Accedere alla bi-oceanità, cioè possedere contemporaneamente una facciata sull’Atlantico ed una sul Pacifico al fine di sfuggire un sicuro accerchiamento, costituisce uno dei principali motori della geopolitica sudamericana dai tempi dell’indipendenza.
François Thual (*)


Un nome per il continente dei malintesi
(1)

Se, sulle orme di Yves Lacoste, intendiamo la geopolitica come un metodo utile per analizzare le relazioni tra la geografia e i processi storici, possiamo affermare che ogni designazione geografica racchiude, generalmente, un significato geopolitico. Certamente non sfugge a questa regola il subcontinente americano che abitualmente indichiamo con l’espressione America latina. Per Lacoste, anzi, quest’espressione è, a ragione, doppiamente geopolitica. Non solo perché esprimerebbe, mediante una qualificazione culturale, una opposizione all’altro grande blocco geopolitico dell’emisfero occidentale, l’America del Nord, ove è maggioritaria la cultura anglosassone (2), ma anche perché, storicamente, l’attribuzione “latina” fu opera di geografi, letterati e uomini politici francesi che la utilizzarono durante la guerra di Secessione (1861-1865), a sostegno della spedizione dell’imperatore Napoleone III in Messico (1862). Con tale espressione i propagandisti del Secondo Impero evocavano la possibilità di nuovi legami geopolitici – a fondamento culturale – tra gli Stati ispanici e lusofoni del Continente americano e gli Stati europei linguisticamente affini.

L’avventura francese in Messico fu possibile in un momento storico di debolezza degli Stati Uniti che, nel pieno di una guerra civile, non erano in grado di far rispettare agli Europei i termini della dichiarazione Adams-Monroe, con la quale, anni prima (1823), si erano candidati alla sovranità sull’intero “emisfero occidentale”. Il tentativo francese di rientrare in gioco nel Continente americano, terminato, come noto, tragicamente con la fucilazione di Massimiliano d’Asburgo (1867), fu accompagnato da una vasta opera di sensibilizzazione delle opinioni pubbliche europee e americane. Già nel 1836, lo scrittore francese, e consigliere di Napoleone III, Michel Chevalier aveva, nelle sue Lettres sur l’Amérique du Nord, identificato la latinità e la cattolicità quali caratteri distintivi del Sudamerica, apparentandolo in tal modo all’Europa meridionale e opponendolo all’America del Nord, protestante e anglosassone. Qualche anno dopo, fu l’abate Emmanuel Domenech, autore di un Journal d’un Missionnaire au Texas et au Mexique (1846–1852), a includere nel concetto di America latina anche il Messico e l’America centrale. L’espressione venne in seguito, nel 1861, utilizzata da L. M. Tisserand per indicare ciò che fino a quel tempo era comunemente chiamato, in Europa, Sudamerica o Nuovo Mondo.

Nello stesso torno di tempo, parallelamente al crescente impiego del termine “America latina”, si andavano sempre più affermando, in Francia, le tesi del panlatinismo. Queste tesi, in un primo tempo sostenitrici dell’orientamento euromediterraneo della politica estera del Secondo Impero, ben presto lo divennero anche della politica parigina verso il Sudamerica. Vicente Romero (3) rintraccia la caratteristica e il ritmo del “discorso panlatino” nell’evoluzione della “Revue espagnole et portugaise” creata dall‘“agente e propagandista del Secondo Impero” Gabriel Hugelmann. La rivista che “serviva da tribuna alla politica estera francese verso la penisola iberica” (4), cambiò il suo nome in “Revue des races latines” (1857–1861) nel 1857, anno in cui la prospettiva eurolatina andava allargandosi verso gli orizzonti extracontinentali.

La latinità aveva indubbiamente, osserva Alain Rouquié, “il vantaggio, limitando i legami particolari della Spagna con una parte del Nuovo Mondo, di conferire alla Francia doveri legittimi nei confronti delle sorelle americane, cattoliche e romane” (5). Il panlatinismo francese, però, fu combattuto dalla Spagna in nome della ispanità e dagli Stati Uniti in nome del panamericanismo.

