Dal punto di vista delle scienze strategiche, il potenziale e il ruolo internazionale di un Paese può essere approfondito da diverse visuali. La storia, l’economia, la società, la cultura, la politica, sono tutte sfere da analizzare, ma prima di ogni cosa bisogna valutare la questione  della posizione geografica di una nazione. Vi sono almeno tre fattori geografici da considerare: l’aria, l’acqua e la terra. Ad esempio un Paese che non abbia uno sbocco sui mari internazionali, come l’Austria, la Svizzera o la Mongolia, ha un ruolo molto inferiore rispetto alle altre nazioni. Dopo queste valutazioni geografiche, come appunto lo sbocco a mare o l’estensione geografica, bisogna valutare fattori molto più decisivi, come la politica, la cultura, la società, ma anche la forza militare e l’economia. Infine bisogna confrontare il fattore “geografico” con gli altri fattori e valutarne il complesso per comprendere il potenziale e il ruolo internazionale di un Paese. Ad esempio quando si parla di geopolitica, si intende quella scienza che studia il legame tra il fattore geografico e quello politico di un Paese. Quando si vuole studiare l’associazione tra il ruolo geografico e l’economia, allora si sta parlando di geoeconomia e così via. Una valutazione complessiva è fondamentale, altrimenti non si capirebbe come nel XIX secolo un Paese con un’estensione territoriale non molto grande come la Gran Bretagna, sia divenuta la principale potenza mondiale. L’attuale posizione iraniana ha delle peculiarità rispetto a qualche anno fa. Possiamo analizzare il potenziale iraniano da diversi punti di vista:

1-   Oggi l’Iran è diventato di fatto il cuore (“heartland”) dell’agglomerato continentale eurasiatico. Secondo gli studiosi della geopolitica, verso i primi anni del XX secolo, la terra centrale o “heartland” del mondo era rappresentato da quell’area geografica ad est del Mar Caspio, all’incirca coincidente con gli odierni Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Tagikistan, estremità meridionale della Russia, nord Afghanistan e nord est Iran. Gli studiosi quindi ritenevano che il controllo su questi territori avrebbe determinato l’egemonia mondiale (1). Si dice ad esempio che Hitler, molto affascinato da queste teorie, abbia ordinato l’aggressione all’URSS proprio per impossessarsi di quei territori, che per buona parte erano parte dell’impero sovietico. L’avanzata delle truppe tedesche però, come sappiamo, si fermò a ovest del Mar Caspio, decretando una sconfitta pesante per l’Asse. L’avventura militare degli USA e della NATO in Afghanistan, iniziata nel 2001 con la scusa della “lotta al terrorismo”, in realtà rappresenterebbe ancora una volta il tentativo di dominare questa zona. Per diversi motivi però, progressivamente, il “cuore” del continente eurasiatico, si è trasferito più verso ovest, e oggi questa zona coincide con i territori iraniani e quelli limitrofi alla Repubblica islamica dell’Iran. Questa posizione strategica, secondo molti analisti, durerà ancora per almeno cinquant’anni.

2-   Il ruolo fondamentale dell’Iran non riguarda solo la centralità “continentale” rispetto allo scacchiere eurasiatico, ma anche la sua centralità per ciò che riguarda l’egemonia sui mari. Fino al perdurare della “guerra fredda”, il “cuore” degli oceani e dei mari (“heart-sea”) era considerato l’Atlantico settentrionale, dalle coste britanniche a quelle americane, passando per il famigerato “triangolo delle Bermuda” e per il Mar dei Caraibi. Questo ruolo centrale era dovuto alla ricostruzione dell’Europa occidentale, che necessitava di transiti oceanici per e dagli Stati Uniti. Con la caduta dell’URSS, il centro dei mari è stato caratterizzato dal Golfo Persico, dal Mare di Oman e dalle coste settentrionali dell’Iran, ovvero il Mar Caspio, centri nevralgici tutti questi per le forniture energetiche del mondo. Qualche decennio fa tra lo “heartland” e lo “heart-sea” vi erano 10.000 km di distanza, mentre adesso sono coincidenti con il territorio e il mare dell’Iran. Ecco quindi il perché della centralità dell’Iran in tutte le questioni internazionali. Questo fatto è per la Repubblica islamica una grande opportunità di essere un attore internazionale di primaria importanza, ma allo stesso tempo è una minaccia, visto che tutte le potenze mondiali dovranno avere un’influenza su questo Paese se vorranno avere sogni di egemonia.

