Nel corso delle sollevazioni del febbraio scorso un dirigente dei Fratelli Musulmani,  Ashraf Abdel Ghaffar, ha deciso di abbandonare l’Egitto per trovare temporaneamente rifugio in Turchia, dove sarebbe rimasto fino a quando le manifestazioni per rimuovere Mubarak non avessero avuto successo. Abdel Ghaffar  ha quindi elogiato il governo di Ankara, additandolo come possibile modello per il nuovo Egitto.

La Turchia è stata in effetti fra i primissimi Paesi a chiedere le dimissioni di Mubarak e un cambio della guardia al Cairo.
Indipendentemente dai luoghi comuni adottati nella circostanza – la “democrazia”, la “libertà” et similia, buoni per tutte le stagioni e reclamati un po’ da tutti – sta di fatto che il “polo turco” rappresenta oggi una linea di tendenza precisa e un possibile cartello di forze non propriamente riconducibile allo schieramento atlantista.

Alle aperture rivolte alla Siria, al Libano, all’Iran, alla Palestina (segnatamente Hamas) e al dialogo intrapreso con gli altri vicini-orientali, si aggiunge pertanto, in prospettiva, la collaborazione con quella che è sicuramente la forza più importante e in crescita della società egiziana, destinata prevedibilmente a ridare spazi di sovranità al proprio Paese.

Intanto si rimane in attesa dell’evoluzione della situazione libica, in cui Stati Uniti e alleati (con Israele sullo sfondo) soffiano sul fuoco per la sostituzione di un regime, comunque lo si voglia giudicare, “scomodo” e da sostituire con uno più malleabile. La Turchia ha grossi interessi in Libia, con cantieri e attrezzature del valore di milioni di dollari e centinaia di imprenditori e uomini d’affari sul territorio : Tripoli ha previsto di aumentare gli scambi commerciali con il Paese della Mezzaluna fino al corrispettivo astronomico di dieci miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, mentre Ankara ha proposto di abolire il visto di ingresso fra i due Paesi.

Erdoğan era stato invitato – come ospite d’onore – e calorosamente accolto da Gheddafi al recente vertice delle nazioni arabe a Sirte, e lo stesso leader libico, che in passato non aveva rinunciato a richiedere gli abituali “indennizzi” all’interlocutore – per l’occupazione ottomana, nella fattispecie – aveva consegnato al Capo del governo turco un premio di riconoscimento per i diritti umani.

La Turchia si muove sullo scenario libico con prudenza, ma, dalle prime indicazioni (contrarietà all’istituzione di una no-fly zone, freddezza sull’eventualità di interventi esterni) non sembra disposta a buttare all’aria i propri interessi e il proprio ruolo di potenza regionale in sintonia e non più in opposizione con il mondo arabo.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.