In realtà, sulla base degli studi di Arturo Ardao (Génesis de la idea y el nombre de America, 1980) e di Miguel Rojas Mix (Los cien nombres de América, 1991), è ormai attestato che il concetto di America latina venne utilizzato per la prima volta nel 1856 dal cileno Francisco Bilbao Barquin (1823-1865) e dal colombiano José Maria Torres Caicedo (1830–1889) (6), con un significato assai diverso da quello attribuito ad esso dai Francesi. Per Bilbao Barquin e Torres Caceido, infatti, il termine voleva esprimere una netta opposizione sia all’espansionismo degli “egoisti” Stati Uniti, sia a quello della “dispotica” Europa. Il termine, che acquisì un vero e proprio contenuto geopolitico solo a partire dal 1862, come più sopra ricordato e nel particolare contesto del panlatinismo (7), divenne d’uso comune soltanto quando le organizzazioni multilaterali lo adottarono dopo il secondo conflitto mondiale (8). Prima, negli anni venti e trenta, diversi intellettuali e politici proposero nuove denominazioni, sempre in opposizione agli Stati Uniti, che tenevano conto dell’elemento indigeno e della sua storia e cultura. Il peruviano Haya de la Torre (9), ad esempio, parlò di Indoamerica, mentre Augusto “César” Sandino teorizzò il concetto di America indolatina. Queste espressioni, tuttavia, non riuscirono ad imporsi.

È stato giustamente rilevato che il sintagma America latina indica una “rappresentazione geopolitica relativamente recente che si oppone alla divisione classica e geologica del continente americano in tre parti: America del nord, America centrale e America del sud” (10). Tuttavia, tale rappresentazione, inclusiva di Messico e America caraibica, fino a pochi anni fa largamente accettata, è oggi nuovamente messa in discussione da chi rifiuta la “latinità” quale elemento unificante della massa subcontinentale, come i discendenti politici degli autoctoni (10), che ne sottolineano, peraltro giustamente, l’origine imperialista e l’esplicito richiamo a una unilaterale egemonia culturale, e da chi, come Moniz Bandeira (12), le contrappone, con argomentazioni geografiche, geopolitiche ed economiche il Sudamerica, a partire dalla Comunità sudamericana delle nazioni, quale nuovo attore della politica ed economia mondiali.

La ricerca di una designazione “autonoma” per il subcontinente dell’emisfero occidentale – laddove non ricada nell’ambito di un’esiziale involuzione accentuatamente ed esclusivamente identitaria, che potrebbe risolversi, per un verso, in un inedito panismo indigenista oppure, al contrario, in un nuovo panlatinismo imperniato sull’idea di un’America essenzialmente iberica o romanica – rappresenta un importante elemento dell’ormai acquisita consapevolezza, da parte delle nuove dirigenze indiolatine (13), delle potenzialità geopolitiche del proprio spazio; uno spazio ove poter esercitare, finalmente fuori della tutela nordamericana, la propria legittima sovranità a partire dalle peculiarità geografiche e storico-culturali che lo contraddistinguono.

Al di là delle contraddittorie e sovente deformanti rappresentazioni elargiteci dagli organi di informazione, e al di là delle analisi, spesso imprecise, fuorvianti e ideologicamente impostate, forniteci dagli addetti ai lavori, sinergicamente tese a veicolare un’immagine di un Sudamerica ora populista, ora militarista, ora “rivoluzionario”, il tratto che accomuna le dichiarazioni e le conseguenti azioni politiche delle nuove classi dirigenti di alcuni Paesi del subcontinente americano, come il Venezuela di Chávez, la Bolivia di Morales o l’Ecuador di Correa, è proprio la consapevolezza della sovranità territoriale e dell’integrazione continentale sudamericana (o indiolatina), quali imprescindibili elementi per rendere il subcontinente americano uno degli attori globali del XXI secolo.

L’ecumene indiolatina

Mentre l’America del Nord (Canada, USA e Messico) possiede, a partire dalla rivoluzione americana, un suo centro geopolitico ben definito (14), costituito dagli Stati Uniti d’America, che ne svolgono l’essenziale funzione di regione pivot, così non è per lo spazio indiolatino.

