Mondo” (l’“Occidente” a guida nordamericana) e “Vecchio Mondo” (l’Eurasia). E lo stesso geopolitico nordamericano riconosceva la potenziale superiorità del “Vecchio Mondo” rispetto al “Nuovo Mondo”. Gli Stati Uniti, infatti, non potrebbero mai essere in grado di affrontare una coalizione antiegemonica di due o più potenze eurasiatiche (l’Eurasia ha due volte e mezzo la superficie e dieci volte la popolazione dell’emisfero occidentale). Per questo motivo, il loro obiettivo non può essere altro che determinare il caos nel suddetto spazio eurasiatico, contenere ogni tentativo di espansione marittima delle sue potenze, ed impedire l’eventuale coalizione dei suoi centri di potere: dunque, impedire una interconnessione tra le risorse naturali dell’heartland e la forza industriale del rimland.

Il recente patto AUKUS, siglato tra Stati Uniti, Regno Unito ed Australia, deve essere interpretato soprattutto alla luce di queste considerazioni di carattere strategico ed ideologico. E soprattutto, alla luce del fatto che gli Stati Uniti, nonostante le reiterate prove di sottomissione, continuano a percepire l’Europa (quanto meno in alcune sue componenti) come rivale più che come alleata/gregaria.

Di fatto, il patto AUKUS rappresenta semplicemente un’evoluzione di accordi militari e strategici che risalgono alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La sorpresa che esso ha generata è piuttosto fuori luogo. Già nel 1946 nacque un accordo tra Stati Uniti e Regno Unito, noto come UKUSA, rivolto alla cooperazione nell’ambito dei servizi segreti. A quel periodo, infatti, risalgono i primi piani anglo-americani di attacco nucleare all’Unione Sovietica (piani che nel 1967 portarono ad individuare 72 siti da attaccare con armi atomiche nella sola area di Mosca).

L’accordo UKUSA venne siglato il 5 marzo 1946, esattamente nello stesso giorno in cui Winston Churchill utilizzò l’espressione “cortina di ferro” nel celebre discorso di Fulton. Il patto venne allargato nel 1948 al Canada e nel 1956 ad Australia e Nuova Zelanda, trasformandosi così in quella completa e semionnipotente infrastruttura di sorveglianza e spionaggio a livello globale oggi nota come “Five Eyes” (“cinque occhi”), un sistema che è stato riconosciuto dai rispettivi governi solo nel primo decennio del XXI secolo. La segretezza di questa alleanza era (ed è) tale che l’ufficio della presidenza del consiglio australiana ne venne a conoscenza solo nel 1973[1].

L’accordo segreto prevedeva che ogni membro dell’alleanza fosse responsabile di uno specifico settore geografico. Al Regno Unito erano affidate Europa, Medio Oriente, Russia occidentale ed Hong Kong (è bene ricordare a questo proposito che le rivolte filocinesi di Hong Kong del 1967, a differenza delle attuali manifestazioni separatiste eterodirette, vennero sedate nel sangue dalle forze di sicurezza coloniali)[2]; agli Stati Uniti spettavano Medio Oriente, Cina, Africa, America Latina ed Unione Sovietica; all’Australia l’Asia sud-orientale; alla Nuova Zelanda il Pacifico meridionale; al Canada, infine, la Cina e la Russia interne.

Questa alleanza segreta, inoltre, si fondava sulla condivisione dei valori della democrazia liberal-capitalistica. Non a caso, il padre del pensiero geopolitico talassocratico, l’ammiraglio statunitense Alfred T. Mahan, definiva la “cultura anglo-americana” come “un’oasi di civiltà posta nel deserto della barbarie”. Affermazioni simili si ritrovano anche all’origine del movimento sionista, quando Theodor Herzl presentava il suo piano di colonizzazione della Palestina come un avamposto di civiltà in mezzo alla barbarie.

Ad onor del vero, tanto il sionismo quanto l’Anglosfera non hanno portato altro che morte e distruzione negli spazi che hanno occupato e nei quali hanno cercato di imporre la loro influenza. Alla Gran Bretagna, ad esempio, si deve anche l’invenzione dei campi di internamento per la popolazione civile: pratica ampiamente utilizzata nel corso delle Guerre Anglo-boere a cavallo tra XIX e XX secolo. Agli Stati Uniti, invece, oltre al genocidio dei nativi (realizzato anche attraverso armi batteriologiche ante litteram, come la consapevole diffusione del vaiolo), è ascrivibile il perfezionamento della “diplomazia del cibo”: la capacità di fare un numero di vittime anche maggiore rispetto allo scontro militare attraverso l’imposizione di sanzioni economiche, embarghi e blocchi navali (l’attuale Ceasar Act studiato contro la Siria è, in questo senso, uno degli esempi più recenti e clamorosi).

Oggi il ruolo che viene attribuito ai cosiddetti Five Eyes è quello di garantire il dominio aerospaziale e marittimo dell’Anglosfera nei confronti dell’Eurasia (sia nella sua componente orientale che in quella occidentale) per proteggere i suddetti “valori condivisi”. Questo punto, alla luce degli eventi recenti, deve essere analizzato su più livelli.

