“Il cordone ombelicale fra Europa ed Asia era stato fin dalla preistoria la Via della Seta, dove erano transitati mercanti, avventurieri, predicatori di tutte le religioni. Era stata, nei secoli, una grande via commerciale, ma anche e soprattutto una via dove erano passate le idee ed il pensiero, dove erano stati gettati i semi della più grande civiltà comune dell’Eurasia”.  
(Lionello Lanciotti, Dove va la civiltà cinese?, Roma 2005, p. 28)
             

Il presidente Xi Jinping, replicando implicitamente a coloro i quali temevano che l’accordo italo-cinese sulla Nuova Via della Seta potesse creare un rapporto privilegiato tra Roma e Pechino a scapito dei vincoli atlantici dell’Italia, alla vigilia del suo arrivo a Roma scrisse una lettera aperta che fu pubblicata il 23 marzo 2019 dal “Corriere della Sera”. “Già più di duemila anni fa – diceva la lettera del presidente cinese – l’antica Via della Seta ha permesso il collegamento tra l’antica Cina e l’antica Roma, nonostante le grandi distanze che le separavano. La dinastia Han inviò Gan Ying in missione alla ricerca di ciò che chiamavano Da Qin o Grande Qin che si riferiva proprio all’Impero romano, mentre nei componimenti del poeta Virgilio e del geografo romano Pomponio Mela si trovano molteplici citazioni del Paese della seta. In seguito, il Milione di Marco Polo scatenò la prima passione per la Cina della storia occidentale e il suo autore divenne un pioniere dei contatti tra la cultura orientale e quella occidentale (…)”.

Nel II secolo a.C., infatti, il commercio di vari beni di consumo, fra i quali la seta, prodotta in Cina da oltre un millennio, favorì la nascita di una rete di itinerari che, superando deserti e catene montuose, collegavano il Celeste Impero con diverse zone dell’Asia centrale, con l’Iran e con l’India, e giungevano fino al terminale mediterraneo di Antiochia. Avvenne così che la seta si diffuse anche nel mondo romano, dove si credeva che venisse ricavata dalle foglie di una misteriosa pianta nel paese estremo-orientale dei Seri (Seres), “una stirpe piena di giustizia”[1]. “I Seri – scriveva Plinio il Vecchio – sono famosi per la lana delle loro foreste; pettinano via la peluria bianca dalle foglie, dopo averla immersa nell’acqua; di qui deriva alle nostre donne il doppio lavoro di dividere i fili e di tesserli di nuovo”[2]. Con tale materiale venivano confezionate quelle vesti di seta (sericae vestes) che suscitavano l’indignazione di Seneca: “Ecco le vesti di seta, se si possono chiamare vesti queste che non hanno nulla che serva a proteggere il corpo o almeno il pudore (…); le si fanno arrivare, pagandole somme ingenti, da luoghi sconosciuti anche ai nostri mercanti”[3].

Le rotte terrestri rifornirono di seta e di altre merci asiatiche i mercati dell’Europa per circa quattordici secoli e le rotte marittime per un periodo ancora più lungo, creando e consolidando relazioni commerciali e culturali tra le due parti del continente eurasiatico. Furono numerosi e diversi i popoli del grande continente che vennero coinvolti nella creazione e nello sviluppo di tali rotte e svolsero un ruolo fondamentale nel commercio della seta. “Vi erano popolazioni urbane e agricole stanziate negli imperi che si estendevano in tutto il continente eurasiatico, ma anche popoli nomadi che vivevano nelle praterie a nord di questi imperi, spostando le proprie mandrie e le proprie tende a seconda delle stagioni e delle circostanze. (…) A sud dei grandi imperi, inoltre, si estendevano i mari e gli oceani meridionali, dove molto tempo prima marinai delle più varie origini avevano sperimentato diverse rotte marittime che transitavano dal Golfo Persico ed al Mar Rosso, collegando Macedonia ed Egitto. Le navi che solcarono il Mar Rosso e il Mar Arabico, per esempio, diedero un importante contributo alla prima rotta marittima della seta, aperta nel I secolo d.C., collegando i porti indiani (verso i quali la seta veniva trasportata) con i territori orientali dell’Impero romano, uno dei principali mercati della seta cinese. Alcuni secoli dopo, i marinai provenienti dal Sud-Est asiatico svilupparono una rotta marittima che collegava lo Sri Lanka con la Cina, incrementando in modo significativo il traffico commerciale tra l’India e il Celeste Impero”[4].

L’intenzione di riattivare questa grandiosa rete di percorsi venne enunciata da Xi Jinping nel settembre 2013, in un discorso tenuto all’Università Nazarbayev di Astana, capitale del Kazakhstan. L’ambizioso progetto cinese, chiamato prima “Una Cintura, una Rotta” (“One Belt, One Road” OBOR) e poi “Iniziativa della Cintura e della Rotta” (Belt and Road Initiative, BRI), comprende le direttrici terrestri della “Zona economica della via della seta” e la “Via della seta marittima del XXI secolo”; esso mira a collegare la Cina all’Europa per mezzo di una rete di corridoi autostradali e ferroviari che, attraversando il Kazakhstan, la Russia, la Bielorussia, la Polonia, la Germania, la Francia ed il Regno Unito, arriverebbe fino alla penisola iberica; sul versante marittimo, questa rete di vie commerciali coinvolgerebbe anche le regioni situate lungo l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Mare Mediterraneo. Il progetto cinese riguarda una settantina di Paesi, per un totale di 4.400.000.000 di abitanti: oltre la metà della popolazione mondiale, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale.