Infatti, a fronte dell’esistenza di un’area culturale, politica e sociale identificabile come ecumene indiolatina, notiamo che essa è geopoliticamente suddivisa in almeno due entità: il Messico, appartenente peraltro allo spazio geopolitico nordamericano, e il Sudamerica; a queste due entità principali va aggiunto un terzo spazio di condivisione che è costituito dall’America caraibica.

Le cause della diversa evoluzione storica e politica delle due Americhe – che hanno consentito l’unità geopolitica per quella settentrionale ed una eccessiva frammentazione per quella centromeridionale – sono da mettersi in relazione, oltre che, ovviamente, alle diverse modalità di emancipazione dalle Potenze europee (Inghilterra, Francia, Spagna e Portogallo), principalmente alla determinazione perseguita dalle classi dirigenti statunitensi di costituirsi dapprima come nazione bi-oceanica ed in seguito come potenza–guida dello spazio panamericano.

Fattori quali le ottime condizioni climatiche, la posizione centrale nello spazio nordamericano e la sovranità dei litorali pacifico e atlantico hanno permesso agli USA di svilupparsi in autonomia ed assumere un ruolo egemonico nell’intero emisfero occidentale, a spese proprio del Sudamerica, verso il quale hanno esercitato, fin dalla dichiarazione Monroe, una continua politica di pressione che non ha esitato a utilizzare mezzi coercitivi e in apparente contraddizione con i proclamati ideali di “libertà e democrazia”. Si pensi per un istante al sostegno di Washington alle dittature militari del Cile e dell’Argentina, all’aggressione di Panama, alla massiccia presenza, durante il secolo scorso, di “consiglieri militari” statunitensi nelle varie repubbliche sudamericane.

Oltre al fattore bi-oceanico, un altro elemento, che può aiutarci a comprendere perché il Sudamerica non sia riuscito a costituirsi come unità geopolitica, è da rintracciarsi nei differenti percorsi con cui l’America “spagnola” e l’America “portoghese” si resero indipendenti dalla Spagna e dal Portogallo.

Osserviamo, infatti, che, mentre il Brasile giunse all’emancipazione in maniera indolore, grazie al principe Pedro, la cui decisione di proclamare l’Impero del Brasile e l’indipendenza da Lisbona (1822) permise il mantenimento dell’integrità territoriale e successivamente la sua trasformazione in Repubblica (1889), l’America spagnola “nonostante l’ideale d’unità che animava le lotte per l’indipendenza non tardò a frammentarsi” (15). La creazione di diverse repubbliche, con il patrocinio della Gran Bretagna e degli USA, alleate nell’escludere la Spagna dal bottino sudamericano, ma concorrenti nella sua spartizione, fu favorita “dall’immensità geografica, dalle difficoltà di comunicazioni interne che rafforzarono l’intensità dei regionalismi esistenti e all’espansionismo di alcune capitali” (16). I regionalismi esistenti furono poi, assieme ad altri fattori, tra cui certamente l’ingerenza straniera nordamericana e britannica, una delle cause dell’instabilità politica e delle guerre che segnarono la storia degli stati sudamericani per tutto il XIX secolo.

Il filosofo e politologo argentino Alberto Buela, descrivendo le forme e la crisi dello stato contemporaneo, ha giustamente scritto, riguardo alla particolare genesi degli Stati sudamericani: “La finalità dello Stato–nazione americano, dal carattere repubblicano e liberale creato al principio del XIX secolo, sarà la creazione delle nazioni. Questo Stato-nazione tenderà ideologicamente al nazionalismo ‘de fronteras adentro’, espressione dei localismi più irriducibili incarnati dalle oligarchie vernacolari, impermeabili a una visione continentale” (17). Il localismo e il nazionalismo di matrice illuminista concorreranno, dunque, ad impedire la costituzione di un grande spazio politicamente ed economicamente coeso, tale da contenere l’espansionismo nordamericano, mentre, al contrario, il retroterra politico (e culturale) “imperiale” permetterà al nuovo Brasile indipendente di organizzarsi come paese-continente e mantenere, per tale motivo, la propria autonomia. Anzi, a differenza della frammentazione degli ex vicereami spagnoli in una ventina di stati, il Brasile allargherà, dal 1822 al 1910, proprio a spese delle “patrias chicas”, le proprie frontiere lungo direttrici geopolitiche e strategiche volte ad assicurargli sicurezza e stabilità. Degno di nota, per l’analisi geopolitica, è inoltre il fatto che la proclamazione dell’Impero del Brasile, oltre a conferire a quest’ultimo l’indipendenza dal Portogallo, ne determinò, per così dire, il carattere “terrestre” e continentale: il passaggio insomma da possedimento dell’impero coloniale e “oceanico” del Portogallo a grande spazio geopoliticamente autocentrato. Ne è testimonianza la dislocazione delle sue capitali: dalle costiere Salvador de Bahia (XVIII sec) e Rio de Janeiro (XIX sec.) alla “continentale” Brasilia (XX sec.).

