Monopolio criminale di un’ Apocalittica e sanguinosa trama tra Faide e clan camorristi imbrigliati nel network dei traffici Illeciti e Associazioni a delinquere (1)

“Parlate della mafia (2). Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” (Paolo Borsellino)

Premessa

La cruenta e inaudita ferocia che ha assuefatto il crinale di una malsana e osmotica “cripta segreta di culture, simboli, codici, rituali e riti di iniziazione” (3) ingegnosamente crittografati, ha contribuito ad accrescere e potenziare la pericolosità e l’onorevole omertà ingabbiata nell’involucro di un “regime di criminalità globalizzata” (4), avvinghiata nella multiforme realtà ontologica a tinte fosche (5).
Uno scenario da far west ha presieduto e caratterizzato “l’onorata società” di medio Ottocento, fino ai giorni nostri (6), irrompendo senza remore alcune nella nefasta indole di “boss militanti” intransigenti a “mutilazioni” di confinanti territorialità, ma operosi e virtuosi nelle azioni di infiltrazione transazionale dell’ “hinterland di consorterie camorriste” (7).

Tali parallelismi ed eufemismi servono a rimarcare il putrefarsi di una società di uomini d’onore, che ramifica e si innesta nella maglia di una criminalità organizzata composta da individui e beni strumentali associati tra loro con lo scopo di scambiare o produrre in modo esclusivo beni o servizi di natura illecita, “ovvero servizi o beni di natura lecita con mezzi illeciti o di origine illecita” (8). Un management criminale identificato dalla gente comune come “sistema”, o meglio ‘o sistema, che indica il potere e la sua organizzazione orizzontale radicata di volta in volta in territori specifici collegati al mercato globale. Tali sintomatiche pseudo imprese criminali hanno assunto i connotati di un “soggetto marginale, altro rispetto alla società, un soggetto economico dotato di propri caratteri di imprenditorialità ed emancipato dalle sub-culture in cui è stato e, in parte, continua ad essere avvolto” (9). Oggi “le organizzazioni criminali hanno avuto e hanno bisogno delle istituzioni locali nella fase dell’accumulazione primitiva di capitali (che servono a legittimarli socialmente), essendo gli enti locali la principale, se non l’unica, fonte erogatrice di denaro sul territorio. In senso stretto si può sostenere che la trasformazione della camorra (come della mafia) in holding di imprese criminali versus imprese legali è stata sostenuta e alimentata dal denaro pubblico e dalle istituzioni locali, che, da un lato, non hanno saputo sostenere l’assalto, e, dall’altro, più frequentemente, hanno preferito fare affari (attraverso politici e amministratori) per drenare anch’essi quote consistenti di denaro pubblico”(10). Come lo stesso G. Falcone enfatizzò a tal proposito, “la criminalità organizzata non esercita le attività legali come un’impresa normale ma le finalizza comunque ai propri scopi illeciti, mirando soprattutto alla creazione di una rete di relazioni che ne potenzino l’influenza socio-politica” (11).

 