3-   L’Iran e i Paesi limitrofi ad esso sono i principali produttori di petrolio e gas naturale al mondo, e questa regione è il cuore economico del pianeta; chi vuole controllare le sorti dell’umanità nel XXI secolo deve avere una certa egemonia su buona parte dei territori e dei mari che hanno una contingenza con l’Iran. Non a caso in un discorso nel mese di marzo del 2012, la Guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha sottolineato come le fonti energetiche in molte zone del mondo vanno verso l’esaurimento e, sempre secondo il capo di Stato iraniano, le riserve energetiche iraniane dovrebbero perdurare fino ai prossimi ottant’anni (2).

4-   Dal punto di vista politico l’Iran è un Paese indipendente e ha un ruolo regionale che, insieme ad altre realtà mediorientali (3), si trova in opposizione rispetto al regime sionista, quello che l’Occidente definisce “l’unica democrazia della regione”. Questa circostanza rende l’Iran “simpatico” a molti, ma “antipatico” ad altri, ed è un fatto che nelle relazioni internazionali va preso in considerazione. Il regime sionista infatti è l’unico “Paese” al mondo per cui la leadership americana spende parole come: “la sicurezza di Israele è la sicurezza degli Stati Uniti” (4).

5-   Per ciò che riguarda un approccio culturale, bisogna dire che l’influenza iraniana dal punto di vista linguistico si estende dal Kurdistan siriano al subcontinente indiano, fino all’Afghanistan e all’Asia centrale (5). Mentre se consideriamo il fattore religioso, l’Iran, in quanto cuore del mondo sciita, ha un’influenza fondamentale dal Mar Mediterraneo orientale (Libano) all’Afghanistan occidentale (la regione di Herat), dal Caucaso (Azerbaijan) al Pakistan, per arrivare alla Penisola araba (6).

Tutti questi fattori rendono l’Iran un Paese con un alto potenziale. Quando una nazione ha un’alta capacità di influenza nelle relazioni internazionali, indubbiamente le altre nazioni egemoni si adoperano per ostacolare un potenziale concorrente. Per ciò che concerne l’atteggiamento degli USA nei confronti dell’Iran come nuovo “heartland”, bisogna dire che gli americani hanno sempre considerato il continente eurasiatico come una sorta di “grande Oriente”, da suddividere in tre macro-aree: il Vicino Oriente (Europa), il Medio Oriente (l’Asia sud-occidentale), l’Estremo Oriente (la parte orientale dell’Asia). L’Iran, trovandosi nella macro-area mediorientale, rappresenta un Paese privilegiato per i piani espansionistici nordamericani, soprattutto per il potenziale energetico (petrolio e gas naturale) che caratterizza il sottosuolo iraniano e dei Paesi limitrofi all’altopiano iranico. Non a caso l’Amministrazione Bush Junior parlava di “Grande Medio Oriente” (7), non solo per ampliare il raggio di questa macro-area rispetto alla visione classica, ma anche per far capire all’opinione pubblica l’importanza del dominio su questa regione. Tutto ciò rappresenta per la Repubblica islamica dell’Iran una grande opportunità per tramutare l’enorme potenziale che ha in azione concreta, ma d’altro canto può essere considerata una minaccia, perché le varie Amministrazioni americane passeranno il proprio tempo a organizzarsi per ingerenze più o meno esplicite negli affari iraniani, non solo a livello nazionale o regionale, ma a livello mondiale.

Le principali minacce alla stabilità iraniana, che poi vengono utilizzate dagli USA, sono classificabili in due punti: la secolarizzazione della società iraniana e la diversità delle etnie che abitano il territorio iraniano. La secolarizzazione forzata è fomentata principalmente dall’estero e rappresenta una sfida culturale importante, in quanto il regime della Repubblica islamica basa la propria legittimazione sulla religione islamica sciita, e nel momento in cui i valori religiosi si dovessero ridimensionare nella società, per un potenziale nemico dell’Iran sarebbe più facile dividere lo Stato dal popolo, così da corrompere le radici popolari delle istituzioni (8). Un altro punto è il pericolo della cosiddetta “balcanizzazione”; questo pericolo è sempre dietro l’angolo in un Paese multietnico, come in buona parte degli Stati eurasiatici, ma il vantaggio che ha l’Iran rispetto ad altre realtà è che vi è nell’islam sciita duodecimano (9) un fattore di unità nazionale non riscontrabile in altri Paesi dell’area.

