I

Le riforme di Pietro il Grande costituiscono una frontiera netta tra due epoche della storia della cultura russa. A prima vista sembrerebbe che, sotto il regno di Pietro il Grande, abbia avuto luogo una rottura radicale della tradizione, che la cultura della Russia postpetrina non abbia nulla in comune con quella della Russia precedente e che nessun legame  esista tra le due culture. Ma le impressioni di questo tipo sono generalmente errate. Là dove si percepiscono di primo acchito rotture brusche della tradizione nella storia di un popolo, un attento esame permette di stabilire, per lo più, il carattere illusorio di tale rottura, e rivela la presenza di legami inizialmente impercettibili tra due epoche. Così è per la cultura russa prima e dopo l’epoca di Pietro il Grande. È noto che gli storici della cultura russa mettono sempre in evidenza tutta una serie di fenomeni che legano il periodo postpetrino a quello precedente, e che permettono di affermare che le riforme di quest’ultimo sono state preparate da certe correnti della cultura prepetrina. Se si dà uno sguardo complessivo a tutti questi collegamenti tra le due culture identificate dagli storici, si ottiene il seguente quadro: è possibile parlare di una rottura completa della tradizione solo se si restringe il significato del termine “cultura russa” alla sua variante “grande-russa”. Ma nessuna rottura brusca della tradizione ha avuto luogo nella cultura russo-occidentale (in particolare nella cultura ucraina) all’epoca di Pietro il Grande. E, nella misura in cui questa cultura ucraina aveva cominciato a penetrare nella Russia moscovita ben prima di Pietro il Grande, dando origine ad alcune correnti con essa simpatizzanti, si può considerare che le riforme culturali di Pietro il Grande hanno trovato un terreno propizio nella Grande Russia.

Dal XV secolo fino alla metà del XVII, la cultura della Russia occidentale e quella della Russia moscovita si sono evolute secondo percorsi talmente differenti, che lo scarto che le separava era diventato estremamente importante. Ma, nello stesso tempo, la viva coscienza dell’unità panrussa e dell’eredità culturale bizantina che esse avevano in comune non permetteva di considerarle completamente indipendenti l’una dall’altra, e faceva vedere in esse due “varianti”, due diverse modalità di una sola e medesima cultura panrussa. Dopo l’annessione dell’Ucraina (1) venne posta la questione della fusione di queste due varianti in una sola realtà. Tale questione, tuttavia, si poneva in modo offensivo, tanto per l’amor proprio nazionale grande-russo quanto per quello piccolo-russo (2) non si trattava tanto di fondere le due varianti  della cultura russa, quanto di eliminare una delle due come variante “pervertita”, e di conservare l’altra come l’unica variante “corretta” e autentica. Gli Ucraini ritenevano che la variante moscovita della cultura russa fosse stata corrotta dall’analfabetismo dei moscoviti, ai quali essi rimproveravano l’assenza delle scuole e davanti ai quali si vantavano delle loro realizzazioni in materia di istruzione. Quanto ai Moscoviti, questi giudicavano corrotta la variante ucraina (ed in generale quella russo-occidentale), a causa dell’influenza eretica del cattolicesimo polacco. Le persone ragionevoli comprendevano che entrambe le parti avevano al contempo ragione e torto, che i Grandi Russi avrebbero fatto bene ad aprire scuole e gli Ucraini a sbarazzarsi di molte caratteristiche prese in prestito dai Polacchi. Ma le persone ragionevoli erano poco numerose e le maggioranze dei due campi erano attestate su posizioni inconciliabili. Perciò, in pratica, il problema si riduceva a sapere quale delle due varianti della cultura russa dovesse essere o totalmente adottata o totalmente respinta. Spettava al governo, cioè in ultima istanza allo Zar, decidere. Il governo si schierò con il partito degli ucraini, il che era perfettamente corretto dal punto di vista politico: l’inevitabile scontento dei Grandi Russi poteva sfociare tutt’al più in rivolte a carattere locale, mentre quello degli Ucraini poteva rendere molto difficile, o addirittura impossibile, l’annessione dell’Ucraina, che era in corso di realizzazione. Ora, una volta schieratosi con gli Ucraini, il governo moscovita aveva fatto il primo passo per riconoscere il carattere “corretto” della variante ucraina della cultura russa. È vero che c’erano passi più importanti, che consistevano nel “correggere” i testi della liturgia (ossia nel rimpiazzarne la versione moscovita con quella ucraina); si trattava delle riforme del Patriarca Nikon (3). In tale ambito l’unificazione fu totale, nel senso che tutto quello che era grande-russo venne sostituito con ciò che era ucraino. Ma negli altri ambiti della cultura e della vita, l’unificazione non venne realizzata prima di Pietro il Grande. In Ucraina regnava una variante puramente occidentale della cultura russa, senza nessuna aggiunta grande–russa; nella Grande Russia c’era una mescolanza di cultura moscovita e russo-occidentale. Del resto, alcuni rappresentanti della classe superiore (gli “occidentalisti” dell’epoca) andavano alquanto lontano nell’adozione di elementi russo-occidentali da parte della cultura grande-russa, mentre altri (i nazionalisti moscoviti di allora) cercavano di mantenere la purezza della tradizione grande-russa.

Lo Zar Pietro si era proposto di europeizzare la cultura russa. È chiaro che soltanto la variante russo-occidentale, ucraina, della cultura russa poteva essere utilizzata a questo fine, dal momento che essa  aveva già assorbito alcuni elementi della cultura europea (nella sua variante polacca) e manifestava una tendenza ad evolvere in tale direzione. Al contrario, la variante grande-russa della cultura russa, a causa della sua eurofobia molto pronunciata e della sua tendenza all’autarchia, non soltanto era inadatta agli scopi fissati da Pietro il Grande, ma costituiva un ostacolo alla realizzazione degli stessi. Fu per tali motivi che Pietro il Grande cercò di sradicare ed annientare la variante grande-russa della cultura russa e fece della variante ucraina la sola variante di essa, fissandola come punto di partenza della sua evoluzione futura.