Blitz garibaldino

Sulla base di queste “chiavi di lettura” archetipo – interpretativa, il 20 Gennaio 2014 può considerarsi definitivamente conclusa quel pezzo di storia ricordata come l’incipit di un colossale sistema antifrode italo–americano: “Cooperazione tra Italia e Stati Uniti d’America nella lotta alla criminalità organizzata transazionale”. Una maxiretata oltremanica ha inferto un duro colpo alle principali cinque grandi famiglie mafiose newyorkesi (Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese) della costa atlantica. La retata è scattata prima dell’alba e nel giro di due ore decine di gangster sono stati portati nel carcere di Fort Hamilton; secondo il ministro della Giustizia, Eric Holder, “Gli arresti di oggi segnano un passo avanti importante e incoraggiante nella lotta a Cosa Nostra. Ma la realtà è che la nostra battaglia contro le imprese del crimine organizzato è tutt’altro che finita”. E aggiunge “Le indagini hanno seguito diversi filoni di attività criminali condotte da diversi clan e abbiamo fatto sì di portarle a conclusione tutte nello stesso momento”. È stato uno dei fenomeni più significativi e più gravidi di conseguenze, dovuto all’emergere e all’avanzare di quella che può essere definita “economia criminale” (12), o, detto in altri termini, il dilagare e il dileguarsi del mercato del narcotraffico. Un’impresa delinquenziale dai molteplici sviluppi, che ha acquisito nel tempo una forza, un’importanza e una capacità di espansione che non hanno precedenti nella storia mondiale della criminalità. L’obiettivo prioritario dei narcotrafficanti è il successo economico, la soddisfazione della loro sete di guadagno e il raggiungimento di un potere economico potenzialmente illimitato. La percezione della pericolosità di queste principali attività illecite delle cosche mafiose americane, come anche quelle italiane, sono il traffico di armi, il gioco d’azzardo, l’usura, l’estorsione, lo sfruttamento della prostituzione, la corruzione, l’infiltrazione nelle gare d’appalto pubbliche e private ed alcune attività lecite concentrate nel campo dell’edilizia e dei lavori pubblici, raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, commercio di alimenti, distribuzione di carburanti, trasporti marittimi. La realizzazione di questo fine che governa l’intera organizzazione richiede omogeneizzazione e/o omologazione delle mentalità, dei modelli, dei comportamenti e delle attitudini delle diverse componenti sociali indicate: dell’imprenditore, ma soprattutto del contrabbandiere e del delinquente. A ciò si aggiungono “le direttive, le attitudini, le condotte, le strategie e le tattiche del narcotraffico, originate dal difficile e contradditorio rapporto con la società ufficiale nella quale si racchiude l’ambito della legalità” (13). E, infatti, tale blitz garibaldino è stato reso possibile grazie alla collaborazione, nonché dichiarazione dei pentiti e grazie soprattutto alle intercettazioni registrate. Secondo quanto affermato dal capo dell’FBI di New York Janice Fedarcyk: “Questo è il risultato di anni di lavoro investigativo e dei testimoni che hanno collaborato, una tendenza che ha sicuramente dato una svolta a favore delle forze dell’ordine”; di quella “cerniera mobile tra società civile e poteri criminali, rappresentata per l’appunto dagli indiziati di reità, ossia dei soggetti disponibili ad associarsi” (14); riuscendo a ricostruire reti e pratiche criminali anche attraverso fonti giudiziarie. Su tale disamina, fondamentale è risultata essere la rete giudiziaria, con lo scopo di migliorare la cooperazione tra gli Stati nel campo della lotta contro la criminalità organizzata, droga, corruzione e terrorismo.

Essenzialmente composta da intermediari attivi (persone di contatto) che forniscono informazioni giuridiche o pratiche di cui necessitano le autorità giudiziarie del proprio o di altri Paesi membri. In particolare, “la rete giudiziaria è composta dalle autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria internazionale, dalle autorità giudiziarie, ovvero da altre autorità competenti con responsabilità specifiche nell’ambito della cooperazione internazionale” (15). Mentre, nel nostro ordinamento individuiamo la Direzione Nazionale Antimafia, le Procure Generali presso la Corte d’Appello, ciascuna delle quali provvede a nominare due punti di contatto, uno effettivo e l’altro supplente. I punti di contatto sono a disposizione delle Autorità Giudiziarie locali e delle altre Autorità competenti dei singoli Paesi, nonché delle persone di contatto delle Autorità giudiziarie locali degli altri Paesi.

 

Reti italiane negli USA

Le squadre investigative del Federal Bureau of Investigation (FBI) rappresentano una particolare forma di cooperazione giudiziaria funzionale alla repressione del crimine organizzato transnazionale, e sono riusciti a sgominare e declassare la minaccia mafiosa di matrice italiana. Ciò attraverso l’applicazione di sanzioni disciplinari al contrasto della delinquenza organizzata: la legge speciale RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organization), che oltre ad introdurre aggravi di pena per gli esponenti delle organizzazioni criminali, prevede il ricorso a efficaci mezzi di contrasto come il sequestro dei beni derivanti da attività illecite. La collaborazione tra le forze dell’ordine della FBI e della Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Reggio Calabria è stata di fondamentale importanza per cogliere in stato di “flagranza” l’operazione “New Bridge”; ovvero un traffico di droga di milioni di euro, che ha portato all’arresto di oltre 110 persone, affiliati appartenenti a Cosa Nostra americana (16), denominata anche LCN, una confederazione di cosche “mafiose”, composte da soggetti di origine italo-americana. In manette sono finiti anche alcuni uomini del clan dei De Cavalcante, che opera nel New Jersey e in New England.

