I fatti li conosciamo. Più di venti morti al museo del Bardo, tra cui alcuni turisti italiani. Un paese, la Tunisia, che fino alla cosiddetta “Primavera araba” era un capolavoro di “sicurezza” per tutti.

Lo posso dire per diretta esperienza, avendovi soggiornato per due volte, un mese intero, per studiare Arabo. Non fiatava una mosca e nessuno rischiava nulla. Come dovrebbe essere dappertutto.

Poi ci son tornato a Capodanno, visitando tra le altre cose anche il museo del Bardo, ma l’aria era cambiata. Era arrivata la “primavera”, appunto. E con quella, la prospettiva di veder trasformata la Tunisia in una nuova Algeria, o in una Libia, se preferite.

Italiani che avevano aperto delle attività hanno chiuso baracca e burattini, vedendosi saccheggiare tutto nei giorni del sacro fuoco “rivoluzionario”. Altri, che c’erano tornati prima di me, facendosi una passeggiata nell’oasi di Tozeur, invece dei treni cantati da Battiato avevano trovato una banda di scugnizzi che ti mette le mani addosso. Certo “canagliume” capisce subito quando può allargarsi senza temere più il bastone del potere.

Intanto, non potendo operare alla luce del giorno coi bulldozer come in Libia, una manina fanatica appiccava il fuoco, nottetempo, al mausoleo di Sidi Bou Said, che sarebbe come dar fuoco a Sant’Antonio a Padova eccetera.

I tunisini non stanno affatto meglio di prima. Il turismo – una voce molto importante per l’economia del paese – è sempre più in sofferenza e, per quanto riguarda questa stagione, il discorso è chiuso. Ma che importa: i tunisini mangeranno “la democrazia”.

Gruppuscoli disseminati qua e là provano a giocare alla guerra (“jihadista”), trovando riparo nelle regioni orientali, adiacenti all’Algeria, e nell’estremo sud. Ma questi “ratti” (mai definizione fu più azzeccata) si annidano anche nei sobborghi delle città. Quelli della famosa miseria e disperazione che giustificherebbero, secondo i soliti sociologi, anche i furti e le rapine.

Quando sul finire del 2010 il mitico Bou Azizi si dette fuoco, fui tra i pochi, assieme agli amici di “Eurasia” e pochi altri, a mettere sul chi va là dai facili ed ingenui entusiasmi. La malafede, poi, non la prendo nemmeno in considerazione, anche se so benissimo che molti degli “esperti” che fanno “opinione” in merito avevano il compito di cantare le magnifiche sorti e progressive del mondo arabo-musulmano che finalmente avrebbe trovato “libertà” e “democrazia”: i due feticci dell’uomo moderno.

In quei primi mesi di rivoluzioni colorate eterodirette, provammo, coi nostri risicati mezzi, a far ragionare un po’. A mettere insieme i classici “pezzi del discorso” (perché l’abitudine dei più è quella di tenere separate tutte le “questioni”). Niente da fare: giornali e tv, all’unisono, andavano in brodo di giuggiole per i “ribelli siriani”, con piazza Tahrir elevata al rango di una Woodstock mediorientale.

Le università, poi, erano gli ambienti più blindati in tal senso. Tutti in preda a un delirium tremens, e basta andare a rivedersi le locandine dei “dibattiti” (?) di quei giorni, che ritraggono “giovani” arabi di belle speranze e folle in delirio sventolanti i vessilli nuovi di zecca delle loro nazioni direttamente forniti dalle sartorie di Sua Maestà britannica.

Noi, intanto, pochi pazzi “visionari” sospettati o tacciati di ogni sorta d’infamia perché non ne volevamo saperne d’accodarci all’unanime esaltazione, continuavamo a scrivere e a parlare.

Scrivevamo (e le date fanno fede) che dopo il ‘capolavoro’ della distruzione della Jamahiriyya, in Africa (non solo del Nord) ne avremmo viste di tutti i colori, e che nulla sarebbe stato più come prima, specialmente per l’Italia, contro la quale l’attacco alla Libia era stato condotto in maniera indiretta.

Scrivevamo – noi che ci beccavamo le accuse di connivenza coi “sanguinari dittatori”, quando invece c’interessava far capire qualcosa che andasse oltre la solita pappardella ottimistica – che in Siria, se mai c’era stata una protesta, non era in corso alcuna “ribellione”, bensì trattavasi di macchinazione bella e buona. Macché, non ci ascoltava nessuno, se per “nessuno” intendiamo i famosi quanto ignavi “decisori”, che trovano senz’altro più consono con la loro missione dare ascolto ad altri “analisti” ben pagati per stendere spesse coltri di disinformazione.

Ora, al punto in cui siamo arrivati, sembrerà indelicato, ma possiamo non solo affermare, bensì gridare a squarciagola, che non ci eravamo sbagliati.

Anzi, che avevamo ragione noi.

Ergo: vergogna su chi, nei giorni della “rivolta libica”, metteva in galera un rappresentante degli studenti libici in Italia con assurdi pretesti mentre altri, poi rivelatisi tagliagole professionisti, assaltavano impunemente l’ambasciata siriana.