Fu in questo modo che morì la vecchia cultura grande-russa, moscovita, sotto il regno di Pietro il Grande. La cultura che a partire da quest’epoca vive e si sviluppa in Russia è il prolungamento organico e diretto non della cultura moscovita, ma della cultura kieviana, ucraina. Lo si può osservare in tutti i campi. Prendiamo, per esempio, quello della letteratura. La lingua normativa [litteraturnyj jazyk] utilizzata nelle belle lettere come nella letteratura religiosa e scientifica tanto nella Russia occidentale quanto in quella moscovita era lo slavone della Chiesa (4). Ma le varianti di questa lingua a Kiev e a Mosca prima del XVII secolo differivano un po’, tanto nel lessico quanto nella sintassi e nello stile. Dal patriarcato di Nikon, la variante kievana soppiantò la variante moscovita nei testi liturgici. Si può osservare più tardi lo stesso processo negli altri ambiti letterari, tanto che lo slavone ecclesiastico che serviva di base alla lingua normativa “slavo-russa” dell’epoca di Pietro il Grande era lo slavone ecclesiastico nella sua variante kievana. Nella Russia moscovita esisteva una ricca tradizione poetica (in versi), ma questa tradizione era essenzialmente orale. Di essa ci è pervenuto soltanto un piccolo numero di opere scritte; ma, a partire da quelle che ci sono note (per esempio Povest’ o Gore-Zločastii “Racconto del rimpianto e dell’infelicità” ), ci si può fare un’idea precisa delle particolarità di tale tradizione poetica. La lingua utilizzata era quella grande-russa quasi pura, con alcuni elementi dello slavone ecclesiastico, adorna di certe convenzioni poetiche tradizionali; la versificazione non era né sillabica né tonica, ma riposava su principi identici a quelli dei canti folkloristici grande-russi. Nella Russia occidentale, invece, la  tradizione poetica che si è imposta è un’altra, puramente libresca; quest’ultima, appoggiandosi sulla tradizione polacca, si è caratterizzata per la versificazione sillabica e l’uso della rima. Nella Russia occidentale questi “versi” (virši) erano scritti nello slavone ecclesiastico o in quel gergo russo-polacco (più esattamente bielorusso-polacco) che serviva, ai ceti superiori della società russa come lingua di conversazione e lingua pratica.  La poesia russa occidentale era penetrata nella Grande Russia prima di Pietro il Grande (scritta ovviamente in slavone ecclesiastico, cioè nella lingua normativa panrussa dell’epoca). Popolari, per esempio, erano i poemi di Simeon Polockij. Si videro anche apparire, a Mosca, imitatori locali di questo genere poetico; sarà sufficiente citare Silvestr Medvedev. A partire dall’epoca di Pietro il Grande, la poesia russa dell’antico tipo grande-russo si ritirò definitivamente “presso il popolo”: negli strati superiori (in senso culturale) della società non esisteva più se non una tradizione poetica che traeva origine nei virši sillabici scritti nello slavone ecclesiastico. La prosa narrativa esisteva sia nella Moscovia sia nella Russia occidentale, ma in quest’ultimo caso la schiacciante influenza polacca non consentiva lo sviluppo di una tradizione autonoma, sicché la prosa narrativa consisteva quasi esclusivamente di traduzioni. Nella Russia moscovita, in compenso, c’era una tradizione autonoma narrativa in prosa che nel secolo XVII era diventata particolarmente forte e lasciava sperare in un’evoluzione fiorente (si veda, ad esempio, Il racconto di Savva Grudcyn). Al contempo, in tutto questo XVII secolo, la Russia moscovita era inondata di racconti tradotti che provenivano dalla Russia occidentale. È a questa tradizione russa occidentale che aderisce la prosa narrativa russa dell’epoca postpetrina: la tradizione moscovita autoctona era morta prima di aver potuto raggiungere il pieno sviluppo. È altamente probabile che nella Russia moscovita esistesse l’arte oratoria. Lo stile delle opere dell’arciprete Avvakum (5) è nettamente oratorio e, malgrado l’apparente assenza di artifici, presuppone un’antica tradizione orale di predicazione. Ma questa tradizione non ha nulla in comune con quella della retorica scolastica impiantata nella Russia occidentale dalle confraternite (6) e dall’Accademia Mohiliana (7). Mosca era stata in contatto con questa tradizione ucraina di predicazione fin da prima di Pietro il Grande. Fu durante il regno di quest’ultimo che i celebri oratori ucraini Feofan Prokopovič e Stefan Javorskij assicurarono il trionfo definitivo di questa tradizione. Tutta la tradizione retorica (sia religiosa sia secolare) del periodo post-petrino risale per l’appunto a questa tradizione ucraina, e non alla tradizione moscovita; quest’ultima si era definitivamente estinta, lasciando dietro di sé, come sole testimonianze, le poche indicazioni che si possono ricavare dalle opere di Vecchi Credenti (8) come Avvakum. Infine, solo nella Russia occidentale esisteva una letteratura drammatica prima di Pietro il Grande. In rare occasioni venivano rappresentate a corte le opere drammatiche di autori ucraini (per esempio Simeon Polockij). La letteratura drammatica russa successiva a Pietro il Grande è geneticamente legata alla scuola drammatica ucraina. Vediamo così che la letteratura russa postpetrina è il prolungamento diretto della tradizione letteraria russa occidentale, ucraina.

Si può notare la medesima situazione nelle altre forme d’arte: nella musica vocale (soprattutto religiosa) e strumentale, nella pittura (dove la tradizione grande russa si è mantenuta solo tra i vecchi credenti, mentre nella Russia postpetrina tutta la pittura d’icone e il ritratto risalgono alla tradizione russa occidentale), nell’architettura religiosa (l’unico tipo di architettura per il quale si riconoscevano certi diritti allo “stile russo”) (9). Ma questa aderenza alle tradizioni russe occidentali e il rifiuto delle tradizioni moscovite non si notano soltanto nell’arte, bensì anche in tutti gli altri aspetti della cultura spirituale della Russia postpetrina. L’atteggiamento verso la religione e l’evoluzione del pensiero ecclesiastico e teologico dovevano naturalmente fondersi nella tradizione russa occidentale, una volta che la versione russa occidentale della liturgia venne riconosciuta come la sola corretta sotto il patriarcato di Nikon e l’Accademia Mohiliana di Kiev diventò il centro panrusso da cui si irradiarono le più elevate luci spirituali, al punto che la maggior parte dei dignitari della Chiesa russa per un lungo periodo uscirono da questa Accademia. Nei confronti della tradizione russa occidentale fu debitrice anche la pedagogia successiva a Pietro il Grande (nelle scuole, nello spirito e nel contenuto dell’insegnamento). Di origine tipicamente russa occidentale, infine, fu quell’atteggiamento verso l’antica cultura grande russa che dominò nel periodo postpetrino: era un fatto convenuto (e lo è ancora) che su questa cultura si dessero i medesimi giudizi che venivano emessi dagli Ucraini “istruiti” del XVII secolo…

 

II

 

Fu così che a cavallo dei secoli XVII e XVIII ebbe luogo una ucrainizzazione della cultura spirituale grande-russa. La differenza tra la variante russa occidentale e la variante moscovita della cultura russa fu eliminata con lo sradicamento di quest’ultima. Non vi fu se non una cultura russa unica.