Negli Stati Uniti sono presenti anche ramificazioni delle principali organizzazioni criminali operanti su scala mondiale triadi cinesi, mafia russa, gang di derivazione vietnamita, coreana, cambogiana, laotiana, taiwanese e giamaicana, yakuza giapponese. Tra queste associazioni criminali spiccano per la loro pericolosità le triadi cinesi (gruppi denominati “Wo Hop To”, “Sun Yee On”, “14K” e “United Bamboo”) e la yakuza giapponese ritenuta l’organizzazione più antica e forte del mondo.

In Italia la criminalità organizzata assume diverse denominazioni: mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, la rosa, la famiglia salentina (17). Nell’esaminare gli assetti strutturali delle associazioni di stampo mafioso è opportuno iniziare dalla figura del “capo”, con riguardo ai nomi attribuiti agli esponenti dei clan, tra cui troviamo: Boss dei Boss, Il Papa, Top Man, Capo Famiglia, Big Man, Acting Boss, Underboss, Pezzo da 90, Don, Consigliere, Luogotenente, Capo Regime, Capo Famiglia, Capo Mandamento e così via. Prerogativa del capo è il “rispetto”, che si manifesta sotto forma di status symbol, atteggiamenti, saluto, deferenza, tutela e la rappresentanza nei vertici dei capi per la conclusione di accordi o per risolvere pericoli e conflitti. Siffatti modelli organizzativi delinquenziali sono molteplici, ognuno con proprie peculiarità, e proprie responsabilità, con proprie competenze territoriali da esercitare in stretto rapporto con la struttura di vertice. Ciò al fine di favorire “un’efficiente ed efficace iniziativa di riciclaggio dei proventi derivanti di traffici illeciti che può manifestarsi sia indirettamente, mediante l’utilizzo delle prestazioni di intermediari inconsapevoli, che direttamente con la diretta acquisizione di banche e società finanziarie” (18). Pertanto, si ritiene che tali gruppi criminali siano ben radicati e integrati nella pole position dei circuiti bancari e finanziari a livello internazionale, al punto da dar vita a un nuovo e più temibile assetto organizzativo, la cosiddetta “Cosa Nuova”.

 

Riflessioni conclusive

In estrema sintesi, le questioni affrontate finora rispecchiano una cruda realtà e rivelano una “morfologica libertà clientelare” riconducibile a un modello mafioso tradizionalmente rappresentato come riferimento essenziale del vivere quotidiano. Frutto di una presenza di forti legami, di “poteri sodalizi” ambiti in stratificazioni di società inchiodati ai margini di una debolezza strutturale, di effimeri e rudimentali sistemi per accaparrare in modo fraudolento e fazioso l’incolumità arrendevole di coloro che custodiscono e preservano il “sogno americano” della “bella vita”, e intendono impossessarsi mediante un oltraggioso linciaggio lo status de “Il Padrino”. Anche se poi, nella prassi concreta, tale processo non rappresenta una dimensione psicologica di totale sottomissione degli uomini d’onore entrati a far parte delle organizzazioni mafiose tradizionali. “Il modello mafioso tradizionale è stato un riferimento essenziale cui non si è riuscita ad affiancare una modalità di comportamento, strategie e risorse necessarie per dotarla di una maggiore stabilità e quindi continuità” (19).

Caterina Gallo laureata all’Università degli studi di Salerno

NOTE

1. “L’evoluzione del fenomeno delinquenziale a carattere associativo è improntata ad un modello che persegue una globalizzazione dei mercati clandestini secondo due principali direttrici di sviluppo: la prima è rappresentata dall’aumento dell’interscambio di beni e capitali illeciti e dalla mobilità geografica dei soggetti delinquenziali; la seconda si articola come sviluppo delle forme di interconnessione tra aggregati delinquenziali prima separati”. N. Pollari, Tecnica delle inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità organizzata, p. 27, Editore Laurus Robuffo, 2000.