Il progetto “Iran 1414”

Vista l’importanza di questo Paese e la rinascita culturale, ideologica, scientifica (10) e sociale della nazione iraniana, soprattutto dalla rivoluzione del 1979 (senza dimenticare l’importante contributo del governo Ahmadinejad nella spinta verso uno sviluppo socialmente sostenibile che non schiacci i ceti meno abbienti, come purtroppo è accaduto in altri contesti nel cosiddetto Terzo Mondo), gli intellettuali e gli analisti si sono messi all’opera per programmare il futuro iraniano. Un ruolo importante è stato giocato dai centri di ricerca strategica, come quello diretto dal dott. Hasan Abbasi (“Centro studi Yaqin”), noto esperto iraniano di politica internazionale che apertamente parlano di un progetto denominato “Iran 1414”. Lo stesso Abbasi in un articolo apparso sul suo sito internet esprime questi concetti:

“Il progressivo deterioramento della potenza mondiale americana apre un vuoto colmabile nei prossimi decenni da chi riuscirà meglio ad organizzarsi, soprattutto per gli aspetti culturali. Infatti, tra il 2030 e il 2035 inizierà probabilmente una nuova epoca in cui il vero potere non sarà più nell’arma atomica o nell’egemonia economica, ma nel potenziale culturale e nella capacità di controllare i cuori e le menti delle persone del pianeta”. (11)

Egli in un altro articolo scrive:

“La vera sfida del futuro non sarà nella guerra classica, rappresentata dagli armamenti (“hard power”) o dall’influenza economica (“semi-hard power”), ma dalla capacità di una nazione di influenzare attraverso la cultura, i media, i film e lo sviluppo scientifico (“soft power”) gli altri popoli”. (12)

Questo programma, fatto proprio anche dal governo iraniano, ha come obiettivo quello di fare dell’Iran entro l’anno 1414 del calendario tradizionale iraniano, coincidente con il 2035 del calendario occidentale, una delle principali potenze mondiali, con un apparato economico all’avanguardia (13), strutture burocratiche moderne e soprattutto una capacità di impatto nelle relazioni internazionali senza precedenti nella storia iraniana, basato sulla cultura e la peculiarità della civiltà iraniana. In questa ottica il fattore “sciita” ha una valenza importantissima e il messaggio ideologico di questa corrente islamica può aprire frontiere inesplorate per gli iraniani. Non è un caso quindi che il presidente Ahmadinejad in tutti i suoi discorsi, sia a livello nazionale che a livello internazionale, esordisca con una preghiera rivolta al Signore per accelerare il ritorno del Messia, tratto tipico di tutte le religioni, ma dell’islam sciita in particolare (14). Lo stesso Mahmoud Ahmadinejad ha avuto modo di ricordare che se la Repubblica islamica dell’Iran fosse per qualche motivo privata del pensiero sciita non avrebbe più nessuna particolarità e non potrebbe presentarsi al mondo come un’alternativa all’attuale ordine mondiale. Gli intellettuali iraniani parlano addirittura di voler presentare in Iran un modello sociale definito come “società messianica” (in persiano “jame’eie mahdavi”), da contrapporre al modello sociale occidentale (“società civile”, di cui si parla tanto anche alla luce della cosiddetta “Primavera araba”). Per fare ciò vi è la necessità di grandi riforme e di una stretta collaborazione tra istituzioni, intellettuali e persone comuni.

Quindi, per concludere, si può dire che il ruolo internazionale dell’Iran ha una base molto forte nella posizione geografica e nel potenziale geopolitico e geoeconomico del Paese, ma queste caratteristiche “positive”, sono sotto la lente delle potenze aggressive, principalmente gli USA, sempre pronte ad approfittare delle varie situazioni per rimettersi in sesto, anche se ormai la loro egemonia sembra sulla via del tramonto. Le altre nazioni devono essere capaci di colmare il vuoto del dominio nordamericano attraverso la cooperazione, per un mondo più equo e meno unilaterale.

 

NOTE:

(1)   Questa teoria fu elaborata dall’inglese Halford Mackinder che la sottopose alla Royal Geographical Society nel 1904.

(2)               Bisognerebbe considerare alcuni numeri: l’area del Golfo Persico rappresenta circa il 2% della superficie del pianeta Terra, e in esso sono concentrate tra il 20% e il 25% delle riserve petrolifere e di gas naturale del mondo. Cioè, nel restante 98% del pianeta vi è circa il 75% degli idrocarburi. Non esiste al mondo una tale densità di risorse energetiche in un luogo così ristretto. Poi, queste risorse sono facilmente trasportabili via mare, mentre il petrolio e il gas naturale in altri contesti devono essere trasportati attraverso costosissimi oleodotti e gasdotti. Inoltre i mari meridionali dell’Iran si trovano in una posizione centrale nel contesto eurasiatico, facilitando il trasporto sia verso Est che verso Ovest.

(3)   Il celebre “Asse della Resistenza”, che unisce l’Iran, la Siria, la resistenza libanese e quella palestinese.