Questa cultura russa unica dell’epoca postpetrina era di origine russo-occidentale, ucraina, ma il sistema statale russo era d’origine grande-russa, per cui il centro della cultura si dovette spostare dall’Ucraina alla Grande Russia. Il risultato fu che questa cultura diventò né specificamente grande russa né specificamente ucraina, ma panrussa. Tutta la sua evoluzione ulteriore fu determinata in larga misura da questa passaggio da una situazione limitata e locale ad un’altra, più ampia, nazionale ad un livello seriore. La variante russa occidentale della cultura russa si era formata in un’epoca in cui l’Ucraina era una provincia polacca e la Polonia, dal punto di vista culturale, era una provincia (una provincia remota) dell’Europa romano-germanica. Ma a partire dall’epoca di Pietro il Grande, questa variante russa occidentale della cultura russa, divenuta la sola cultura panrussa, fu per questo fatto stesso la cultura della capitale, nel momento in cui la Russia cominciava ad aspirare a svolgere un ruolo in “Europa”. La cultura ucraina, in qualche modo, si spostava da una insignificante cittadina provinciale verso la capitale, sicché dovette modificare sensibilmente il proprio aspetto provinciale. Si sforzò dunque di sbarazzarsi di tutto ciò che era specificamente polacco e di sostituirvi i corrispondenti elementi delle culture romano-germaniche originarie (tedesca, francese ecc.). Così l’ucrainizzazione divenne un ponte verso l’europeizzazione. Anche la base linguistica della cultura cambiò. Esisteva nella Russia occidentale, accanto allo slavone ecclesiastico normativo, un gergo russo-polacco, che serviva come lingua di conversazione e lingua pratica per le classi superiori della società. Ma, dopo che la variante ucraina diventò panrussa, questo gergo russo-polacco, emblematico del giogo polacco e dello spirito provinciale, non poteva ovviamente più continuare ad esistere. La lingua pratica grande-russa dominante nella Grande Russia, elaborata nell’ambito delle persone istruite moscovite, subì fortemente l’influsso del gergo russo-polacco, ma finì per soppiantarlo; essa divenne così la sola lingua pratica delle classi superiori, e ciò non solo nella Grande Russia, ma anche in Ucraina. Tra questa lingua e lo slavone ecclesiastico, che continuava a svolgere il suo ruolo di lingua normativa, si instauravano rapporti di osmosi, di infiltrazione reciproca: la lingua di conversazione delle classi superiori si “slavonizzava” fortemente, mentre lo slavone da parte sua si russificava. Infine, le due lingue si fusero per diventare il russo moderno, simultaneamente lingua normativa, lingua di conversazione corrente e lingua pratica di tutti i Russi istruiti, base linguistica della cultura russa.

L’ucrainizzazione culturale della Grande Russia e la trasformazione della cultura ucraina in cultura panrussa ebbero come conseguenza naturale il fatto che questa cultura perse il suo carattere provinciale specificamente ucraino. Essa non poteva acquisire un carattere specificamente grande russo per la semplice ragione che, come abbiamo detto più sopra, la continuità della tradizione culturale specificamente grande russa era stata definitivamente e irrevocabilmente interrotta, sicché si era conservata soltanto la lingua cancelleresca delle persone colte moscovite. Di qui proviene il carattere panrusso astratto di tutta la cultura “pietroburghese” postpetrina.

Ma il predominio di questo carattere panrusso astratto portava in pratica al rifiuto di ciò che era specificamente russo, vale a dire a un’autodenigrazione nazionale. E questa autodenigrazione doveva naturalmente provocare la reazione di coloro che possedevano un sentimento nazionale sano.

Questa situazione, nella quale in nome della grandezza della Russia veniva perseguitato e sradicato tutto ciò che era autenticamente russo, era troppo assurda per non provocare una protesta. Non c’è da stupirsi se nella società russa apparvero delle tendenze che affermavano l’unicità del carattere nazionale russo e mettevano in evidenza la fisionomia nazionale russa. Tuttavia, siccome queste correnti erano dirette contro il carattere astratto della cultura panrussa e si sforzavano di sostituirlo con qualcosa di concreto, esse avevano inevitabilmente uno spiccatissimo carattere regionalista: ogni tentativo per dare alla cultura russa un’identità nazionale più concreta portava inevitabilmente a scegliere una individuazione del popolo russo (grande russa, piccolo russa o bielorussa), in quanto esistevano concretamente solo i Grandi Russi, i Piccoli Russi e i Bielorussi, mentre i “Panrussi” sono semplicemente un’astrazione. Effettivamente, si vede che le correnti impegnate in favore di una cultura russa nazionale concreta seguono due linee parallele: grande russa e piccolo russa (10). È proprio lo stretto parallelismo di queste due linee ad essere considerevole; lo si può osservare in tutte le manifestazioni delle correnti suddette. Così, nel dominio letterario si trova, fin dalla fine del XVIII secolo, tutta una serie di opere scritte volontariamente nella lingua e nello stile popolari; queste opere si collocano su due linee evolutive strettamente parallele: una grande russa e l’altra piccolo russa. Inizialmente si nota in entrambe una tendenza parodistica e umoristica (si vedano Il prode Eliseo [Bogatyr’ Elisej] di V. Majkov nella linea grande russa e l’Eneide di Kotljarevskij in quella piccolo russa), successivamente sostituita da una tendenza romantico-sentimentale che mette l’accento sulla stilistica del canto popolare (nella tradizione grande russa il culmine è segnato da Kol’cov, in quella piccolo russa da Ševčenko). Verso la metà del XIX secolo, questa tendenza è sostituita a sua volta dalla letteratura di denuncia e del “male civico” (forma specificamente russa del mal du siècle europeo). L’idealizzazione romantica dei vecchi tempi, anteriori a Pietro il Grande, che si esprimeva nella letteratura, nella storiografia e nell’archeologia e discendeva anch’essa dalla ricerca della concretezza nazionale, si manifesta simultaneamente in queste due linee parallele, grande russa e ucraina. Si può dire la stessa cosa del populismo e delle differenti varietà di “marcia verso il popolo” (11). Ogni populista, in quanto si interessava a un popolo reale e concreto, diventava inevitabilmente un “regionalista” ad un certo grado, un infiammato difensore delle caratteristiche popolari e delle forme di vita specificamente grandi russe o ucraine.

