Ci avviciniamo a quella che è considerata la principale festa della cristianità, ovvero il Natale di Gesù Cristo. D’altronde molti commentatori religiosi, sia in ambito cristiano, sia in altri contesti, ritengono la data del 25 dicembre una sorta di convenzione, visto che la data precisa della nascita di Gesù Cristo non è identificabile in modo preciso. In questa sede non intendo soffermarmi su queste discussioni, ma semplicemente mostrare come lo spazio eurasiatico, prima di essere un’entità geografica, prima di poter divenire uno spazio geopolitico coeso, sia una casa comune di popoli e di culture diverse, indubbiamente peculiari e non omologabili in modo semplice, ma aventi radici comuni molto forti. Ciò è dimostrato non solo, ma anche, da una serie di usanze comuni, che, pur avendo cambiato nome e forma durante lo scorrere dei secoli e dei millenni, hanno mantenuto una continuità storica innegabile. Una di queste usanze, o per meglio dire festività, è proprio il Natale.

Non è una novità affermare che la festa del Natale di Gesù Cristo è stata probabilmente mutuata dalla festività romana del “Sol Invictus”; ciò ovviamente non vuol dire che, come alcuni erroneamente sostengono, Gesù Cristo non sia esistito, ma semplicemente che la sua data di nascita non è sicura, e che, verosimilmente, le autorità del clero per evitare di dover abolire una festa fortemente sentita dalla popolazione originariamente pagana, l’abbiano “trasformata” in una festa cristiana, facendo diventare il “Natale” di Cristo. Ma anche questo non è il punto del discorso. Pochi infatti sanno che l’origine della festività romana del “Sol Invictus” è da riscontrare nelle tradizioni di molti popoli del continente eurasiatico, dall’India all’Irlanda, e che soprattutto in Iran questa festa ha radici molto antiche, che non si sono esaurite nemmeno oggi. Infatti proprio in questi giorni gli iraniani festeggiano il “loro” Natale, e non ci riferiamo evidentemente al Natale festeggiato dai cristiani iraniani, ma ad una festa denominata in farsi “Yaldà”: letteralmente “Natale”. Questa festa segna il “Natale” del Sole, visto che dal solstizio del mese di dicembre nell’emisfero boreale le giornate si allungano e tendono a “crescere” giorno dopo giorno. “Yaldà”, quindi, è una festa che gli iraniani festeggiano dai tempi più remoti; ma la parola deriva non da una radice farsi, bensì siriaca. Il sapiente persiano Biruni, vissuto intorno all’anno 1000 d. C., descrisse questa tipica festa iranica come il “Grande Natale” (Yaldà-e Akbar) o il “Natale del Sole” (Yaldà-e Khorshid). Questa ricorrenza è stata poi oggetto di studi e analisi da parte di molti studiosi, che hanno notato come tra essa e altre feste simili, celebrate dai popoli europei, vi sia una chiara continuità. D’altro canto, con le sue caratteristiche originarie, si è mantenuta in modo diffuso solo in Iran, mentre nei Paesi europei e nel mondo cristiano ha “mutato” forma e nome diventando il “Natale” che noi tutti conosciamo.

Nella cultura dell’antica Persia, soprattutto nell’epoca preislamica, possiamo trovare dei riferimenti a questa festa, che secondo alcuni preannunziava l’arrivo dell’anno nuovo, esattamente come oggi il Natale della cristianità occidentale cade pochi giorni prima dell’inizio del nuovo anno. La parola “anno” per gli antichi persiani, era “sareda”; nel persiano moderno invece il simile vocabolo “sard”, indica il “freddo”, confermando quindi l’ipotesi secondo cui l’inizio dell’anno coinciderebbe con il “Yaldà”, ovvero col “Natale del Sole”, momento in cui inizia anche la stagione del freddo, ovvero l’inverno. D’altronde non si può negare nemmeno il fatto che nella cultura tradizionale persiana l’anno nuovo coincide con il primo giorno della stagione primaverile, il celebre “Nowruz”, “nuovo giorno”. Quindi il termine “sareda”, che indica l’anno nella lingua avestica (lingua nella quale è scritto l’Avesta, testo sacro per gli zoroastriani) e che, come detto, vuol dire “freddo”, più che indicare l’inizio del freddo, potrebbe riferirsi invece alla fine della stagione fredda, ovvero il termine dell’inverno e l’inizio della primavera. I festeggiamenti della notte di “Yaldà” sono tra le più importanti tradizioni iraniane. Siccome questa è la notte più lunga, e la notte è caratterizzata dal buio, ed esso era per gli antichi persiani simbolo di Ahriman (Satana) e dei demoni, essi accendevano dei falò per allontanare le tenebre e la malvagità. Inoltre venivano apparecchiate delle tavole con vari tipi di frutta, fresca e secca, come un dono per Ahura Mazda (Dio). C’era pure chi aspettava il mattino per vedere l’arrivo del sole, recitando preghiere.

