Partiamo dal progetto EastMed. La vicenda è nota e in questa sede la richiamiamo sinteticamente: nel gennaio 2020 Grecia, Repubblica di Cipro e Israele sottoscrivevano un accordo per la realizzazione di un gasdotto sottomarino (EastMed) di quasi 2.000 chilometri destinato a portare il gas vicino-orientale in Europa. Israele ha proposto all’Unione Europea di investire nel progetto, da tutti presentato come uno strumento per “ridurre l’eccessiva dipendenza energetica europea dalla Russia”.

La UE ha rapidamente dato la sua disponibilità ed ha accordato proprie risorse finanziarie a titolo di acconto; in questo caso nessun peso hanno avuto finora le critiche ecologiste concernenti l’impatto dei carburanti fossili sul clima e i danni alle comunità locali.

Soltanto la Turchia – che subisce questo accordo sentendo compromesso il suo ruolo di “ponte” energetico fra Russia, Vicino Oriente ed Europa – ha contestato la realizzazione dell’EastMed per le sue modalità, che si intersecano con la spinosa questione dei giacimenti ciprioti e al largo di Gaza e del Libano, e con la complicata definizione delle ZEE (Zone Economiche Esclusive) bilaterali.

C’è intanto da sottolineare che grossi giacimenti di gas naturale sono stati rinvenuti a partire dal 1999 davanti alle coste di Gaza e che Israele se li è accaparrati, esercitando del tutto illegalmente il controllo di fatto di quel martoriato territorio palestinese: quel gas confluirà – assieme a quello proveniente dal mare attorno a Cipro – nell’EastMed.

Analoga situazione quella dei giacimenti presenti ai confini delle acque territoriali fra Israele e il Libano, il quale protesta per le disinvolte intromissioni israeliane, incuranti dei diritti altrui.

Benjamin Netanyahu ha parlato di Israele come di un “grande produttore di energia”; la realtà è che Israele è invece un grande accaparratore di energia, e che il progetto EastMed potrebbe avere finalità più diplomatiche e geopolitiche che energetiche (e commerciali), considerato che nelle previsioni il gasdotto sembra comunque essere molto, troppo costoso. Queste le finalità: stringere accordi con Paesi europei e mediterranei colpendo indirettamente la Turchia, il cui “regime”, come è noto, piace ben poco agli Occidentali, che vorrebbero “riformarlo” e opportunamente “laicizzarlo”; consolidare la dipendenza energetica ed economica dei Palestinesi, continuando a negare loro un profilo di Stato autonomo e indipendente.

Nel frattempo Grecia, Repubblica di Cipro e – più defilato – Israele negano alla Turchia ogni diritto a svolgere esplorazioni e trivellazioni nelle acque intorno a Cipro, sottolineando il mancato riconoscimento internazionale della Repubblica Turca di Cipro del Nord: un atteggiamento piuttosto anomalo e ipocrita, che rifiuta di riconoscere la realtà di fatto. Ma gli accordi fra Turchia e Libia (governo Sarraj) mirano a restituire ad Ankara il diritto di intervenire in quell’area, concepita come ZEE contrapposta all’intesa ZEE stipulata fra Grecia ed Egitto.

Gli elaborati e certamente opinabili calcoli sulle rispettive ZEE sono ulteriormente complicati dall’annoso contenzioso sui confini marittimi fra Grecia e Turchia. La presenza di Rodi, Castellorizo e altre isole elleniche a ridosso delle coste turche è motivo di attrito fra i due Paesi, poiché la Grecia definisce la sua ZEE ignorando la costa anatolica e considerando solo le proprie isole, mentre la Turchia fa esattamente il contrario.

Ankara, anche a nome della Repubblica Turca di Cipro del Nord, vuole la sua parte degli imponenti giacimenti scoperti e ancora da scoprire nel mare attorno a Cipro; la pretesa di Grecia e Repubblica di Cipro (ma anche e soprattutto di Israele, della Francia, dell’Unione Europea) di completamente escluderla è significativa di una ingiustificata chiusura occidentale nei suoi confronti.

Tale chiusura fa seguito a ripetuti comportamenti di inimicizia nei confronti dei Turchi e del loro governo, legittimamente eletto ma spesso tacciato di profilo dittatoriale. Nel luglio 2019 sanzioni e misure restrittive sono state assunte dal Consiglio dell’Unione Europea, che ha anche approvato la proposta della Commissione di ridurre l’assistenza finanziaria al Paese della Mezzaluna. Ankara ha reagito proseguendo le sue attività di esplorazione di idrocarburi attorno a Cipro, proteggendo le sue navi trivellatrici con unità navali militari.

Inoltre il ministro degli Affari Esteri Çavuşoğlu ha intimato a Israele di annullare l’accordo stipulato con la Repubblica di Cipro sulle rispettive ZEE, accusando Tel Aviv di avere ceduto a Nicosia parte delle acque territoriali turche.

È insomma ancora nel Mediterraneo che si gioca una partita importante per la definizione dei rapporti di forza fra fronti sempre meno episodicamente contrapposti: la Turchia ha comunicato nei giorni scorsi la scoperta di un grosso giacimento di gas naturale al largo della costa turca sul Mar Nero, ma ciò – ha ribadito Erdogan – non comprometterà la volontà di Ankara di opporsi a poteri o minacce colonialiste nell’area mediterranea.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.