Per quanto l’attrazione verso la concretezza nazionale nell’epoca pietroburghese rivestisse forme regionaliste o di insistenza su una determinata individuazione dell’etnia russa (grande russa, ucraina ecc.), questo fenomeno era panrusso per sua natura, poiché erano panrusse le sue cause stesse. La Russia postpetrina si caratterizzava per il netto distacco tra l’intellighenzia e le concrete fondamenta popolari, distacco che provocava l’allontanamento dell’intellighenzia dal popolo e, al contempo, l’ardente desiderio di un loro ricongiungimento. Il problema della riforma della cultura o della costruzione di un nuovo edificio culturale, in cui i livelli superiori si innalzassero in maniera organica a partire da fondamenta popolari, era panrusso per sua natura. Questo problema si pone ancor oggi a tutte le componenti dell’etnia russa: ai Grandi Russi come agli Ucraini e ai Bielorussi.

 

 

III

 

In relazione alla riforma della cultura, c’è una questione che si pone: la nuova cultura deve essere panrussa oppure una tale cultura non deve esistere affatto, ma devono essere create nuove culture, una per ogni sottogruppo dell’etnia russa?

Tale questione si pone in maniera speciale per gli Ucraini. Essa è particolarmente complicata da considerazioni politiche e in genere si accompagna a quella che consiste nel chiedersi se l’Ucraina debba essere uno Stato del tutto indipendente, o il membro di una federazione russa, o un’entità che faccia parte della Russia. Tuttavia, in questo caso specifico, non è assolutamente necessario stabilire un legame tra l’aspetto politico e quello culturale della questione. Si sa che esiste una cultura pangermanica, mentre tutte le parti dell’etnia tedesca non si trovano riunite in un solo Stato; è parimenti noto che gli Indù hanno una cultura del tutto indipendente, per quanto da parecchio tempo siano privi dell’indipendenza politica. Il problema della cultura ucraina e della cultura panrussa deve essere affrontato al di fuori della questione delle relazioni politiche e giuridiche esistenti tra l’Ucraina e la Grande Russia.

Abbiamo visto più in alto che la cultura panrussa dell’epoca postpetrina soffriva di molti gravi difetti, i quali avevano fatto nascere il desiderio di riformarla in una maniera concreta e nazionale. Certi fautori del separatismo culturale ucraino si sforzano di dimostrare che la cultura che è esistita in Russia fino ad oggi è una cultura grande-russa, e non panrussa. Ma ciò è scorretto nei fatti; abbiamo visto prima come la creazione di una cultura panrussa nel periodo postpetrino abbia avuto come base l’ucrainizzazione della Grande Russia e come questa cultura panrussa abbia legami di continuità solo con la cultura russa occidentale, ucraina, anteriore a Pietro il Grande, e non con l’antica cultura grande-russa, la cui tradizione si è interrotta al termine del secolo XVII. Non si può negare l’evidenza: gli Ucraini hanno attivamente partecipato non solo alla creazione, ma anche allo sviluppo di questa cultura panrussa, e lo hanno fatto in quanto Ucraini, senza rinnegare la loro appartenenza all’etnia ucraina. Anzi, essi hanno affermato la loro identità: non si può escludere Gogol’ dalla letteratura russa, Kostomarov (12) dalla storiografia russa, Potebnja (13) dalla filologia russa eccetera. È semplicemente impossibile negare che la cultura russa d’epoca postpetrina sia una cultura panrussa, o affermare che sia una cultura straniera per gli Ucraini. Se è vero che certi Ucraini hanno visto in essa una cultura che non appartiene loro in maniera integrale e se è vero che il fossato che separa l’élite culturale dalle masse è evidente allorché si considerano i modelli di pensiero e il modo di vita della gente comune in Ucraina, è altrettanto vero che il medesimo fenomeno può essere osservato anche nella Grande Russia. Quindi le cause di tale fenomeno non debbono essere ricercate nel fatto che la cultura era grande-russa.

Ogni cultura deve avere due componenti: una orientata verso il suo fondamento etnografico concreto e radicato nel popolo, l’altra verso le altezze della vita spirituale e intellettuale. Per assicurare la stabilità e la vitalità della cultura, ci vuole innanzitutto un legame organico tra queste due componenti e poi bisogna che ciascuna compia la funzione che ad essa è inerente; vale a dire, quella che ha a che fare con le radici popolari deve riflettere le caratteristiche particolari del suo fondamento etnografico concreto, mentre quella che è orientata verso le altezze spirituali deve corrispondere alle aspirazioni spirituali dei più eminenti rappresentanti della nazione.

Nella cultura panrussa dell’epoca successiva a Pietro il Grande, queste due componenti, o questi due “livelli” non erano sviluppati allo stesso modo. Il “livello inferiore” (14), rivolto verso le fondamenta culturali radicate nel popolo, corrispondeva molto male alle caratteristiche concrete del tipo etnologico russo e quindi compiva male la propria funzione. Una persona “del popolo” poteva associarsi a questa cultura solo a patto di perdere del tutto (o quasi del tutto) la propria identità, reprimendo e perdendo certi tratti essenziali – essenziali proprio per il “popolo”. Al contrario, il “livello superiore” della cultura panrussa, orientato verso le altezze della vita spirituale e intellettuale, quanto meno permetteva di soddisfare completamente le esigenze spirituali dell’intelligencija russa.

Cerchiamo adesso di immaginare che cosa accadrebbe se in Ucraina questa cultura panrussa venisse rimpiazzata con una cultura ucraina nuova, appositamente creata, che non avesse niente in comune con la cultura panrussa precedente. La popolazione ucraina dovrebbe “optare” per l’una o per l’altra. Se la nuova cultura ucraina riuscisse ad adeguare il proprio “livello inferiore” al fondamento etnografico concreto, sicuramente gli strati popolari opterebbero per questa cultura ucraina nuova, perché, come abbiamo visto, nell’antica cultura panrussa questo orientamento verso le radici popolari era sviluppato male e mal si adattava alle caratteristiche specifiche del popolo. Se però si vuole che questa nuova cultura ucraina sia scelta non solo per le masse popolari, ma anche per le élites colte (cioè per l’intelligencija più elevata), bisogna che il “livello superiore” di tale cultura risponda alle più alte esigenze intellettuali dell’intelligencija ucraina, in misura maggiore che nel caso dell’antica cultura panrussa. In caso contrario, l’intelligencija ucraina (e più esattamente l’intelligencija colta, quella che ha più peso dal punto di vista della creazione culturale) resterà fedele, nella sua schiacciante maggioranza, alla cultura panrussa. Una cultura ucraina autonoma che fosse priva della collaborazione di questa componente, la più preziosa del popolo ucraino, sarebbe condannata alla degenerazione e alla morte.