2. La parola “mafia” viene fatta risalire al termine arabo “mù afah”, “composto dalla radice mù che significa salute, incolumità, vigore, forza, coraggio, e dal verbo afa, che vuol dire proteggere, tutelare, perseverare da cui il nome d’azione mù afah, che sta a significare la capacità dell’uomo a proteggere l’inerme dal più forte”.S. Palazzolo, La mafia delle coppole storte, Editore Parenti, pp. 7 – 9. “La mafia, termine che viene impiegato per fenomeni assimilabili, come Cosa nostra, la camorra, la’ndrangheta, la Sacra corona unita, la Yakuza, le Triadi, viene definita, o può essere rappresentata, come un sistema, un sistema di potere politico-militare illegale e le organizzazioni riconducibili alla fenomenologia mafiosa (…) utilizzano come mezzo non esclusivo, ma specifico, la violenza”. F. Armao, Elementi per una teoria sulla mafia e sul suo rapporto con la politica, in Teoria politica, X, n. 2, pp. 55 – 89, 1984.

3. Per meglio comprendere, “Sotto il profilo sociologico, la società segreta si caratterizza per il fatto di costituire una formazione volontaria, dal momento che alla sua origine vi è un preciso atto costitutivo e, al contempo, secondaria, visto che viene creata all’interno di una società più ampia già formata in altro modo. E il segreto costituisce il segnale visibile della barriera, del limite che ogni società segreta tenta di erigere nei confronti dell’esterno…”. G. Simmel, Il segreto e la società segreta, in Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano 1989; F. Davis, Le società segrete in Cina 1840 – 1911. Forme primitive di lotta rivoluzionaria, Einaudi, Torino 1971; S. Hutin, Le società segrete, Garzanti, Milano 1955.

4. Con l’espressione di “crimine organizzato” si fa riferimento a gruppi e attività illegali finalizzati all’arricchimento personale e all’acquisizione di potere privato. C. Krauthausen, Padrinos y Mercadores. Crimen organizado en Italia y Colombia, Espasa, Santafè de Bogotà, p. 29, 1998

5. A tal proposito, “l’espansione della criminalità a livello mondiale e la sua accresciuta pericolosità sono tra gli effetti negativi più visibili del processo di globalizzazione (…), gli studiosi dei fenomeni sociali e gli opinion makers vedono nella criminalità una fonte di profonda insicurezza esistenziale”. S. Becucci – M. Massari, Globalizzazione e criminalità, Editori Laterza, 2003.

6. I principali studi tra passato e presente: F. Barbagallo, Il potere della camorra (1973-1998), Einaudi, Torino 1999; G. Gribaudi, Donne, uomini, famiglie. Napoli nel N ovecento, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 1999; M. Marmo, Tra le carceri e i mercati. Spazi e modelli storici del fenomeno camorrista, in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi, vol. 9, La Campania, P. Macry e P. Villani, Einaudi, Torino 1990; I. Sales, Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2006.

7. “L’insediamento della camorra e la formazione di una consorteria criminale locale si spiega per la loro simbiosi con il territorio. Le consorterie camorriste dei facchini di cui leggiamo nelle fonti di polizia possono essere considerate una versione della difesa del prezzo della manodopera più vile, in un mestiere non a caso già affollato dagli storici lazzari (dei quali nell’Ottocento si parla sempre meno ma che presentano analogie sociali spiccate, sono i senza lavoro, esercitano poteri plebei, con la base di massa della organizzazione camorrista, che apparve a ridosso della riforma postnapoleonica di giustizia e polizia)”. M. Marmo, Tra le carceri e i mercati. Spazi e modelli storici del fenomeno camorrista, in Storia d’Italia. le Regioni dall’Unità ad oggi. La Campania, 1990; F. Benigno, Trasformazioni discorsive e identità sociali: il caso dei “lazzari”, in Storica, 31, 2005; G. Gribandi, Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell’illegalità, Bollati Boringhieri, 2009; M. Fiasco, Puglia. Il crimine, scenari e strategie, Sapere 2000, Roma.

