Secondo un insigne parere esposto all’inizio di questo millennio dal prof. François Thual1, vi sono due tendenze nelle relazioni internazionali: quella della frammentazione del Pianeta e quella delle integrazioni continentali. Tali tendenze esistono poiché, viste le attuali condizioni, solo Stati che godono di una dimensione continentale possono rivestire un ruolo da protagonisti sulla scena mondiale: Stati Uniti, Cina, Russia, India, Brasile, ecc. Gli Stati di piccole e medie dimensioni, invece, non possono che rivestire un ruolo secondario e perciò gravitano più o meno completamente all’interno dell’orbita di influenza di una potenza maggiore, magari sperando di fare l’Arlecchino tra due padroni e strappare le migliori condizioni di sudditanza possibili; oppure, in alternativa, integrarsi con altri Stati per aumentare le proprie capacità.

Partendo dalle rilevazioni di Thual, Tiberio Graziani ha continuato questo ragionamento, aggiungendo che la prima tendenza è quella dagli Stati Uniti, mentre la seconda è quella dalle potenze terresti eurasiatiche, principalmente della Russia e della Cina2. Essendo gli Stati Uniti lo stato relativamente più potente al mondo al termine della Guerra Fredda e trattandosi di una potenza talassocratica intenzionata a modificare ulteriormente lo status quo dell’ordine mondiale a proprio favore3, essi hanno l’interesse a prevenire la nascita di uno sfidante favorendo il frazionamento del mondo, mentre Russia e Cina hanno l’interesse ad evitare un ulteriore spezzettamento del Pianeta che favorirebbe Washington, procedendo ad integrare gli spazi regionali all’interno della propria area di influenza per caratterizzarsi come potenziali potenze egemoniche regionali.

In effetti, la lenta e paziente opera di tessitura sino-russa sta dando i primi frutti: alcune regioni vicino-orientali e centroasiatiche sono state stabilizzate e per gli Stati Uniti risulta sempre più difficile proiettare quella che è ritenuta essere la loro influenza perturbatrice4. L’interesse a tale stabilizzazione ed espulsione è condiviso anche da molti degli Stati vicino-orientali e centroasiatici, i quali vogliono assicurarsi che “nessuna rivoluzione islamista o colorata minacci il loro governo. Se vedono con grande sospetto ogni tentativo occidentale di aprire le loro società, […] accolgono il supporto russo e cinese.5” Ciò ha “irritato fortemente quelle lobby europee e d’oltreoceano che auspicavano […] l’unificazione del Pianeta sotto l’egida di Washington”6 Tale unificazione, però, è fondamentalmente diversa dai progetti di integrazione eurasiatici, poiché comporta quello “spezzettamento federale”7 degli Stati di grandi e medie dimensioni che è necessario perché gli Stati Uniti possano mantenersi al livello di Leviatano globale8.

Tenendo ben presente quanto sopra, si può brevemente verificare tramite due casi esemplari che le osservazioni di Thual e Graziani sono ancora valide e continuano ad offrire un valido orientamento per interpretare gli eventi globali.

In seguito al salvataggio russo del regime siriano di al-Assad, il piccolo Stato del Libano era stato nominato “un punto importante nel progetto cinese ‘Via della seta’”9. Infatti, l’idea cinese era quella di collegare tramite ferrovia le città siriane ai porti libanesi – un’idea condivisa anche dall’Iran, il quale sta cercando di costruire una via ferroviaria che vada dal proprio territorio fino al Mediterraneo orientale; l’ambasciatrice statunitense in Libano, invece, aveva avvisato il governo libanese che “voltarsi verso est […] potrebbe aver luogo a spese della prosperità, stabilità e sostenibilità finanziaria del Libano”10. Ora, la completa distruzione del porto di Beirut, chiaramente ritarda i progetti infrastrutturali di Russia, Cina e Iran. Ma se l’esplosione nel porto potrà anche essere casuale, il fuoco aperto dal circo mediatico atlantista contro i presunti responsabili, da esso indicati in Hezbollah (alleato dell’Iran nella zona e componente fondamentale della “mezzaluna sciita”) e contro il governo libanese (che si era aperto al progetto geoeconomico cinese e ora è costretto alle dimissioni) è certamente dovuto ad una scelta interessata a colpire certi attori operanti in quei progetti di integrazione.

Discorso analogo va fatto per la Bielorussia, che riveste un’importanza primaria per quanto concerne la politica europea sia della Russia sia della Cina. L’eventuale presa di potere da parte di un governo atlantista comporterebbe l’immediata interruzione dei progetti di integrazione sino-russi nel paese, con conseguente “potenziale fonte di bancarotta di tutti attori coinvolti”11. L’estromissione della Bielorussia dai progetti di tessitura eurasiatici con conseguente inserimento nell’Iniziativa dei Tre Mari e all’interno dell’asse polacco-lituano si incuneerebbe tra i legami tra Bruxelles, Mosca e Pechino, sabotando o comunque indebolendo la posizione dell’Europa sia nei confronti dei due giganti asiatici sia nei confronti del gigante d’oltreoceano. In particolar modo, ciò frazionerebbe ulteriormente l’Unione Europea, rendendo i singoli Stati europei, che sono di medie o piccole dimensioni, ulteriormente dipendenti dalla volontà di Washington12. In altre parole, l’attuale sostegno atlantista nei confronti di quello che il circo mediatico ha definito l’“opposizione democratica bielorussa” si caratterizza nei termini di un tentativo di frazionamento, non di integrazione.

In conclusione, si può affermare che le due divergenti tendenze di “integrazione” e di “frazionamento” individuate quasi vent’anni fa da Thual e poi ribadite da Graziani sono ancora valide e caratterizzeranno le prospettive geopolitiche del futuro. Laddove l’interesse sino-russo sarà quello dell’integrazione, quello statunitense sarà della frammentazione.


Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.


 

  1. François Thual, Il mondo fatto a pezzi, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008.
  2. Tiberio Graziani, Il tempo dei continenti e la destabilizzazione del pianeta, eurasia-rivista.com, 2008.
  3. Nuno P. Monteiro, Theory of Unipolar Politics, Cambridge, 2014
  4. Paul J. Bolt, Sharyl N. Cross, China, Russia and Twenty-First Century Global Geopolitics, Oxford, 2018
  5. Angela Stent: Putin’s World: Russia Against the West and with the Rest, 2019.
  6. Tiberio Graziani, op. cit.
  7. Andrew Korybko, E pluribus unum. Ex uno plures, in “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, vol. 2/2016, pp. 31-57.
  8. John G. Ikenberry, Liberal Leviathan. The Origins, Crisis, and Transformations of the American World Order, Princeton, 2011
  9. Il Libano si rivolge alla Cina per risolvere la sua crisi finanziaria, parstoday.com, 17/07/2020,  https://parstoday.com/it/news/middle_east
  10. Ibid
  11. Emanuel Pietrobon Cosa succede se cade Lukashenko, insideover.com, 14/08/2020
  12. Claudio Mutti, Il cordone sanitario atlantico, eurasia-rivista.com, 2016
Marco Ghisetti è dottore in Politica Mondiale e Relazioni Internazionali e in Filosofia. Ha lavorato e studiato in Europa, Russia ed Australia. Si occupa principalmente di geopolitica, sia pratica che teorica, teoria politica e filosofia politica. Tra i vari centri studi che hanno pubblicato i suoi articoli, oltre a “Eurasia”, vi sono l’“Osservatorio Globalizzazione” e “Geopolitical News PR”.