Qualora si consideri la questione in modo imparziale, si arriva questa conclusione: se è verosimile che una nuova cultura ucraina riesca in maniera soddisfacente ad adattare alle radici popolari il “livello inferiore” dell’edificio culturale, è invece poco verosimile che tale cultura possa soddisfare, se non parziale, l’altra condizione e che possa creare un nuovo “livello superiore” in grado di rispondere alle più alte esigenze dell’intelligencija meglio di quanto non lo facesse l’antica cultura panrussa. La nuova cultura ucraina non sarà mai capace di far concorrenza alla cultura panrussa per rispondere alle esigenze spirituali più elevate. Innanzitutto, essa non possiederà la ricca tradizione culturale della tradizione panrussa. Ora, l’inserimento in questa tradizione e il ricorso ad essa come punto di partenza facilita grandemente l’opera di coloro che creano i più alti valori spirituali, anche se si tratta di creare valori del tutto originali. Inoltre, allorché si tratta di creare valori culturali elevati, la selezione qualitativa dei loro creatori riveste un’importanza essenziale. Perciò è fondamentale che si sviluppi questo aspetto della cultura: che la totalità etnica in cui la cultura si sviluppa sia la più ampia possibile. Più i portatori di una cultura sono numerosi, più grande sarà il numero degli individui geniali che nasceranno tra i portatori della cultura stessa; e più numerosi saranno gl’individui di genio, più intenso sarà lo sviluppo del “livello superiore” della cultura, e più forte sarà la gara. La gara innalza la qualità dell’edificazione culturale. Così, mentre per il resto tutte le cose sono uguali, il “livello superiore” della cultura comune di una grande unità etnologica sarà, qualitativamente più perfetto e quantitativamente più ricco che non in altre culture le quali potrebbero elaborare parti isolate della medesima unità etnologica, operando ciascuna da sola, indipendentemente dalle altre. Ogni rappresentante imparziale di questa totalità etnologica lo deve riconoscere; qualora abbia la possibilità di scegliere, opterà naturalmente per la cultura della totalità etnologica (in questo caso particolare, la cultura panrussa) e non per la cultura di una parte di questa totalità (nel caso in questione, la cultura ucraina). Ne consegue che solo dei pregiudizi o l’assenza di scelta possono indurre ad optare per la cultura ucraina. Quanto abbiamo detto concerne sia i creatori degli alti valori spirituali sia i fruitori, vale a dire coloro che li apprezzano. La natura stessa della sua attività fa sì che ogni creatore di beni culturali di alto valore (se ha davvero del genio ed è cosciente delle proprie forze) tenta di rendere le sue creazioni accessibili al più alto numero possibile di persone in grado di apprezzarle. Ogni fruitore di questi beni culturali si sforza a sua volta di godere del prodotto dell’attività creatrice del più ampio numero possibile di creatori. Ciò spiega perché gli uni e gli altri sono interessati ad ampliare, e non a restringere, il campo della cultura in questione. La limitazione di questo campo può essere auspicata solo per dei creatori privi di genio o mediocri, i quali vogliano difendersi dalla concorrenza (un genio autentico non teme la concorrenza!) o per degli sciovinisti limitati e fanatici, che non si sono mai innalzati fino a poter valutare di per se stessa un’elevata cultura e possono apprezzare un prodotto dell’attività culturale solo nella misura in cui esso si trova entro i limiti della particolare variante regionale di una cultura. Sono persone di questo tipo quelle che, in genere, opteranno non per la cultura panrussa, ma per una cultura ucraina del tutto indipendente. Costoro diventeranno i principali adepti e i dirigenti di questa nuova cultura e vi imprimeranno il loro marchio: quello della meschina vanità provinciale, della mediocrità trionfante, della banalità, dell’oscurantismo, per non parlare dell’atmosfera di costante sospetto, di eterno timore della concorrenza. Sicuramente, queste persone faranno di tutto per limitare o abolire la possibilità di scegliere liberamente tra la cultura panrussa e una cultura ucraina indipendente. Cercheranno di impedire agli ucraini di conoscere il russo normativo, di leggere i libri russi, di interessarsi alla cultura russa. Ma nemmeno questo sarà sufficiente: bisognerà anche inculcare a tutta la popolazione dell’Ucraina un odio ardente e feroce per tutto ciò che è russo e mantenere vivo quest’odio per mezzo della scuola, della stampa, della letteratura, dell’arte, anche a prezzo di menzogne e di calunnie, del rifiuto del proprio passato storico, fino a calpestare i valori nazionali più sacri. In realtà, se gli Ucraini non sono animati dall’odio per tutto ciò che è russo, ci sarà sempre la possibilità di optare per la cultura panrussa. Ora, non è difficile capire che una cultura ucraina creata in tal modo sarà di pessima qualità. Essa non rappresenterà un fine di per sé, ma sarà solo lo strumento di una politica, di una politica malvagia, aggressivamente sciovinista, parolaia e provocatrice. I motori principali di questa cultura non saranno gli autentici creatori creatori di beni culturali, bensì dei maniaci fanatici, dei politicanti ipnotizzati dalle loro opinioni ossessive. Tutti gli elementi di questa cultura (scienza, letteratura, arte, filosofia ecc.) saranno dunque tendenziosi, anziché costituire un valore di per sé. La porta sarà aperta per gli incapaci, i quali raccoglieranno allori a buon mercato inchinandosi davanti alle piattezze partigiane, mentre i geni autentici, che non si rassegneranno a portare i paraocchi, verranno ridotti al silenzio.

