Man mano che i tamburi che chiamano alla guerra all’Iran si fanno sempre più forti, l’esercito statunitense non ha perso alcun tempo per riposizionare il proprio dispositivo bellico nel Golfo Persico. I preparativi per un confronto militare diretto proseguono dunque a grandi passi.

Stando a quanto riferito dal Washington Post in data 27 gennaio, “Il Pentagono sta stringendo i tempi per l’invio in Medio Oriente di una vasta base operativa galleggiante per squadre di commando specializzati”. Come riporta il quotidiano, la USS Ponce, una nave da trasporto destinata fino a poco tempo fa allo smantellamento, sarà adesso riconvertita in un mezzo tattico per operazioni speciali e inviata successivamente nel Golfo Persico.

Il Pentagono, riferisce il Post, si sta muovendo per equipaggiare la USS Ponce in vista delle sue nuove funzioni entro breve periodo. L’esercito si è anzi già messo avanti e ha saltato “le normali procedure di routine dal momento che ogni ritardo avrebbe comportato un ‘rischio per la sicurezza nazionale’”.

Contemporaneamente il Wall Street Journal ha scritto il 28 gennaio di come il Pentagono abbia reso noto davanti al Congresso che dirotterà altri 82 milioni di dollari per definire il progetto della Massive Ordinance Penetrator (MOP). Va detto a questo proposito che la MOP è una bomba di tipo “bunker-buster” (“distruggi bunker”) appositamente studiata per eliminare i siti fortificati costruiti da Iran e Corea del Nord allo scopo di colpire i programmi atomici di questi due Paesi.

La decisione di studiare un miglioramento tecnico della MOP arriverebbe secondo alcune fonti dopo una serie di test che avrebbero rivelato come l’ordigno attuale non avrebbe le capacità per distruggere alcune delle strutture nucleari iraniane fra cui il sito di arricchimento dell’uranio a Fordow, presso la città santa di Qom (il sito di Fordow è ricavato in profondità all’interno di un territorio montagnoso sotto 260 piedi di roccia e suolo).

Il Journal riferisce anche che “La decisione di richiedere proprio ora ulteriori fondi governativi per sviluppare l’arma è stata direttamente legata agli sforzi del Central Command dell’esercito volti a predisporre nel più breve tempo possibile tutte le opzioni in vista di un confronto militare con l’Iran”. E pertanto, proprio come nel caso dell’ammodernamento della USS Ponce, il Pentagono ha deciso di eludere i normali canali di richiesta di finanziamento nel cercare fondi aggiuntivi per la MOP. Come fa notare il Journal, “Il Pentagono assegna al miglioramento strategico della MOP lo status di progetto di una certa urgenza”.

Nel frattempo venerdì è stato anche reso pubblico che le esercitazioni congiunte Israele-USA dal nome in codice Austere Challenge 12 sono state rinviate ad ottobre 2012. Le manovre erano state inizialmente previste per la scorsa primavera, ma sono poi state rinviate al 15 gennaio sulla base di motivazioni non chiarite. Ora però che Austere Challenge 12 è stata fissata per ottobre, l’arrivo in Israele degli ufficiali miliari che prenderanno parte alla più grande esercitazione congiunta mai condotta tra i due eserciti è prevista già per la settimana prossima ventura.

Queste ultime manovre belliche seguono l’annuncio del ridispiegamento statunitense nella regione rivelato all’inizio di questo mese. Come ha rivelato in anteprima il Los Angeles Times il 12 gennaio l’incremento di truppe (che comprende la permanenza stabile di 15000 soldati statunitensi in Kuwait) è “da intendersi come forza di reazione rapida e di risposta a possibili emergenze nel caso in cui lo stallo sul sospetto programma nucleare di Teheran sfoci in una crisi militare aperta”.