In primo luogo, con il patto AUKUS si utilizza ancora una volta quella retorica ormai obsoleta con la quale operazioni palesemente aggressive vengono dipinte come rivolte a sostenere la pace e la stabilità. In realtà, ciò che si cerca di sostenere è solo la stabilità dell’ordine globale americanocentrico attraverso la condivisione con un alleato centrale nello spazio dell’Indo-Pacifico (termine ancora una volta proprio della geopolitica talassocratica) di tecnologia avanzata (intelligenza artificiale e propulsione nucleare subacquea) in ambito militare. Per proteggere tale ordine, la US Navy andrà a schierare sommergibili nucleari d’attacco classe Virginia nella base navale australiana di Perth; da parte sua il Regno Unito fornirà all’Australia la tecnologia di propulsione nucleare dei sottomarini d’attacco classe Astute per creare 8 sottomarini nei cantieri navali di Adelaide[3].

Prima di concentrare l’attenzione sul malessere francese, due fatti saltano agli occhi: l’esclusione di Canada e Nuova Zelanda (gli altri due membri dei Five Eyes) dall’accordo; l’esclusione di altri “alleati” regionali come Giappone, Corea del Sud ed India dal progetto di condivisione di tecnologia militare.

È un dato di fatto che Canada e Nuova Zelanda vengono in qualche modo considerati alla stregua di “ventre molle” dell’alleanza, nonostante il Canada abbia dato prova di assoluta fedeltà con l’arresto della dirigente di Huawei Meng Wangzou. Più complesso è il discorso per ciò che concerne gli alleati regionali. India e Giappone sono già inserite all’interno del sistema Quad insieme a Stati Uniti ed Australia. Washington, inoltre, ha siglato con Nuova Delhi un accordo per la condivisione di dati satellitari sensibili lungo i confini indiani con Cina e Pakistan. Ma il ruolo dell’India, pur essendo centrale nella regione dell’Indo-Pacifico, non è direttamente proiettabile all’interno dello spazio del Mare Cinese Meridionale: uno dei mediterranei dell’Eurasia in cui, assieme all’Afghanistan, si giocherà la partita più importante della nuova guerra fredda. E l’India, al pari di Giappone e Corea del Sud, non rientra nell’Anglosfera, nonostante il passato coloniale. Giappone e Corea del Sud, dal canto loro, risultano anche troppo vicini alle minacce dirette di Cina e Corea del Nord. Fattore, questo, che rende sconveniente il dislocamento di armi e tecnologie facilmente raggiungibili dal “nemico”[4].

In conclusione, non si può prescindere dall’analizzare la risposta francese, comunque ascrivibile, nonostante alcuni vaghi e fumosi riferimenti ad un esercito europeo (assolutamente privo di senso qualora associato alla NATO), all’ambito di quel piccolo nazionalismo che Jean Thiriart non cessò mai di definire come “imbecille”.

Paradossalmente la creazione dell’AUKUS, al momento, nonostante apra di fatto la corsa ai sottomarini nucleari d’attacco ed alla militarizzazione dell’Indo-Pacifico, ha irritato più la Francia della Cina. Di fatto l’AUKUS, da un lato, mette la parola fine alle velleità dell’Unione Europea di poter contare qualcosa (attraverso il suo Paese trainante sul piano militare) in un teatro strategico fondamentale a livello globale. Dall’altro, fa perdere a Parigi una commessa di oltre 56 miliardi di euro per la costruzione di 12 sottomarini convenzionali (di tipo Barracuda) siglata con Canberra nel 2016. E liquida l’ambizione francese di divenire a tutti gli effetti potenza talassocratica. Storicamente una tale ambizione si è scontrata col carattere geografico di uno Stato, la Francia, che è sì bagnato su più lati dal mare, ma che ha dovuto condividere parte dei propri confini con la Germania, la quale stringe la “penisola europea” collegandola alla vasta estensione continentale dell’Eurasia.

Ad onor del vero, va detto che l’accordo franco-australiano, tra impennate dei costi e ritardi, non stava progredendo nel migliore dei mondi. Tuttavia, lo stesso si potrebbe affermare per l’accordo anglo-australiano sulla fornitura di alcune fregate alla Royal Australian Navy. Un accordo che, a sua volta, venne siglato a discapito della Fincantieri, quando il governo australiano, non ascoltando il parere contrario della stessa marina, preferì optare “politicamente” per le fregate britanniche rispetto alle già valide e sperimentate Fremm. In quell’occasione, nonostante la perdita di una commessa da 23 miliardi, il governo italiano, a differenza di quello francese, non si concesse neanche un piccolo sussulto di orgoglio.

Se ancora ce ne fosse bisogno, l’AUKUS dimostra il carattere non paritario delle alleanze occidentali. L’Anglosfera diviene a tutti gli effetti il motore strategico dell’“Occidente”, mentre l’Europa è una semplice gregaria, utile solo a costituire uno sfogo per il complesso bellico-industriale d’Oltreoceano. Basti pensare che la tentazione di schierarsi subito al fianco del nuovo patto a tre è largamente percepibile in molti Paesi europei: non solo nell’Europa orientale, ma anche in Italia, a ciò indotta dal fatto che raramente la Francia si è comportata da alleata (si pensi al caso libico). D’altronde, una delle principali strategie della geopolitica anglo-americana è sempre stata quella di mantenere l’Europa in una condizione di divisione interna e di insipienza sul piano internazionale, per veder garantita la propria egemonia sull’estremità occidentale dell’Eurasia.


NOTE

[1]The Five Eyes. The intelligence alliance of tha Anglosphere, www.ukdefencejournal.org.uk.

[2]Si veda J. Cooper, Colony in conflict: the Hong Kong disturbances May 1967- January 1968, Swindon Book Company, Hong Kong 1970. 

[3]Si veda AUKUS, i sottomarini per l’Australia e la lezione per l’Europa, www.analisidifesa.it.

[4]Why provide nuclear submarines to Australia, but not South Korea or Japan?, www.thediplomat.com.


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Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio Sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).