Ma soprattutto si può dubitare che una simile cultura possa essere veramente nazionale. Soltanto dei veri geni, mossi da una forza interiore irrazionale e non da obiettivi politici secondari, sono capaci di esprimere completamente nei beni culturali lo spirito dell’identità nazionale. Ma per tali geni non ci sarà spazio in questo malevolo ambiente sciovinista. I politici avranno in testa una cosa sola: creare al più presto la loro cultura ucraina, non importa quale, purché non somigli alla cultura russa. Ciò comporterà immancabilmente una febbrile attività di imitazione: piuttosto che creare qualcosa di nuovo, sarà più semplice importare dall’estero beni culturali già esistenti (a condizione che non provengano dalla Russia!), dopo averli battezzati all’istante con dei nomi ucraini! Una “cultura ucraina” creata in tal modo non sarà l’espressione organica della natura tipica dell’identità nazionale ucraina e non si distinguerà molto dalle “culture” che vengono create in fretta da tutti quei “popoli giovani” che svolgono il ruolo di comparse alla Società delle Nazioni. Una siffatta cultura combinerà l’esibizione demagogica di alcuni elementi isolati del tripodi vita popolare, scelti a casaccio ed inessenziali, con la sostanziale negazione delle basi più profonde di questo tripodi vita. L’ultima moda della civiltà europea (adottata meccanicamente ed assunta in maniera maldestra) si mescolerà agli aspetti più clamorosi del vecchiume provinciale e dell’arretratezza culturale. Tutto ciò, in un vuoto spirituale mascherato da un’autoglorificazione arrogante, da una pubblicità martellante e da frasi grandiloquenti sulla cultura nazionale e sui particolarismi, sarà solo un miserabile surrogato; non una cultura, ma una caricatura.

Tali sono le prospettive poco attraenti che si aprono davanti alla cultura ucraina, se essa decide di rimpiazzare la cultura panrussa o di eliminarla, o di entrare in competizione con essa. Una situazione in cui ogni Ucraino colto debba scegliere tra l’essere russo e l’essere ucraino, avrà come conseguenza una selezione di operatori culturali estremamente svantaggiosa per lo sviluppo della cultura ucraina. Ponendo la questione dei rapporti tra cultura ucraina e cultura panrussa sotto forma di dilemma (“aut aut”), gli Ucraini condannano la loro cultura futura alla poco invidiabile situazione che abbiamo descritta. Formulare la questione in un modo del genere è totalmente sfavorevole per gli Ucraini. Per evitare questo avvenire miserevole, la cultura ucraina deve essere edificata in modo tale che essa vada a completare la cultura panrussa, anziché andarsi a mettere in concorrenza con essa; in altri termini, la cultura ucraina deve diventare una individuazione della cultura panrussa.

Abbiamo già mostrato che il livello “inferiore” (ossia vicino ai fondamenti popolari) dell’edificio culturale doveva essere completamente ricostruito e che in questo edificio la cultura ucraina poteva e doveva manifestare in modo naturale la propria identità; d’altra parte abbiamo mostrato come al “livello superiore” della cultura, che include i più elevati valori culturali, fosse impossibile alla cultura ucraina far concorrenza alla cultura panrussa. Osserviamo dunque una delimitazione naturale tra il dominio della cultura panrussa e quello della cultura ucraina. Questa delimitazione non si riassume certamente in quanto è stato appena detta, poiché, oltre al livello “superiore” e a quello “inferiore”, la cultura ha anche dei livelli “intermedi”. Comunque sia, il principio di differenziazione è stato spiegato.

 

 

IV

 

Le medesime considerazioni debbono servire come punto di partenza per differenziare il dominio della cultura panrussa e quelli appartenenti alle culture bielorussa, grande russa e di altre regioni. Come è stato detto, la disarmonia tra il “livello inferiore” dell’edificio culturale e le fondamenta popolari è stato un fenomeno generale nella cultura russa dopo Pietro il Grande. Toccherà all’avvenire il compito di rimediare a questo difetto, di armonizzare la parte della cultura russa rivolta verso le radici popolari con la concreta peculiarità nazionale del popolo russo. Una migliore corrispondenza tra la cultura e il popolo garantirà la partecipazione ininterrotta dei “rappresentanti del popolo” all’edificazione culturale. E siccome questa parte della cultura deve essere adattata ai caratteri peculiari specifici del popolo russo, è naturale che questa iniziativa sia fortemente differenziata a seconda dei domini regionali ed etnici. Infatti il “popolo russo in generale” è un’astrazione, in quanto esistono concretamente solo i Grandi Russi (con le loro suddivisioni: Grandi Russi settentrionali, meridionali, Pomori, Russi del Bacino della Volga, Siberiani, Cosacchi ecc.), i Bielorussi, i Piccoli Russi o Ucraini (anch’essi con le loro suddivisioni). Il livello inferiore dell’edificio culturale si deve adattare in ogni regione alla determinata variante specifica del popolo russo (ossia alla particolarità regionale dell’identità nazionale russa). È su questa base che la cultura russa dovrà differenziarsi fortemente in futuro in funzione delle regioni e delle province; al posto dell’omogeneità astratta, impersonale e burocratica del passato, dovrà apparire un arcobaleno dalle tinte locali nettamente differenziate.

Sarebbe tuttavia un grave errore considerare lo sviluppo di queste varianti locali come l’unico o il principale obiettivo del lavoro culturale. Non bisogna dimenticare che, oltre all’aspetto rivolto verso le proprie radici popolari, ogni cultura deve anche avere un altro aspetto, orientato verso le altezze spirituali. Guai alla cultura in cui questo aspetto non è sviluppato abbastanza, al punto che l’élite culturale della nazione è obbligata a sovvenire alle esigenze spirituali più alte non coi propri beni culturali, ma con quelli d’una cultura estranea! È per questo che l’elaborazione e lo sviluppo degli aspetti della cultura orientata verso le radici popolari devono accompagnarsi ad un lavoro intenso nel dominio dei valori spirituali “superiori”. E se la natura stessa dell’attività effettuata al livello inferiore della cultura russa esige una differenziazione in funzione delle regioni e dei gruppi etnici russi, l’attività svolta al livello superiore richiede, per la sua stessa natura, la collaborazione di tutti i gruppi etnici russi. Nella misura in cui le frontiere regionali sono naturali ed essenziali al livello inferiore perché vi sia un adattamento della cultura alle specificità del suo fondamento etnografico, nella stessa misura queste frontiere sono, al livello superiore, artificiali, superflue e nefaste. L’essenza stessa di questa parte della cultura esige un diapason di attività che sia il più ampio possibile; ogni limitazione che le barriere regionali possano recare a questo diapason sarà percepita come un fastidio inutile dai creatori dei beni culturali e dai loro fruitori. Solo degli sciovinisti regionali maniaci e fanatici, solo dei creatori mediocri e timorosi di concorrenza possono desiderare che vengano elevate delle barriere regionali in questo dominio della cultura. Nel caso in cui, per compiacere i creatori mediocri di beni culturali ed i fruitori non dirozzati, sia necessario erigere delle barriere culturali non solo al livello inferiore dell’edificio culturale, ma anche al livello superiore, allora in certe regioni del paese regnerà un clima così soffocante di stagnazione provinciale e di meschinità trionfante, che quanti posseggono un vero talento e sono intellettualmente maturi fuggiranno dalla provincia per dirigersi verso la capitale. Alla fine, nelle province non resteranno più quegli operatori culturali, la cui attività è indispensabile al lavoro nei livelli inferiori dell’edificio culturale.

