La partecipazione, registratasi lo scorso luglio, del primo ministro turco Erdogan a fianco del presidente bosniaco Silajdžic e di quello serbo Tadic alle commemorazioni per il 15° anniversario del genocidio di Srebrenica ha segnato il ritorno della Turchia nei Balcani e l’esportazione della sua politica di “zero problemi coi vicini” anche nella ex Jugoslavia.

In particolare la presenza di Tadic all’evento ha rappresentato un grande successo per la diplomazia turca, che sin dall’autunno del 2009 aveva favorito l’inizio del dialogo tra Bosnia e Serbia con la visita del presidente turco Abdüllah Gül a Belgrado. Tale visita portò nell’aprile successivo alla firma di una dichiarazione con la quale Turchia, Bosnia e Serbia si impegnavano a promuovere una politica regionale basata sulla sicurezza ed il dialogo reciproco. Inoltre il 12 giugno scorso Erdogan, durante la sua visita nei Balcani, si recò a Belgrado per incontrare il premier serbo Cvetkovic e stipulare sei accordi di cooperazione che hanno sancito la libera circolazione delle persone tra Turchia e Serbia, nonché l’inizio di una maggiore cooperazione commerciale tra i due Paesi che culminerà nell’istituzione di una zona di libero scambio.

Altro importante tema di cui si è discusso a Belgrado è stato quello legato ai trasporti: in tale settore è stato delineato un progetto di cooperazione turco-serba in virtù del quale alcuni aeroporti militari dei due Paesi saranno aperti al traffico civile. Tale cooperazione, inoltre, porterà alla probabile acquisizione da parte della Turkish Airlines della compagnia serba Jat Airways, nonché allo stanziamento di circa 750 milioni di euro destinati a finanziare la costruzione di un’autostrada che collegherà Serbia e Montenegro passando per il Sangiaccato. Proprio quest’ultimo ha rappresentato l’ultima tappa del viaggio nei Balcani di Erdogan, il quale a Novi Pazar ha inaugurato un nuovo centro culturale turco.

La Turchia nei Balcani cento anni dopo

L’attuale attivismo turco nei Balcani coincide all’incirca con il centenario della “cacciata” dell’Impero ottomano dalla penisola. In occasione della prima guerra balcanica del 1912, infatti, un’alleanza composta da Grecia, Serbia, Montenegro e Bulgaria sconfisse l’Impero, provocando l’inizio del ritiro definitivo della potenza ottomana dalla regione, ritiro che si sarebbe completato all’indomani della sconfitta nella Grande Guerra, combattuta dai turchi a fianco degli Imperi Centrali di Germania ed Austria-Ungheria.

Cento anni dopo è ovviamente un’altra Turchia quella che torna nei Balcani: si tratta di un Paese sostanzialmente democratico e moderno, con grandi potenzialità economiche, che si pone tra l’altro come autorevole membro della Nato e fedele alleato degli americani.

I Balcani, invece, rappresentano una realtà geopolitica per molti aspetti simile a quella di cent’anni fa: dopo una lunga parentesi storica, che andò dalla prima guerra mondiale alla fine della guerra fredda, nella regione sono “ricomparsi” piccoli Stati, chi più chi meno dipendenti dalle potenze europee, che a volte presentano caratteristiche “sui generis” come nel caso della Bosnia e del Kosovo, la prima persa dalla Turchia nel 1908 ed il secondo abbandonato dai turchi a seguito della sconfitta nella prima guerra balcanica.

Il dato davvero curioso è rappresentato dal fatto che la Turchia si trova oggi in compagnia del gruppo dei Paesi dei Balcani occidentali che aspirano ad aderire all’Unione Europea: a parte la Croazia, il cui ingresso nell’Unione sembra essere prossimo, tutti gli altri Stati (cioè Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Albania e Kosovo) sono i Paesi che per secoli hanno fatto parte dell’Impero ottomano.

La questione della stabilizzazione della regione balcanica

Al di là delle comuni radici storiche, la Turchia è attualmente impegnata in iniziative concrete volte anche a contribuire alla definitiva stabilizzazione della regione balcanica. In quest’ottica il suo interesse si è concentrato principalmente sulla Bosnia e si è concretizzato nell’ingresso effettivo della diplomazia turca sulla scena balcanica, registratosi all’indomani del fallimento del vertice di Butmir (l’aeroporto di Sarajevo) dell’ottobre 2009. Tale vertice è consistito in un incontro organizzato da europei e americani che avrebbe dovuto sbloccare l’impasse istituzionale che negli ultimi anni ha impedito le riforme in Bosnia, promuovendo il superamento degli accordi di pace di Dayton che nel 1995 posero fine alla guerra.