Il risveglio dell’America indiolatina tra tensioni locali ed integrazione continentale

L’integrazione del Sudamerica è un antico progetto politico e geopolitico che ha sempre stentato a realizzarsi a causa, principalmente, delle ingerenze extracontinentali e dell’egoismo delle oligarchie locali.

La coscienza, infatti, delle strette relazioni che intercorrono tra indipendenza nazionale, sovranità subcontinentale e giustizia sociale è sempre stata viva nelle dirigenze autenticamente sudamericane. A tale coscienza, tuttavia, non è stata mai associata una pratica politica conseguente, giacché lo strabismo ideologico e gli interessi nazionalisti e classisti hanno continuamente inficiato tutte le opportunità d’integrazione subcontinentale ed anzi sono stati strumentalizzati, prima dalla Gran Bretagna poi, nel corso del XX secolo, dagli USA, proprio al fine di mantenere lo spazio sudamericano gepoliticamente frammentato.

Nel passato, in particolare, le incomprensioni tra alcuni Paesi come il Brasile, l’Argentina e il Cile, nonché la loro concorrenza nell’assumere un ruolo egemonico nell’intera regione, hanno a lungo allontanato la prospettiva d’integrazione continentale. Oggi, dopo le dittature degli anni ‘70 e l’ubriacatura liberista degli anni ‘80 e ‘90, fenomeni che trovano una delle proprie ragioni d’essere nel confronto geopolitico mondiale tra USA e URSS, per i Paesi del Sudamerica sembra riaprirsi lo scenario di un’integrazione regionale su base non soltanto economica, ma soprattutto politica. Ne sono un esempio i grandi progetti di infrastrutture continentali, gli otto Assi di sviluppo e integrazione dell’Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Suramericana (IIRSA), tra cui i quattro importanti assi “bi-oceanici”: l’Asse delle Amazzoni, che metterà in contatto i porti di Tumaco (Colombia), Esmeraldas (Ecuador), Paita (Perú) con quelli brasiliani di Manaos, Belén e Manapá; l’Asse Interoceanico Centrale che collegherà Brasile, Perù e Cile passando per la Bolivia ed il Paraguay ed infine l’Asse del Capricorno e quello Mercosur-Cile. Questi assi permetteranno alla nuova America indiolatina di proiettarsi contemporaneamente sui mercati asiatici, europei e africani.

Le nuove infrastrutture bi-oceaniche, la nazionalizzazione delle risorse strategiche e un’equa ridistribuzione delle ricchezze nazionali sono gli elementi che renderanno il Grossraum sudamericano una vera unità geopolitica ed un protagonista del nuovo sistema multipolare.

Affinché ciò avvenga, tuttavia, occorre che le personalità più lucide dei vari governi nazionali e le forze più autenticamente sudamericane sappiano bilanciare le forze centripete e quelle centrifughe che determinano la politica interna e quella estera dei propri Paesi, sappiano cioè resistere alle tentazioni localistiche e, contemporaneamente, ai tentativi statunitensi di coinvolgerli in un raggruppamento regionale panamericano, subordinato agli interessi mondiali di Washington.

Se così sarà, Simon Bolivar non avrà inutilmente “arado en el mar”.

Se così sarà, l’indipendenza continentale sarà assicurata e il sacrificio degli antichi abitanti riscattato.

Note

* François Thual, Abrégé géopolitique de l’Amerique latine, p. 48, Paris 2006.