Così, la differenziazione etnica e regionale della cultura russa non deve riguardare il culmine dell’edificio culturale, non deve attentare ai valori d’ordine superiore. Non devono esistere frontiere etniche e regionali al “livello superiore” della futura cultura russa. Diversamente, al “livello inferiore” le barriere etniche e regionali devono essere fortemente sviluppate e chiaramente delimitate. Certo, una frontiera netta tra questi due livelli non può esistere; essi devono fondersi l’uno nell’altro in maniera graduale e impercettibile. Altrimenti la cultura non sarebbe un sistema unico, non sarebbe una cultura nel vero senso del termine. Le frontiere regionali, nettamente disegnate nella parte inferiore dell’edificio culturale, sfumeranno gradualmente a mano a mano che ci si innalza e ci si allontana dalle fondamenta popolari; al sommo dell’edificio, questi limiti non saranno più evidenti. È importante che vi sia un’interazione costante tra l’alto e il basso dell’edificio culturale. I beni culturali nuovamente creati al livello superiore devono indicare la direzione che prenderanno i beni culturali creati al livello inferiore e differenziati regione per regione. Inversamente, le creazioni culturali delle individuazioni regionali della Russia, una volta messe insieme, devono neutralizzare le caratteristiche locali e particolari e dare risalto a quelle comuni, definendo in tal modo lo spirito del lavoro culturale del livello superiore. La funzione, la forma e le dimensioni delle barriere regionali devono essere determinate dalla necessità di assicurare una costante interazione tra l’alto e il basso dell’edificio culturale: queste barriere devono garantire una corretta individuazione regionale della cultura, ma non devono in alcun caso ostacolare l’interazione tra l’alto e il basso. Evidentemente è impossibile regolamentare tutto ciò in maniera precisa. Le barriere regionali possono essere importanti per una data questione, meno importanti per un’altra. L’importante è solo capire correttamente il senso di queste barriere e non farne dei fini in sé.

Perché la cultura russa sia un sistema unico, malgrado la differenziazione regionale ed etnica della sua parte inferiore, deve essere soddisfatta una condizione: un solo e medesimo principio organizzatore deve sostenere sia la parte più alta dell’edificio culturale russo sia le varianti regionali del livello inferiore. Questo principio è la fede ortodossa. Essa appartiene in proprio ad ogni individuazione etnica del popolo russo, è profondamente radicata nell’anima del popolo ed allo stesso tempo è capace di diventare il fondamento dei valori culturali superiori destinati ai rappresentanti qualificati della più alta cultura russa. Una volta era questo principio a costituire il nerbo vitale di tutta la cultura russa ed è stato grazie ad esso che l’individuazione russa occidentale e l’individuazione moscovita della cultura russa sono state capaci di riunirsi. In seguito, quella cieca infatuazione per la cultura europea, secolarizzata, atea e anticristiana (15), che caratterizzò l’epoca post-petrina, ha corroso e distrutto nell’élite culturale della nazione questo antico pilastro della vita russa, che era un retaggio avito, senza sostituirlo con nient’altro. Nella misura in cui l’atteggiamento di questa élite culturale è penetrato nelle masse popolari col suo rifiuto dei principi ortodossi, esso vi ha prodotto una vera e propria devastazione culturale. Ma i migliori rappresentanti della gente semplice, così come quelli dell’intelligencija, risentivano dolorosamente di questo vuoto spirituale; è una delle ragioni per cui la ricerca religiosa, assumendo talvolta le forme più paradossali, è una caratteristica della vita del popolo russo e dell’intelligencija di tutta l’epoca postpetrina. Questa ricerca non poteva essere soddisfatta finché la cultura russa rimaneva al di fuori della religione e finché la Chiesa, messa dal governo in una posizione subordinata (16), si trovava al di fuori della cultura (o, in ogni caso, al di fuori della corrente principale della cultura panrussa). Così, coloro che erano impegnati in una ricerca religiosa procedevano in disordine, e solo alcuni di loro “scoprivano” accidentalmente l’Ortodossia nel corso di tale ricerca. Adesso, dopo il periodo del dominio comunista, il vuoto spirituale della cultura secolare (dunque antireligiosa) è apparso nella luce più cruda ed ha raggiunto il culmine; è quindi necessario che abbia luogo una reazione decisiva, con l’aiuto di Dio. La futura cultura russa deve diventare religiosa, in maniera totale. L’Ortodossia deve penetrare non solo la vita del popolo, ma anche tutte le parti dell’edificio della cultura russa, fino ai fastigi più alti. Solo a quel punto ogni Russo troverà nella cultura russa una perfetta serenità e il soddisfacimento delle sue più profonde esigenze spirituali; solo a quel punto la cultura russa costituirà dall’alto al basso un sistema unico, nonostante la sua diversificazione esterna in etnie e regioni.

 

 

V

 

Attualmente noi assistiamo a una notevole diversificazione regionale della cultura russa. In Ucraina, in particolare, domina l’aspirazione a un totale separatismo culturale. Ciò può essere spiegato, in ampia misura, con la politica sovietica, la quale dà prova d’indulgenza verso il separatismo culturale, al fine di meglio disarmare il separatismo politico. Bisogna anche tener conto del fatto che alla maggior parte degli intellettuali ucraini più qualificati è stato impedito di svolgere un ruolo decisivo nel lavoro culturale; bisogna poi tener conto dell’afflusso di elementi dell’intelligencija provenienti dalla Galizia, la coscienza nazionale dei quali è stata completamente pervertita da secoli di contatto col cattolicesimo e dall’asservimento ai Polacchi e, infine, dell’atmosfera di lotta nazionale (o più esattamente linguistica) separatista e provinciale che ha sempre caratterizzato il vecchio Impero austro-ungarico (17). Per quanto concerne la popolazione ucraina, certi gruppi simpatizzano meno con le forme concrete dell’ucrainizzazione che non con la sua propensione a separarsi da Mosca, la Mosca comunista. Il separatismo culturale si nutre anche dei sentimenti anticomunisti (“piccolo borghesi” secondo la terminologia sovietica) di cerrti ambienti ucraini. Questi sentimenti non hanno legami intrinseci e logici col separatismo culturale; al contrario: sotto il vecchio regime essi avevano costituito un sostegno per il centralismo. Inoltre, l’attività creativa al livello superiore della cultura, dove l’unità russa può e deve manifestarsi nella maniera più netta, è ostacolata e artificiosamente compressa dall’egemonia politica del comunismo, il quale proibisce a chiunque non sia comunista di creare dei beni culturali, ma è esso stesso incapace di creare dei valori superiori che possano rispondere ad esigenze spirituali anche poco sviluppate.

