Scrivere simili pensieri mentre ancora si contano le vittime della strage di Berlino potrebbe apparire fuori luogo. Quelle che sono però le “vittorie tattiche” del terrorismo – che aspira appunto a terrorizzarci – ne stanno denotando sempre più la sconfitta strategica. Ben più che dopo i colpi inflitti al sedicente “califfato” dalla altrettanto sedicente “coalizione internazionale”, è dopo la sconfitta di Aleppo che possiamo immaginare il gihadismo in ritirata per le sue perdite territoriali e di immagine; questo non significa che la vicenda del terrorismo settario si sia esaurita – al contrario, potrebbe persino intensificarsi – ma che sul piano strategico il gihadismo ha esaurito le proprie prospettive, la propria “spinta propulsiva”.

L’ideologia gihadista è riflesso speculare di quella globalista, prodotto del pensiero neoconservatore angloamericano: si propone come campo di azione (per la ricerca di una improbabile egemonia) il mondo intero. Un simile programma strategico non può che risultare perdente, o quanto meno superato, nel mondo ormai multipolare dove troppi interessi locali lo hanno strumentalizzato – o avversato.

Sul piano operativo affinità e divergenze tra Daesh e Al Qaeda sono state già abbondantemente registrate dagli analisti: Al Qaeda ha sempre dichiarato la guerra contro l’Occidente sul piano globale, mentre Daesh sogna obiettivi di egemonia all’interno dell’Ummah islamica – pur operando attacchi terroristici (o strumentalizzando attacchi terroristici) a livello internazionale. Quello di Al Qaeda è un terrorismo globale declinato localmente; quello di Daesh è un terrorismo regionale con clamorose puntate globali. Eppure il gihadismo, il takfirismo, il salafismo armato rimangono ideologie transnazionali, dalle tinte millenaristiche e miranti al dominio totale di un Islam immaginario e deformato nei suoi principi sul resto della Ummah e sul mondo. Il teatro operativo deve giocoforza essere locale (Afghanistan, Pakistan, Kashmir, Caucaso, Bosnia, Kossovo, Siria ecc.), ma proprio per questa molteplicità di teatri geografici l’ottica è sempre internazionale, sia che la sfida all’Occidente sia diretta e strategica (Al Qaeda), sia invece di rimando e tattica (Daesh); entrambe le aggregazioni terroristiche derivano dalla medesima malapianta ideologica.

Laddove il presunto gihad perde sui singoli teatri operativi, ecco che non più proporsi come trionfante nel globo: indifferentemente dal fatto che si tratti di un “licenziatario” di Al Qaeda o del sedicente Stato Islamico – o ancora, di formazioni minori e puramente locali – il gihad vince se “rimane e si espande” (motto di Daesh), anche travestendosi da “moderato” o da interlocutore dell’Occidente nello scontro coi nemici che Occidente e terroristi hanno in comune: la Russia, l’Iran, la Cina. Il sedicente Stato Islamico non si sta più espandendo con conquiste territoriali – nonostante la “strana guerra” che la coalizione a guida USA gli muove. Gli altri gruppi gihadisti hanno già subito una fortissima battuta d’arresto nella guerra siriana, perdendo il controllo sulla “Siria utile” ad Aleppo.

Tra le masse arabe, dall’Iraq al Nordafrica, il gihadismo può ancora intercettare fasce di dissenso nei confronti di governi esistenti – e più ancora può farlo l’islamismo, fenomeno differente: il primo non può più, però, dopo i conflitti seguiti alle rivolte arabe, al caos libico, alla restaurazione egiziana (compiutasi a furore di popolo) accreditarsi come ideologia di massa e vera alternativa di riscatto per le popolazioni musulmane del globo. Sacche di disagio saranno ancora strumentalizzate: dall’emarginazione del povero delle periferie alla noia del borghese, dalla risposta alle sofferenze e ai vuoti esistenziali fino al puro furore ideologico. La stagione degli attentati non è finita, ma sappiamo che il terrorismo islamista non potrà vincere, non potrà insediarsi in propri territori creando statualità, “rimanendo ed espandendosi”. L’ideologia non morirà come non sono morte le ideologie dell’estremismo politico occidentale con i loro frutti di violenza; è morta però la capacità di imporsi come vindice di tutto il mondo islamico, così come in Occidente le ideologie estremiste “storiche” potranno tutt’al più generare movimenti radicali di nicchia, ma non potranno dar luogo a ideologie di massa.