Tutte queste usanze, sono rimaste intatte attraverso i secoli, e ancora oggi gli iraniani, custodi di una delle più antiche civiltà del mondo e dell’Eurasia, festeggiano il “Natale del Sole”, la notte di “Yaldà”. Ci sono tracce visibili ancora oggi di tali fenomeni in Irlanda, per non parlare poi della sopracitata festività nell’antica Roma. Il Natale, quindi, ha antiche origini che accomunano diverse nazioni dell’Eurasia, in diversi periodi storici. Ciò non è un fatto sottovalutabile, visto che un’alleanza tra nazioni non può essere vera e completa, se non ci sono credenze comuni e radici culturali forti. Notiamo infatti come le alleanze tra Stati siano spesso frutto di considerazioni tattiche e non della convergenza su una comune visione del mondo. Affinché si possa instaurare un ordine mondiale basato sul rispetto dei popoli sovrani, più equo di quello attuale, che si fonda sulla prevaricazione e sull’oppressione, è necessario fare un salto di qualità, e non fermarsi solo a vantaggi di breve periodo.

I popoli dell’Eurasia hanno molto in comune, ma la propaganda atlantista vorrebbe farci credere che i valori condivisi tra le due sponde dell’Atlantico settentrionale sono molto più forti dei legami esistenti tra le nazione dell’Europa e dell’Asia. Un’analisi accurata della storia ci aiuta a comprendere come l’origine dei popoli europei sia da riscontrare, sia dal punto di vista sia etnico sia linguistico, in territori che si collocano a oriente rispetto all’Europa occidentale. Basterebbe qui citare il mito (che trova riscontro nella realtà storica) di Enea, ricollegabile direttamente alla fondazione della civiltà italico-romana ed europea. In fondo, non era forse Enea un asiatico, essendo originario della penisola anatolica?

I presunti legami culturali tra l’Europa e l’America settentrionale sono in realtà una forzatura ideologica, costruita su presupposti quali il liberalismo e il libero mercato. Come possiamo basare una civiltà comune su un’idea economica e materialista? Le grandi civiltà del passato, e sarà lo stesso anche in futuro, sono principalmente delle civiltà spirituali, che basano la propria ragion d’essere sul primato dello spirito, non certo dell’economia. Se la divinità di un popolo non è metafisica, ma è il “capitale”, e se il modello economico è finalizzato a se stesso anziché all’emancipazione dell’uomo, allora quella che abbiamo dinanzi a noi non è nemmeno una civiltà. L’Europa e l’Asia sono state storicamente legate, non solo nel senso che tra questi continenti c’è un evidente continuum territoriale, ma perché i popoli dell’Eurasia hanno sempre avuto, da secoli e da millenni, e non solo negli ultimi due secoli, un intenso legame storico. Tutti i grandi popoli di questo “macrocontinente” hanno una loro dimensione europea ed asiatica, e ciò da millenni, non da pochi decenni. Basterebbe dire che il ceppo linguistico indoeuropeo ha le sue tracce vive in lingue come il persiano, l’italiano, il tedesco ecc. Lo stesso possiamo dire per lingue come il turco, l’azero, l’ungherese ecc. Per non dire poi delle parole arabe entrate nel vocabolario linguistico europeo ed italiano, come “zero”, dall’arabo “sifr”.

Il Natale ci mostra che tutti i popoli dell’Eurasia sono parte di una comune civiltà primordiale, basata sulla preminenza della spirito sulla materia. Ciò non vuol dire azzerare le diversità, ma renderci conto che abitamo una grande casa comune che ha una storia millenaria. Nessun popolo, da solo o creando alleanze basate su un effimero tornaconto, potrebbe protrarre la propria esistenza lungo una storia che, lungi dall’essere arrivata alla propria conclusione, sta dimostrando che l’alleanza dell’Eurasia e di tutti i popoli oppressi del mondo è una realtà possibile, e non l’immaginazione di qualche sprovveduto.

Cogliamo quindi l’occasione per augurare un buon Natale a tutti, sia che si tratti del Natale cristiano, sia che si tratti del “Natale del Sole” di memoria iranica ed indoeuropea.


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