Dopo l’Ungheria – rimpiazzata a quanto sembra dalla più accondiscendente Austria –  l’Open Society Foundations del “filantropo” George Soros abbandonerà anche la Turchia, Paese in cui – come recita il comunicato della fondazione – “è diventato impossibile lavorare tranquillamente” dopo che il Presidente Erdoğan ha esplicitamente accusato Soros di usare le proprie colossali ricchezze per tentare di dividere e distruggere le nazioni.

Come puntualmente riportato nel sito ufficiale della fondazione, in Turchia l’Open Society dispone di 2 milioni di dollari destinati alle seguenti priorità: rapporti con la UE, riforme, disparità regionali, minoranze, società civile, istruzione, teoria del gender e informazione; obiettivi dichiarati sono il supporto alla società civile, il completamento della democrazia e naturalmente la realizzazione di una “società aperta”.

La grande stampa occidentale sembra sorpresa dalle accuse dell’“autocrate” turco ed è anche  piuttosto indignata dal fatto che Erdoğan abbia qualificato come “ebreo ungherese”  George Soros: un atteggiamento, questo dei mezzi di informazione,  riduttivo e francamente sconcertante – e tuttavia in linea con la generale incapacità di muovere critiche radicali a quella che è probabilmente la maggiore centrale speculativa dell’intero pianeta; centrale speculativa che si salda con un ruolo  geopolitico destabilizzante esercitato a livello mondiale (“rivoluzioni colorate” in testa).  

Il Presidente turco ha individuato Soros come longa manus di Osman Kavala, uomo d’affari e “attivista dei diritti civili” nonché principale animatore dei fatti di Gezi Park del 2013; Kavala, attualmente posto in stato d’arresto,  è  sospettato  di aver avuto un ruolo nel tentato colpo di Stato del luglio 2016.

A riguardo di quel golpe  la Turchia ha nei giorni scorsi chiesto agli Stati Uniti l’estradizione di 84 persone a suo dire coinvolte nella vicenda: è certamente significativo al proposito che la stragrande maggioranza degli indagati ancora latitanti si trovi negli USA, Paese fortemente sospettato di coinvolgimento anche in quel tentativo di rovesciamento violento del governo di Ankara.

In Turchia il quotidiano “Sabah”, fra gli altri, ha documentato l’esistenza di flussi di denaro intercorrenti fra l’Open Society Foundations e Kavala a partire proprio dalla prossimità dell’inizio delle proteste di Gezi Park (si veda al proposito https://www.sabah.com.tr/gundem/2018/11/26/iste-gezide-kavala-soros-baglantisini-kanitlayan-para-transferleri): si tratta di una conferma che quelle proteste – al di là della genuina partecipazione di un ridotto numero di cittadini sensibili a una questione ecologica locale – furono cinicamente eterodirette e trasformate in onda mediatica internazionale allo scopo di esercitare il consueto “cambio di regime”. Nulla di “democratico”, al solito, ma un gioco sporco fortunatamente non coronato da successo: il destino della Turchia è per ora affidato ancora ai Turchi, l’Open Society se ne occuperà più da lontano.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.