A partire dall’ottobre del 2009 l’iniziativa turca nei Balcani è dunque proseguita senza soste. Il 16 ottobre il ministro degli esteri turco Davutoglu, intervenendo ad un Convegno tenutosi a Sarajevo, parlò di una storia ed un futuro comune per la Turchia e i Balcani. Dieci giorni dopo il presidente turco Abdullah Gül dichiarò che Serbia e Turchia sono Paesi chiave nei Balcani, mentre il presidente serbo Boris Tadi parlò di collaborazione strategica tra i due Paesi.

Lo scorso 24 aprile, poi, si è svolto ad Istanbul un vertice definito storico tra i presidenti di Turchia, Bosnia Erzegovina e Serbia: tale vertice si è concluso con una Dichiarazione in cui si affermava l’impegno congiunto volto a promuovere la stabilizzazione della regione balcanica. Esso fu inoltre preceduto da un incontro, avvenuto a Belgrado, tra Davotuglu ed il suo omologo serbo Jeremic e quello spagnolo Moratinos, presidente di turno dell’Unione Europea, per discutere del vertice Ue/Balcani occidentali che si sarebbe tenuto il 2 giugno ed al quale avrebbe partecipato anche la Turchia. Vertice il cui maggior successo è stato quello di aver messo attorno allo stesso tavolo i rappresentanti di tutti i Paesi della regione, compresi quelli di Serbia e Kosovo. E sembra proprio che questo risultato sia stato raggiunto anche grazie alla Turchia, alla quale la Serbia aveva chiesto di adoperarsi per convincere gli esponenti kosovari a partecipare all’evento.

Considerazioni conclusive

Alcuni osservatori si chiedono se l’attivismo turco nei Balcani sia totalmente autonomo o se sia stato ispirato dagli Stati Uniti. Di certo esso è visto positivamente sia da Washington che da Bruxelles, come ha dimostrato l’invito a partecipare al vertice Ue/Balcani del 2 giugno. D’altronde ad Ankara questo ruolo non può che far piacere, non solo alla luce delle sue ambizioni di potenza regionale, ma anche perché può consentire alla Turchia di conquistare consensi preziosi soprattutto nell’ottica di una felice prosecuzione dei negoziati di adesione all’Unione europea. Negoziati il cui esito positivo è tutt’altro che sicuro anche alla luce delle resistenze di alcuni Paesi membri e delle perduranti difficoltà per l’Unione derivanti dalle adesioni del 2004 e del 2007.

Al di là comunque dell’eventuale ingresso turco nell’Ue, appare sempre più evidente come la Turchia, spesso stanca di attendere un’Europa che preferisce impegnarsi nell’opera di mediazione tra Hamas e Fatah in Palestina o nella ricerca di un accordo con Brasile e Iran sul nucleare, stia cercando in tutti i modi di assumere un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale.

Per ulteriori approfondimenti si veda dal sito di Eurasia:

La politica estera della Turchia: da baluardo occidentale a ponte tra Europa ed Asia

Riferimenti bibliografici

Franzinetti, Guido. I Balcani dal 1878 a oggi. Carocci: 2010.

Bianchini S. – Marko J. Regional cooperation, peace enforcement, and the role of the treaties in the Balkans. Longo Angelo: 2007.

Zürcher, Erik J. Storia della Turchia. Dalla fine dell’impero ottomano ai giorni nostri. Donzelli, Roma: 2007.

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Tremul, Francesco. La Turchia nel mutato contesto geopolitico. UNI Service: 2006.

Bozarslan, Hamit. La Turchia contemporanea. Il Mulino, Bologna: 2006.

Biagini, Antonello. Storia della Turchia contemporanea. Bompiani: 2002.

Hale, William. Turkish Foreign Policy. 1774-2000. Frank Cass, London-Portland: 2002.

* Alessandro Daniele è dottore in Relazioni e Politiche Internazionali (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)


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