Nonostante i preparativi militari già in corso, le élites al potere a Washington e a Tel Aviv restano divise su un possibile attacco militare diretto nei confronti dell’Iran. Come ha fatto notare Jim Lobe, questo dibattito in costante evoluzione ha di fatto indotto “un sempre maggiore numero di esponenti di spicco dell’establishment della diplomazia [statunitense], tra i quali diversi dell’ala ‘liberal’ che a suo tempo avevano sostenuto la guerra all’Iraq, a mettere in guardia da qualsiasi tipo di escalation sia da parte degli Stati Uniti che di Israele”.

Questa svolta che traspare nei discorsi ufficiali all’interno di ampi settori della struttura di potere è stata notata anche in Israele. Il 18 gennaio, ad esempio, il Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha rifiutato di fare alcuna previsione su quando Israele potrebbe decidere di attaccare unilateralmente l’Iran, arrivando a sostenere al contrario che Israele era “molto lontano” dal fare una mossa simile.

Barak pare però avere già cambiato idea. Parlando venerdì scorso a Davos in occasione del World Economic Forum, il ministro della difesa israeliano ha sostenuto come il mondo dovrebbe muoversi in fretta prima che il programma atomico iraniano giunga a uno stadio in cui qualunque attacco risulterebbe inutile. Secondo quanto ha affermato, “A nostro modo di vedere è particolarmente urgente dal momento che gli iraniani stanno deliberatamente passando ad una fase che possiamo definire di immunità, in cui praticamente nessuna operazione di tipo chirurgico si rivelerebbe in grado di fermarli”. Il molto lontano di cui parlava poco tempo prima sembrerebbe avvicinarsi a grandi passi.

Non a caso nell’articolo scritto per l’ultimo numero del New York Times Magazine del 25 gennaio, Ronen Bergman dichiara che Israele resta convinto della necessità di attaccare l’Iran. Bergman conclude così la sua analisi: “Dopo avere parlato con diversi dirigenti israeliani di alto livello e con responsabili dell’esercito e dei servizi di intelligence, mi sono convinto che Israele finirà per attaccare l’Iran nel 2012”. Senza dubbio un attacco israeliano trascinerebbe rapidamente gli Stati Uniti e diversi altri Paesi in un conflitto su scala regionale, se non globale.

Nonostante ciò, anche se tutti i segnali continuano a indicare una guerra sempre più vicina, ha cominciato a farsi largo anche un barlume di speranza. Finalmente all’interno degli Stati Uniti adesso comincia a intravedersi una resistenza organizzata di popolo che si oppone all’ennesima avventura imperialista. Proprio come annunciato all’inizio di questo mese, un “ampio spettro di organizzazioni anti-imperialiste e contro la guerra basate negli USA”, tra cui diversi movimenti della rete Occupa, hanno presentato un appello pubblico per promuovere una serie di proteste coordinate su scala nazionale contro i progetti incombenti di guerra all’Iran. I manifestanti chiederanno: “Nessuna guerra, no alle sanzioni, no alle ingerenze e agli omicidi mirati ai danni dell’Iran”.

Quindi, mentre le élites al potere sia in Israele che negli Stati Uniti continuano a discutere e a dividersi su un possibile attacco all’Iran, si presenta una finestra di opportunità (anche se breve) in cui un forte movimento di lavoratori possa spingere farsi largo a livello nazionale contro ogni intervento imperialista statunitense in Iran; e, si badi, questo nel momento in cui la rete occupa è ormai attiva in diverse città in tutto il Paese. Nei fatti, l’unica speranza certa per evitare la guerra (tenendo conto che all’interno dell’establishment i falchi hanno quasi sempre la meglio sulle colombe) sarà nella capacità dei lavoratori statunitensi di dimostrare materialmente la propria opposizione all’imperialismo scendendo nelle strade. Alla fine solo una resistenza di questo tipo offre l’unica vera speranza per risolvere pacificamente la crisi attuale.

Ben Schreiner

Global Research, 29 gennaio 2012

Ben Schreiner è uno scrittore freelance residente a Salem, Oregon. Può essere contattato all’indirizzo bnschreiner@gmail.com

Traduzione di Alessandro Iacobellis


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