Sul piano militare, la sconfitta di Aleppo segna la più grande battuta di arresto del gihadismo globale dall’Afghanistan degli anni ’80 ad oggi: è stata fermata l’anima più subdola e forse perniciosa del gihadismo: quella strumentale agl’interessi di alcuni governi occidentali, guarda caso proprio l’anima “afghana”. Il gihadismo medio-orientale si dovrà accontentare dell’insurrezione di alcune tribù sunnite contro governi centrali sciiti, avvalendosi dei finanziamenti forniti dalle petromonarchie del Golfo in chiave antiraniana.

Sul piano socio-demografico, i giovani musulmani del Vicino Oriente arabo, del Nordafrica, dell’Asia Centrale e del Sud-est asiatico – vivono in una società che comincia a mostrare i medesimi segni di rallentamento della natalità e di invecchiamento sperimentati dall’Occidente nei decenni passati. Delusi dalle ideologie, la loro priorità è la medesima dei loro coetanei europei: trovare un lavoro decente e costruirsi una vita dignitosa.

Sul piano propagandistico le ideologie di massa funzionano nelle società di massa. I fanatismi individuali – il terrorismo “a sciame” e quello “dei lupi solitari” – si adattano meglio ad una società atomizzata, dove l’obiettivo della radicalizzazione è costituito da singoli o da ristrette cerchie di individui. La propaganda di massa è stata sostituita dal marketing “ad personam” dei social network. Ad ogni modo, bisogna far presto a sradicare Daesh per togliere al movimento takfirista ogni residua – e non residuale! – immagine di forza.

L’unico vero risultato politico duraturo che il gihadismo può conseguire è la destabilizzazione delle società europee. Il ritorno di fiamma di governi occidentali che hanno scherzato e scherzano col fuoco può ancora bruciare civili innocenti da un lato e dall’altro alimentare un antislamismo d’accatto invocato proprio dagli araldi dell’ideologia neoconservatrice. Quanto all’internazionalismo liberale di marca obamiano-progressista, esso dimostra di non aver ancora compreso chi sia e dove sia il nemico, e in tale funzione predilige la Russia ai gihadisti. Dopo aver appoggiato i ribelli siriani senza volerne vedere la reale natura reazionaria, dopo aver appaltato alle reazionarie monarchie del Golfo la rappresentanza del mondo sunnita e dopo aver provato ad isolare Iran e Russia in ogni modo – riuscendo a compattarli tra loro a fianco della Cina – i governi occidentali brancolano nel buio, non avendo la minima soluzione politica da proporre al dramma siriano e condannandosi all’irrilevanza.


Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.


 

Amedeo Maddaluno collabora stabilmente dal 2013 con “Eurasia” - nella versione sia elettronica sia cartacea - focalizzando i propri contributi e la propria attività di ricerca sulle aree geopolitiche del Vicino Oriente, dello spazio post-sovietico e dello spazio anglosassone (britannico e statunitense), aree del mondo nelle quali ha avuto l'opportunità di lavorare e risiedere o viaggiare. Si interessa di tematiche militari, strategiche e macroeonomiche (si è aureato in economia nel 2011 con una tesi di Storia della Finanza presso l'Università Bocconi di Milano). Ha all'attivo tre libri di argomento geopolitico - l'ultimo dei quali, “Geopolitica. Storia di un'ideologia”, è uscito nel 2019 per i tipi di GoWare - ed è membro della redazione del sito Osservatorio Globalizzazione, centro studi strategici diretto dal professor Aldo Giannuli della Statale di Milano.