La morte della giovane Mahsa Amini – avvenuta in circostanze tuttora non chiare – ha costituito l’”occasione perfetta” per innescare un attacco su larga scala contro la Repubblica Islamica dell’Iran. Un attacco quanto mai ipocrita e pretestuoso, che ha dato il via a una serie di manifestazioni – non molto partecipate, per la verità, ma sapientemente riprese e amplificate dai media occidentali, che le hanno artatamente confuse con altre, legittime rivendicazioni di carattere economico – e di vere e proprie aggressioni e atti di guerriglia urbana, con morti e feriti fra civili coinvolti e agenti dell’ordine.

Chiariamo subito, a proposito della morte della giovane, che affermare l’inattendibilità della commissione di inchiesta nominata dalle istituzioni iraniane, perché “di parte”, è veramente assurdo, poiché è preciso interesse dello Stato iraniano precisare le modalità dell’accaduto; quello che danneggerebbe “il regime” sarebbe soltanto nascondere o trascurare il caso. Al momento, la diffusione del video con le immagini drammatiche di quanto successo sembra accreditare l’ipotesi del malore, piaccia o no a giornalisti e intellettuali occidentali; aspettiamo comunque di saperne di più, come giustamente si aspetta la famiglia della giovane.

Dicevamo di occasione perfetta del caso Amini: infatti oltre che donna, giovane e senza velo la stessa era curda, e ciò ha immediatamente favorito la simpatia di una parte dell’opinione pubblica occidentale. Tale simpatia indotta corrisponde in realtà a un preciso e importante ruolo affidato dagli atlantisti ai Curdi: contribuire in nome del separatismo curdo alla balcanizzazione del Vicino Oriente, attaccando la sovranità di ben quattro Stati: Iran, Iraq, Turchia e Siria.

Gli Iraniani conoscono perfettamente tale strategia, che si muove parallela alle accuse sui “diritti umani” e alla non conformità agli “standard occidentali”. Essa è da anni presente particolarmente nelle analisi e negli studi del Center for Strategic and International Studies, il pensatoio nato nel 1962 attraverso il quale intellettuali decisivi come Kissinger e Brzezinski hanno indirizzato la politica estera statunitense; pensatoio la cui presidenza è oggi affidata a Thomas Pritzker, miliardario ed erede di un’illustre famiglia ebreo-ucraina. In particolare nel 2019 il CSIS ha insistito nel caldeggiare l’utilizzazione dei Curdi iraniani in funzione anti-Repubblica Islamica, per spezzare la continuità territoriale e ideale fra Tehran e i suoi alleati, incluso Hezbollah. Questa strategia atlantista si combina perfettamente con quella israeliana, che si appoggia da decenni sulla notoria presenza del Mossad nel nord dell’Iraq e si prefigge la disintegrazione dell’Iraq stesso e dell’Iran rivoluzionario, o quanto meno intende crear loro seri problemi.

È da ricordare che fin dal 1979 si manifestò la prima ribellione armata dei Curdi separatisti (talvolta nominalmente autonomisti) contro lo Stato sorto dalla Rivoluzione Islamica: protagonisti i sedicenti socialdemocratici/marxisti di Komala, la cui pugnalata alle spalle della Repubblica Islamica costò – a fine 1982 – migliaia di morti. Nei decenni successivi si aggiunsero i gruppi terroristi dipendenti dal PDKI (Partito Democratico del Kurdistan Iraniano, in curdo HDKA) e del PJAK (Partito della Libertà Curdo), quest’ultimo affiliato al turco PKK, cosicché si contarono altri attentati con centinaia di vittime. Sebbene la maggioranza dei Curdi iraniani sia pacifica e rispettosa dell’ordinamento della Repubblica Islamica (che riconosce l’identità e i diritti delle minoranze etniche e religiose), la fazione armata sostenuta con armi e addestramento da Israeliani e Statunitensi continua a svolgere il compito assegnatole in vista della destabilizzazione dello Stato e della nazione iraniana. Si ricordi, fra l’altro, che Morteza Esfandiari, rappresentante del PDKI negli USA, sollecitò nel 2016 ulteriori contributi finanziari “agli amici Statunitensi per promuovere la democrazia in Iran”.

Venendo ai giorni nostri, l’agenzia iraniana Tasnim K denunciato la presenza di gruppi armati e di enormi carichi di armi consegnati ai Curdi iraniani nei centri prossimi al confine con l’Iran; i guerriglieri dipenderebbero dalle organizzazioni Komala e PDK, le cui basi nell’Iraq settentrionale sono state di conseguenza colpite nei giorni scorsi dalle forze di terra del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche con l’obiettivo di garantire una sicurezza duratura; e non solo alle frontiere, ma, considerato il massiccio coinvolgimento occidentale tramite le organizzazioni terroristiche, anche all’interno dei confini nazionali. Quanto all’evolversi della situazione, non dubitiamo che questa ennesima provocazione antiiraniana sarà contenuta: le imponenti manifestazioni popolari a sostegno della Rivoluzione Islamica avvenute a Tehran, a Qom, a Mashhad, ad Ahwaz e in altre città lo fanno presumere, così come le parole e le ammissioni  di un editorialista israeliano, Ehud Yazarı, il quale su Channel 12 Arab Affaires ha rilevato che “le autorità iraniane sono riuscite a sedare l’ondata di proteste, che per dimensioni e forza sono molto calate”.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.