(4)   Questa frase è stata ripetuta più volte sia da Barack Obama che dal suo predecessore G.W. Bush Jr.

(5)   Lingue come il curdo, il pashtun, l’urdu, per non parlare poi del dari e del tagiko, sono tutte lingue indoeuropee affini al neopersiano.

(6)   I Paesi a maggioranza assoluta sciita sono l’Iran, l’Iraq, il Bahrain e l’Azerbaijan, mentre il Libano, la Siria, la Turchia, l’Afghanistan, il Pakistan, l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati Arabi, il Qatar, l’Oman e lo Yemen ospitano importanti comunità sciite che variano dal 20% al 40% dell’intera popolazione. Per un confronto sulle varie statistiche disponibili a livello internazionale vedi Mohammad Ali Shomali, Alla scoperta dell’islam sciita, Jamiat Az-Zahra, Qom (Iran), 2004.

(7)   La famosa teoria neoconservatrice del “Grande Medio Oriente” venne elaborata dai centri di ricerca strategica vicini al governo Bush, come l’American Enterprise Institute, in concomitanza con la “guerra al terrorismo”, che poi si trasformò in “guerra preventiva”, e che a sua volta condusse al progetto per il “Nuovo Medio Oriente”. Non a caso C. Rice, Segretario di Stato di G. W. Bush Jr., disse apertamente che la guerra del Libano del 2006 rappresentava “il dolore necessario per il parto del nuovo ordine mediorientale”, nel senso che una volta tolta la “spada di Damocle” degli Hezbollah dalla testa del regime sionista, la strada per un attacco israelo-americano all’Iran sarebbe più semplice. Come non leggere l’attacco alla Siria iniziato nel 2011, con l’infiltrazione nel Paese arabo-mediterraneo delle bande armate sostenute dagli USA e dai suoi alleati regionali, come la continuazione di quella politica?

(8)   Il movimento culturale e politico del “riformismo iraniano” rappresenta, in una certa misura, la quinta colonna della secolarizzazione forzata pubblicizzata dall’esterno. Gli ideali di umanesimo, in contrapposizione alle idee “teocentriche” della Costituzione iraniana, il liberismo economico sul modello occidentale, il sostegno alla borghesia sono alcuni dei principi fondamentali dei riformatori. Molti dei politici iraniani che hanno aderito all’esperienza riformista del governo Khatami, oggi sono commentatori ed analisti per il canale satellitare del governo americano “Voice of America”, come l’ex deputato al parlamento di Tehran e vicepresidente dell’assemblea Mohsen Sazegara o l’ex Ministro della Cultura Ataollah Mohajerani.

(9)   L’islam sciita duodecimano è la corrente che ha più fedeli all’interno dello sciismo. Più del 90% degli iraniani appartiene a questa confessione. Tra le altre scuole sciite più importanti vi sono gli Alawiti, presenti soprattutto in Siria, gli Alevi (Turchia), gli sciiti Zaiditi (Yemen) e i Drusi, da alcuni intellettuali considerati affini agli sciiti, in Libano.

(10) “Fino a 15 anni fa, l’Iran aveva una produzione scientifica in linea con quella di paesi come l’Iraq e il Kuwait, con circa 700 paper pubblicati ogni anno. Oggi, mentre Iraq e Kuwait faticano a spostare l’assicella di qualche tacca più in alto, la Repubblica Islamica dell’Iran sforna articoli scientifici a ritmo serrato, arrivando a toccare quota 13mila paper all’anno e posizionandosi come il paese con la più rapida crescita scientifica dell’ultimo decennio.” Vedi HUhttp://it.notizie.yahoo.com/blog/wired/perch%C3%A9-il-progresso-scientifico-iran-fa-paura-093237105.htmlUH.

(11) HUhttp://drhasanabbasi.irU

(12) Ibidem.

(13) Secondo le previsioni del progetto “1414” l’Iran nel 2035 dovrebbe diventare la settima potenza economica del mondo (PIL reale), mentre secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, oggi si troverebbe al 17° posto, con un PIL reale di circa 900 mld USD.

(14) Tutti i musulmani, ma anche ebrei, cristiani e appartenenti ad altre religioni concordano sull’avvento di un Salvatore che instaurerà la giustizia nel mondo prima della fine dei tempi. Nell’islam sciita duodecimano però la carica emotiva di questo credo è superiore per intensità rispetto alle altre religioni, rappresentando un tratto tipico della cultura sciita. La preghiera spesso ripetuta dal presidente Ahmadinejad inizia con questa formula: “Allahumma ajjel lewalyyek al-faraj” cioè, “Oh Dio, accelera l’avvento del Tuo vicario”.

 


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