Vergogna su tutti quelli che, fin dall’inizio, dalle università alle pagine culturali dei quotidiani, passando per gli “approfondimenti” televisivi, l’hanno messa solo e sempre sul piano della “libertà” contro la “dittatura”, della “pace” contro la “violenza”, della “tolleranza” contro il “fanatismo” e altre mammolette arcobaleniste.

Il sangue delle vittime di Tunisi è ancora caldo e c’è chi vaneggia di “nazismo islamico” e “totalitarismo”, invocando una necessaria “riforma” dell’Islam. O sono o ci fanno: appena c’è un problema lo inquadrano nei rassicuranti parametri dell’eterno “Nazifascismo” e del “medio evo” alle porte.

Attacco all’Eurasia? Geopolitica del caos? Fabbricazione del “nemico islamico”? Retroscena della genesi del cosiddetto “fondamentalismo islamico”? Venivi guardato come un eretico che si rifiuta di tributare rispetto alle sacre narrazioni provenienti dal Cairo, Tunisi, Damasco…

Vergogna anche su certi ipocriti e falsisissimi “rappresentanti dell’Islam” in Italia e in Europa, che all’inizio soffiavano sul fuoco vedendo arrivato il loro momento agognato, ed ora fanno gli “scandalizzati”. Non erano credibili allora, per chi conosce un minimo cosa sia la tradizione con la “T” maiuscola, né lo sono oggi, quando – ormai screditatissimi – propongono ancora le loro facce ad un pubblico di boccaloni per il quale “Islam” equivale a qualsiasi individuo riesca ad accreditarsi (tramite le “istituzioni” nazionali compiacenti) come suo “rappresentante”.

Vergogna anche su quei pagliaccetti caricati a molla che non hanno mai smesso di insultare l’Islam nel suo complesso, parando malamente la loro ostilità a Dio e alla religione col “laicismo”. Erano estremamente “laici” anche certi regimi crollati con le “primavere”, ma i risultati si sono visti, perché quando fai tabula rasa della religione quella al momento buono ritorna, ma fondamentalmente incompresa. Mica è un caso che la Tunisia fornisca uno dei più alti contingenti di mercenari in Siria.

Parliamo volutamente di mercenari, perché tra chi si deve vergognare, e chissà mai se lo farà, si annoverano anche gli scendiletto dell’America e dei loro vassalli “occidentali”, che utilizzano i cosiddetti “jihadisti” per tutta una serie di operazioni sia militari sia “di intelligence”, come quelle eseguite in territorio europeo ed attribuite a fantomatiche “cellule” di un ‘terrorismo in franchising’.

Ma anche queste cose le avevamo abbondantemente scritte e dette. Che dopo la fase di “Enduring Freedom” la “democrazia” sarebbe stata esportata anche con sistemi meno grossolani, mentre all’interno delle nazioni inserite nell’alveo filo-americano sarebbe stato sviluppato, a livelli parossistici, il terrore delle “quinte colonne di al-Qa’ida”, complice l’insensata politica adottata in materia di immigrazione.

E avevamo anche aggiunto, sempre prima dei fatti giunti puntualmente a confermare la bontà dell’analisi, che questa nuova maschera del “fondamentalismo islamico” fabbricato a Londra, cioè l’ISIS, avrebbe cominciato a “minacciare” l’Italia.

Ma se “nessuno” ci vuole ascoltare, che colpa ne abbiamo? Noi, quello che la nostra coscienza ci dettava l’abbiamo fatto. Si pentano, quindi, e si vergognino pure, tutti quelli che finora o non avevano capito un accidente o, molto più probabilmente, facevano finta di non capire perché gli faceva comodo fare così.

Sia chiaro: non c’illudiamo che adesso “capiranno”. No, andranno avanti diritti per la loro strada, che deve portare alla “guerra finale contro l’Islam” (per colpire l’Eurasia, ovvero il “vecchio mondo” e quindi la naturale integrazione dell’Europa occidentale col resto, in primis la Russia) e, nello specifico di questa povera Patria che non merita simili felloni al comando, la fine pura e semplice dell’Italia, sommersa da “rifugiati” delle “rivolte” che essi stessi alimentano e ridotta ad un ruolo inesistente nella politica che conta.

Enrico Galoppini


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Enrico Galoppini scrive su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” dal 2005. È ricercatore del CeSEM – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo. Diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato in Yemen ed ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane (Torino ed Enna); attualmente insegna Lingua Araba a Torino. Ha pubblicato due libri per le Edizioni all’insegna del Veltro (Il Fascismo e l’Islam, Parma 2001 e Islamofobia, Parma 2008), nonché alcune prefazioni e centinaia di articoli su riviste e quotidiani, tra i quali “LiMes”, “Imperi”, “Levante”, “La Porta d'Oriente”, “Kervàn”, “Africana”, “Rinascita”. Si occupa prevalentemente di geopolitica e di Islam, sia dal punto di vista storico che religioso, ma anche di attualità e critica del costume. È ideatore e curatore del sito "Il Discrimine".