Ma la spiegazione principale di questa infatuazione per l’ucrainizzazione è naturalmente costituita dal fascino della novità e dal fatto che gli ucrainomani, a lungo oppressi e costretti a vivere in clandestinità, hanno adesso piena libertà d’azione. Comunque sia, in questo dominio si notano attualmente delle cose mostruose. L’ucrainizzazione sta diventando un fine di per sé e dà luogo a un dispendio inutile di forze vive della nazione. È chiaro che in avvenire la vita farà le sue correzioni, purificando il movimento ucraino di quell’elemento caricaturale che è stato apportato dai maniaci fanatici del separatismo culturale. Molte cose, che sono state e sono ancora create da questi nazionalisti zelanti, sono destinate alla morte e all’oblio. Ma l’opportunità di creare una cultura ucraina particolare, distinta dalla cultura grande russa, non può più essere negata. Una coscienza nazionale correttamente sviluppata mostrerà ai futuri creatori di questa cultura i suoi limiti naturali, nonché la sua vera essenza e il suo vero compito: diventare un’individuazione particolare – ucraina – della cultura panrussa. Solo in quel momento il lavoro culturale in Ucraina acquisirà un carattere che consentirà ai migliori elementi del popolo russo di parteciparvi con una totale conoscenza di causa.

Ciò avverrà quando alla base della vita nazionale in Ucraina (come nelle altre regioni della Russia-Eurasia) la compiacenza verso gli istinti egoistici e l’affermazione nuda e cruda della natura biologica dell’uomo saranno state soppresse e rimpiazzate dal primato della cultura, nonché dalla conoscenza di sé, sia sul piano personale sia su quello nazionale. L’eurasiatismo chiama tutti i Russi (non solo i Grandi Russi, ma anche i Bielorussi e gli Ucraini) a lottare per questi ideali.

 

 

 

  1. Nel 1654, in seguito a una rivolta contro il potere polacco, lo Zar estese la sua sovranità alla riva destra del Dnepr e alla zona di Kiev (N. d. T.).
  2. Utilizziamo il termini “piccolo russo” e “ucraino”, mentre sarebbe più corretto dire “russo occidentale”. Negli strati superiori (in senso culturale) della società della Russia occidentale, nel periodo in questione non si faceva differenza tra Piccoli Russi e Russi Bianchi.
  3. Nikon (1605-1681), patriarca della Chiesa ortodossa russa dal 1652 al 1658, fu l’autore di quelle riforme liturgiche che indussero una parte dei fedeli al Grande Scisma  (N. d. T.).
  4. Viene chiamata “slavone ecclesiastico” quella lingua che, utilizzata sia nei testi teologici sia in quelli secolari, ha le proprie origini nel dialetto bulgaro-macedone elaborato da Cirillo e Metodio per evangelizzare gli Slavi dell’Europa centrale (N. d. T.).
  5. L’arciprete Avvakum (1620-1682) fu un fiero avversario delle riforme del patriarca Nikon (N. d. T.).
  6. Associazioni di laici, fondate a partire dal XVI secolo nelle città lituane con popolazione rutena, lo scopo delle quali era l’apertura di scuole e tipografie che combattessero l’influenza occidentale in Ucraina (N. d. T.).
  7. Dal nome del fondatore Pietro Mohyla si chiamò Accademia Mohiliana la scuola superiore sorta a Kiev nel 1630 (N. d. T.).
  8. Furono chiamati Vecchi Credenti quei fedeli della Chiesa ortodossa russa che non accettarono le riforme del patriarca Nikon   (N. d. T.).
  9. Sulla tradizione russo-occidentale nell’architettura, nella pittura e nella scultura russa dopo Pietro il Grande, cfr. P. N. Savickij, Velikorossija i Ucraina v russkoj kul’ture [La Grande Russia e l’Ucraina nella cultura russa], “Rodnoe Slovo”, Varsavia, 1926, n. 8.
  10. Una tendenza bielorussa è sempre esistita, ma si è sempre sviluppata più debolmente.
  11. Si chiamò “marcia verso il popolo” (khoždenie v narod) un movimento populista di giovani intellettuali che nel 1873 e nel 1874 andarono nelle campagne per sollevare le masse contadine contro il potere politico (N. d. T.).
  12. N. I. Kostomarov  (1817-1885), storico, etnografo e letterato russo-ucraino, fu fautore dell’autonomia culturale e nazionale dell’Ucraina (N. d. T.).
  13. A. A. Potebnja (1835-1891), slavista russo-ucraino, si occupò di questioni linguistiche, letterarie ed etnografiche (N. d. T.).
  14. Per evitare ogni malinteso, dobbiamo precisare che non attribuiamo alcun giudizio di valore ai termini „superiore“ e „inferiore“. Se ci si chiede quale di questi due livelli abbia più “valore”, ci rifiutiamo di rispondere; non solo, ma riteniamo che tale questione sia mal posta. L’immagine dei livelli “superiore” e “inferiore” non rimanda a gradi diversi di perfezione o di valore culturale, ma solo a due funzioni differenti della cultura. I gradi di valore e di perfezione non dipendono da queste funzioni, ma dall’attività dei singoli creatori, sia che questi operino al livello “superiore” o a quello “inferiore”. La poesia di Kol’cov ha un valore estetico maggiore di quella di Benediktov, anche se Kol’cov si trovava al livello “inferiore” e Benediktov a quello “superiore”.
  15. Non è che nel Medioevo la cultura europea sia stata cristiana (o abbia voluto esserlo): a partire dal periodo chiamato “Rinascimento”, essa ha assunto una posizione ostile rispetto al cristianesimo. È stata questa forma di cultura, avversaria della Chiesa e in fin dei conti di ogni religione, ad essere assimilata, dopo Pietro il Grande, dalla Russia europeizzata (N. d. T.).
  16. Nel 1721 Pietro il Grande mise la Chiesa sotto la tutela del potere politico, sostituendo il patriarcato di Mosca con un Santo Sinodo controllato dallo Zar.
  17. Al termine del sec. XVIII, in seguito alla spartizione della Polonia, la Galizia era andata a far parte (con la Rutenia subcarpatica e la Bucovina) dell’Impero d’Austria (N. d. T.).


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