Intervista a Claudio Mutti a cura di Ali Reza Jalali

Il tema della convivenza tra modelli culturali diversi è sempre al centro del dibattito politico e religioso dei vari paesi, soprattutto all’interno dell’Europa, visto l’aumento massiccio negli ultimi anni della popolazione immigrata nei vari Stati del vecchio continente. Soprattutto la convivenza tra la cultura europea e la comunità islamica desta particolare attenzione tra gli studiosi. Per cercare di comprendere meglio il problema abbiamo deciso di contattare Claudio Mutti, studioso, editore e direttore della rivista “Eurasia”.

 

Gentile prof. Mutti, lei ha pubblicato diversi scritti sul rapporto fra l’Europa e l’Islam quando qui la presenza musulmana non era ancora così massiccia. Come è cambiato il rapporto tra Islam ed Europa oggi rispetto agli anni ’70-’80, ovvero rispetto a quando è iniziata la prima ondata migratoria musulmana non europea verso il vecchio continente in epoca contemporanea?

Fino agli anni Settanta, molti tra gli Europei che volevano conoscere l’Islam erano animati, nella loro ricerca, dal desiderio di trovare un’alternativa al materialismo esistenziale dell’Occidente e dall’intenzione di intraprendere un cammino di realizzazione spirituale. Il primo approccio era per lo più teorico e consisteva generalmente nella lettura della bibliografia accessibile; tuttavia non mancavano i contatti diretti instaurati nel corso di viaggi in terra d’Islam né le relazioni personali intrattenute con gl’immigrati musulmani già presenti in Europa e variamente distribuiti nei nostri Paesi. Nei decenni successivi, l’arrivo massiccio di immigrati musulmani sul suolo europeo ha cambiato notevolmente le cose: la popolazione autoctona ha visto in loro i rappresentanti dell’Islam ed ha creduto di poter individuare nella loro cultura religiosa le cause dei loro comportamenti. Non vorrei esagerare, ma credo di poter dire che la più efficace propaganda antislamica sia stata svolta proprio da immigrati originari del mondo islamico; d’altronde, molti di coloro che hanno abbandonato il Paese musulmano in cui sono nati e cresciuti lo hanno fatto proprio perché attratti da un tipo di vita, quello occidentale, che viene ritenuto più favorevole a un miglioramento delle condizioni materiali d’esistenza ed esente da ogni impaccio morale di tipo tradizionale. Comunque sia, con l’intensificarsi delle ondate migratorie il rapporto tra Islam ed Europa si è fatto più teso, poiché la popolazione autoctona associa l’Islam alla stragrande maggioranza dei nuovi arrivati e lo percepisce come l’ideologia ispiratrice dell’invasione allogena.

 

Esiste una differenza di approcci in seno al mondo musulmano verso la cultura europea, o tutti i musulmani hanno lo stesso punto di vista riguardo al rapporto tra Islam ed Europa?

Esiste tra i musulmani, come d’altronde è logico che sia, un ampio spettro di posizioni nei confronti della cultura europea, anche se in questa sede non è possibile esporle se non semplificandole in modo estremamente schematico ed incompleto. Da una parte, dunque, vi sono alcune interpretazioni zelote dell’Islam che, quando non liquidano ottusamente in blocco la cultura europea come “pagana”, “politeistica” e “idolatra”, in maniera altrettanto ottusa la ritengono condizionata dalla religione dei “crociati” e intimamente connessa a quest’ultima. Ci sono poi tutte le varianti e le gradazioni di una prospettiva “riformista”, che, essendo collegata alle correnti del cosiddetto “modernismo islamico”, ritiene compatibili con l’Islam o addirittura coincidenti coi suoi precetti quei princìpi e quegli orientamenti che in Europa si sono manifestati col venir meno della visione tradizionale del mondo e della vita (scientismo, laicismo, democrazia, diritti umani, femminismo ecc.). Ma esiste anche una prospettiva opposta, condivisa in particolare da quegli Europei che hanno abbracciato l’Islam per effetto dell’opera di René Guénon o magari anche di Henry Corbin: si tratta della prospettiva in cui l’Islam converge con gli aspetti della cultura europea originati dalla saggezza tradizionale e li ripresenta in una forma adeguata alla nostra epoca.