8. N. Pollari, Tecnica delle inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità organizzata, p. 120, Editore Laurus Robuffo, 2000

9. S. Zamagni, Criminalità organizzata e dilemmi della mutua sfiducia: sulla persistenza dell’equilibrio mafioso, pp. 133 – 150, Bologna, Il Mulino, 1993.

10. A. Lamberti, Le trasformazioni della criminalità organizzata e gli intrecci con gli Enti locali in Campania, in “Osservatorio sulla camorra”, 6 – 7, XI, Fondazione Colasanto, Napoli 1998.

11. G. Falcone, nel libro – intervista Cose di Cosa Nostra, p. 129, curato da Marcelle Padovani, Milano 1991.

12. Con il termine economia criminale ci si riferisce alla proliferazione e all’emergere di un’ampia gamma di fenomeni e di processi criminali quali il narcotraffico e altri traffici illeciti di beni di lusso, valuta e armamenti. M. Kaplan, Narcotraffico. Gli aspetti sociopolitici, p. 13, Edizioni Gruppo Abele, 1992.

13. M. Kaplan, Narcotraffico. Gli aspetti sociopolitici, p. 79, Edizioni Gruppo Abile, 1992.

14. C. Castellano, Individui sospetti, patrimoni pericolosi: le misure di prevenzione nella lotta alle mafie, pubblicato in Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell’illegalità, pp. 155- 156, Bollati Boringhieri, 2009.

15. U. Santino, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, p.127, Rubbettino Editore, 2006

16. Lo schema strutturale di una famiglia di Cosa nostra è basato sulla figura del Boss, da cui dipendono un Consigliere (in posizione di staff) ed un Underboss (diretto subordinato del capo sotto il profilo gerarchico): a quest’ultimo spetta il compito di impartire le direttive ai cosiddetti “capiregime”, dai quali dipendono poi gli elementi situati più in basso nella scala gerarchica, i soldati.” N. Pollari, Tecnica delle inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità organizzata, p. 28, Editore Laurus Robuffo, 2000.

17. Oltre ai tratti caratteristici illustrati in precedenza, le organizzazioni criminali italiane presentano anche ulteriori connotazioni comuni: “l’incondizionata subordinazione ad un capo ed alla gerarchia che ne discende in ragione demoltiplicazione funzionale del potere; l’assoluta segretezza ed omertà che caratterizza il comportamento dei consociati; il vincolo intenso, “sanguigno” e personale che li deve legare; l’esistenza di rituali, coerenti con tale modo di essere, sia in sede di “reclutamento” e di ammissione, che nei rapporti correnti; come rito d’ingresso nella mafia siciliana è stata prescelta l’unione tra sangue e fuoco (alcune gocce di sangue vengono fatte cadere su di un santino che brucia), l’uomo d’onore pronuncia la formula del giuramento ed assume la consapevolezza che, in caso di tradimento, verrà arso e ridotto in cenere come l’immagine sacra imbevuta di sangue”. N. Pollari, Tecnica delle inchieste patrimoniali per la lotta alla criminalità organizzata, p. 45, Editore Laurus Robuffo, 2000.

18. D. Masciandaro, I tentacoli dell’euromafia finanziaria, p. 4, in “Sole 24 Ore” del 21 ottobre 1997.

19. G. Garibaldi, Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell’illegalità, pp. 263 – 264, Bollati Boringhieri, 2009.

Fonti:
http://www.europinione.it/cosa-americana-declino-o-stallo/;
http://www.narcomafie.it/2011/01/21/cosa-nostra-arresti-made-in-usa/;
http://www.repubblica.it/cronaca/2014/02/11/news/maxi- blitz_in_italia_e_negli_usa_contro_ndrangheta_e_cosa_nostra-78252837/
http://www.campanianotizie.com/cronaca/caserta/85982-ndrangheta-catturato-ad-orta-di-atella-latitante-sfuggito-a-blitz-polizia-fbi.html


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