Sotto il profilo economico, gli obiettivi della Cina consistono nell’aumento delle esportazioni, nello smercio della sua produzione e nel reperimento di nuovi mercati per le sue imprese edilizie. Inoltre, la realizzazione del progetto consentirebbe alla Cina di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico: in Asia centrale, in particolare, la Cina potrebbe liberarsi dalla dipendenza energetica nei confronti della Russia e dei Paesi del Golfo.

Se lo consideriamo da un punto di vista geopolitico, il progetto cinese ci induce a rievocare la parte conclusiva della famosa relazione che Sir Halford John Mackinder lesse dinanzi ai membri della Royal Geographical Society il 25 gennaio 1904: “In conclusione, – ipotizzava il direttore della London School of Economics and Political Science – può essere opportuno evidenziare il fatto che l’emergere di un qualche nuovo potere nell’area interna a quella della Russia non tenderebbe a ridurre l’importanza geografica della posizione-perno. Se fossero, ad esempio, i Cinesi, organizzati dai Giapponesi, a rovesciare l’Impero Russo e a conquistarne il territorio, essi potrebbero costituire il pericolo giallo per la libertà del mondo, proprio perché aggiungerebbero un fronte oceanico alle risorse del grande continente, un vantaggio finora negato agli abitanti russi della regione-perno”[5].

Se prescindiamo dalla congettura non più proponibile dei “Cinesi organizzati dai Giapponesi”, dall’ossessione del “pericolo giallo” e dall’identificazione degl’interessi britannici con una molto soggettiva “libertà del mondo”, il quadro prospettato da Mackinder non risulta molto distante da quello che si può evincere dall’odierno progetto cinese. Infatti, aggiungendosi alle iniziative dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e dell’Unione Economica Eurasiatica, l’“Iniziativa della Cintura e della Rotta” si inserisce in maniera decisiva in una generale strategia di integrazione del Rimland con la massa continentale eurasiatica; e nell’integrazione delle immense risorse continentali con un ampio fronte oceanico si configura il dominio dello Heartland da parte di un centro di forza eurasiatico, con la conseguente estromissione della potenza atlantica e la sua definitiva sconfitta nella contesa per il potere mondiale.

Nel corso del Forum “La Cintura e la Rotta”, che ha avuto luogo a Pechino nel maggio 2017, il presidente Xi Jinping ha espresso con un’eloquente metafora l’idea della collaborazione alla quale sono chiamati, per la realizzazione di questo ambizioso progetto, i Paesi del continente eurasiatico. “I cigni selvatici – ha detto – sono capaci di volare lontano senza difficoltà, resistendo ai venti ed alle tempeste, perché si spostano a nugoli e si aiutano fra loro come un’unica squadra”.  

Il presidente Putin, invitato d’onore col ministro degli Esteri Lavrov, è stato ancora più esplicito, dichiarando che la Nuova Via della Seta costituisce “un’occasione unica per creare un quadro di cooperazione dall’Atlantico al Pacifico, per la prima volta nella storia”. Ed ha aggiunto: “La Grande Eurasia non è uno schema geopolitico astratto, ma, senza esagerare, un progetto a misura di civiltà rivolto verso l’avvenire”.


NOTE

[1] “Seres genus plenum iustitiae” (Pomponio Mela, De chorographia, III, 7, 60).

[2] “Seres, lanicio silvarum nobiles, perfusam aqua depectentes frondium canitiem, unde geminus feminis nostris labos redordiendi fila rursusque texendi” (Plinio, Naturalis historia, VI, 54). Cfr. Virgilio, Georgiche, II, 12: “Velleraque ut foliis depectant tenuia Seres”.

[3] “Video sericas vestes, si vestes vocandae sunt, in quibus nihil est, quo defendi aut corpus aut denique pudor possit (…); hae ingenti summa ab ignotis etiam ad commercium gentibus accersuntur” (Seneca, De beneficiis, VII, 9, 5).

[4] Xinru Liu – Lynda Norene Shaffer, Le vie della seta, Il Mulino, Bologna 2009, p. 14.

[5] Halford John Mackinder, Il perno geografico della storia, “Eurasia”, 2/2018, a. XV, n. 2, aprile-giugno 2018, pp. 41-42.


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Claudio Mutti, antichista di formazione, ha svolto attività didattica e di ricerca presso lo Studio di Filologia Ugrofinnica dell’Università di Bologna. Successivamente ha insegnato latino e greco nei licei. Ha pubblicato qualche centinaio di articoli in italiano e in altre lingue. Nel 1978 ha fondato le Edizioni all'insegna del Veltro, che hanno in catalogo oltre un centinaio di titoli. Dirige il trimestrale “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”. Tra i suoi libri più recenti: A oriente di Roma e di Berlino (2003), Imperium. Epifanie dell’idea di impero (2005), L’unità dell’Eurasia (2008), Gentes. Popoli, territori, miti (2010), Esploratori del continente (2011), A domanda risponde (2013), Democrazia e talassocrazia (2014), Saturnia regna (2015).