 

Accanto alla moltitudine dei musulmani non europei residenti qui, c’è una categoria particolare di musulmani che vivono una situazione speciale. Mi riferisco ai cosiddetti convertiti, musulmani europei a tutti gli effetti. Questa categoria vive in una sorta di limbo, a cavallo di due mondi, oppure può essere definita una realtà completamente inserita nel panorama europeo o italiano?

La categoria dei musulmani d’origine europea o, se si preferisce, degli Europei di confessione islamica, non costituisce un fenomeno nuovo nella storia dell’Europa: tale categoria è apparsa a partire dall’VIII secolo, prima producendo “il magnifico universo della cultura moresca di Spagna” (Nietzsche), poi, qualche secolo più tardi, fornendo un contributo fondamentale alla costruzione dell’ “Impero Romano turco-musulmano” (Toynbee). Nella situazione attuale, che da una parte vede un’Europa americanizzata e stravolta nella sua identità e dall’altra un Islam disorientato, diviso e in preda allo sconvolgimento, i musulmani europei devono guardarsi dal pericolo mortale di contrarre le malattie che affliggono l’Europa e il mondo musulmano.

 

Si può quindi, secondo lei, essere musulmani ed europei allo stesso tempo, senza essere accusati di “tradimento” da parte degli europei (e lo stesso vale per i musulmani)?

L’opinione ufficiale pretende che le radici dell’Europa siano essenzialmente “giudaico-cristiane”. In realtà, le più antiche radici dell’Europa sono quelle greche e romane. A queste si aggiungono, certo, le radici cristiane. Ma l’Europa ha anche radici islamiche, poiché l’influsso esercitato dall’Islam sull’Europa è stato fecondo di enormi conseguenze: il primo Rinascimento europeo fiorì nella Spagna musulmana, con qualche secolo di anticipo sulla Firenze di Lorenzo il Magnifico. Perciò accusare di tradimento l’Europeo di fede islamica sarebbe come accusare di tradimento l’Europeo di confessione cristiana. Era forse un traditore Wolfgang Goethe, autore fra l’altro di un West-östlicher Divan ispirato ai temi della poesia sufica, un grande Europeo che si rivelava musulmano allorché, in una lettera del 20 settembre 1820 all’amico Carl Friedrich Zelter, confidava che cercava di “restare nell’Islam”?

 

Sarà possibile un giorno vedere musulmani e non musulmani in Europa vivere pacificamente, senza paure reciproche e diffidenze, o ciò è solo una utopia irrealizzabile? E se si può concretizzare tale speranza, quali sono le premesse necessarie?

Perché diventi possibile una prospettiva di pluralismo confessionale equilibrato e legale, l’Europa dovrebbe essere in grado di recuperare, in una forma rinnovata e adeguata alla nostra epoca, quel modello imperiale che già in età romana garantì la pacifica convivenza e la libertà di culto a comunità religiose diverse. Ma una proposta di questo genere presupporrebbe un cambiamento di mentalità che oggi è difficile da immaginare, una vera e propria rivoluzione culturale, tale da far piazza pulita della concezione secolarizzata dello “Stato laico”, ossia di quel tipo di Stato che per principio ignora il fatto religioso oppure nasconde dietro la maschera della “tolleranza” la propria indifferenza nei riguardi di esso, riducendolo comunque ad una questione personale e privata.

 

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Claudio Mutti, antichista di formazione, ha svolto attività didattica e di ricerca presso lo Studio di Filologia Ugrofinnica dell’Università di Bologna. Successivamente ha insegnato latino e greco nei licei. Ha pubblicato qualche centinaio di articoli in italiano e in altre lingue. Nel 1978 ha fondato le Edizioni all'insegna del Veltro, che hanno in catalogo oltre un centinaio di titoli. Dirige il trimestrale “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”. Tra i suoi libri più recenti: A oriente di Roma e di Berlino (2003), Imperium. Epifanie dell’idea di impero (2005), L’unità dell’Eurasia (2008), Gentes. Popoli, territori, miti (2010), Esploratori del continente (2011), A domanda risponde (2013), Democrazia e talassocrazia (2014), Saturnia regna (2015).