1. Scrive il diplomatico ed esperto di America latina Alain Rouquié a proposito dell’America: “Già dall’epoca di Colombo, l’America è il continente dei malintesi. L’ammiraglio cercava la via delle Indie, ma scoprì gli indios, vale a dire il Nuovo Mondo” (L’America latina. Introduzione all’Estremo Occidente, p. 11, Milano 2007). Il termine America per designare il Nuovo Mondo appare per la prima volta nel 1507, nella mappa che accompagnava il libro Cosmographiae Introductio dell’umanista e cartografo tedesco Martin Waldseemüller.

2. Yves Lacoste, Géopolitique. La longue histoire d’aujourd’hui, Paris 2006, p. 132. In riferimento all’omogeneità linguistica dell’America del Nord, ricordiamo che in Canada le lingue ufficiali sono l’inglese e il francese e i gruppi etnici così suddivisi: inglesi 34,2 %, francesi 22,7 %, amerindi 2%, meticci 1 %, inuit 0,1 %, altri 40 % (fonte: Calendario Atlante De Agostini 2006, Novara 2005, p. 390.

3. Vicente Romero, Du nominal “latin” pour l’Autre Amérique. Not sur la naissance et le sense du nom « Amérique latine » autour des années 1850, “HSAL – Histoire et Société de l’Amérique latine”, n. 7, 1998, pp. 57-86.

4. Vicente Romero, op. cit., p. 64.

5. Alain Rouquié, op. cit., p. 19.

6. Vicente Romero, op. cit., p. 57.

7. Alfred Mercier, Du Panlatinisme, nécessité d’une alliance entre la France et la Confédération du Sud, 1862.

8. Luiz Alberto Moniz Bandiera, ¿America latina o Sudamerica?, “Clarin”, 6/5/2005.

9. Haya de la Torre, Víctor Raúl, A dónde va Indoamérica? Editorial Ercilla, Santiago de Chile 1935.

10. Olivier Dollfus, Amérique latine, in Dictionnaire de Géopolitique (sous la direction de Yves Lacoste), Paris 1995, p. 134.

11. “Es necesario precisar que los únicos “latinoamericanos” que existen en nuestros países son los descendientes directos de los españoles, franceses y portugueses; quienes, anotamos de pasada, a pesar de que son una minoría absoluta, detentan todo el poder político, económico, militar y hasta religioso. Ellos son los que imponen en los planes de estudios la versión de los vencedores europeos así como el culto a los valores de la civilización occidental moderna. De otro lado, es bastante claro que el proceso educativo en nuestros países se transforma en un verdadero “lavado cerebral”, en algunos casos se hace en forma sutil en otras es terriblemente brutal, todo ello al amparo de la “democracia”, de los “derechos humanos” y de la “libertad”. Si piensan que exageramos revisen los planes de estudios –de primaria y secundaria- de los países mencionados arriba, el objetivo es claro: hacer desarraigar al amerindio e indo-mestizo de su verdadera identidad étnica y cultural, castrarlo espiritualmente y anular su memoria histórica… podríamos concluir afirmando que “latinoamérica” o “américa latina” no es para nada una realidad territorial, sea de carácter subcontinental o regional, sino más bien ella es la expresión hegemónica de una minoría de origen europeo (los latinos), quienes gobiernan nuestros países, y son propietarios de las riquezas nacionales” (Intisonqo Waman, ¿Existe verdaderamente la llamada América Latina asì como los susodichos latinoamericanos? Anos 5506 de la Era Andina, agosto de 1998 de la era vulgar).

12. Luiz Alberto Moniz Bandeira, ¿America latina o Sudamerica?, “Clarin”, 6/5/2005.

13. Utilizziamo il termine “indiolatini” per designare gli abitanti dello spazio che va dal Messico sino alle estreme propaggini del Sudamerica, con lo scopo di sottolineare la specificità del processo storico che accomuna gli attuali discendenti degli Europei e dei primi abitatori di questa porzione dell’emisfero occidentale. L’espressione “indolatino”, spesso usata, non ci pare appropriata, giacché l’elemento “indo” riporta, semanticamente, all’India asiatica.

14. Messo tuttavia in crisi dalla Guerra civile del 1861-‘65.

15. François Thual, op. cit., Paris 2006, p. 13.

16. François Thual, ibidem.

17. Alberto Buela, Formas del Estado contemporáneo in Notas sobre el peronismo, Buenos Aires 2007, pp. 86-87.


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