In questa settimana, la cronaca ha sicuramente sopravanzato qualsiasi altra considerazione. L’incontro di quattro ore avuto domenica 30 marzo (1) a Parigi fra Kerry e Lavrov ha lasciato ciascuna delle parti nelle rispettive posizioni. Gli USA vogliono il ritiro di tutte le truppe russe al confine, il ritiro dalla Crimea ed il coinvolgimento del (per loro) legittimo governo ucraino al tavolo delle trattative. Mosca reagisce negando ogni legittimità all’attuale governo, sostenuto da forze fasciste e non legittimato dal consenso popolare in alcun modo. Inoltre, Mosca reclama una configurazione del territorio ucraino in più stati indipendenti in modo da salvaguardare i diritti delle minoranze. Ciò non di meno, si sono registrate alcune riflessioni degne di essere portate all’attenzione. Partirei da quelle più eccentriche. La prima (2) di Fareed Zakaria – columnist di Fox TV, notoriamente sulle posizione del GOP in USA – secondo il quale in Crimea è avvenuta un ‘invasione da parte russa. Compito degli USA è dimostrare agli alleati che questi comportamenti – propri del XIX secolo- rischiano di far precipitare un ordine internazionale che-dal 1945 – ha visto il più basso numero di conflitti nella storia.

Ergo, la Russia è la vera fonte di destabilizzazione dell’Ordine (3) Internazionale. L’ altra, non meno sorprendente, è su Foreign Affairs (3), secondo il cui editorialista, data l’inanità delle sanzioni comminate da USA e UE, solo la sistematica rappresentazione della Russia quale paese instabile e inaffidabile davanti agli investitori, può nel lungo termine portare risultati concreti: non è dato a sapere come gli stessi investitori abbiano reagito di fronte alla decisione di Putin di imporre le transazioni , da e verso la Russia, col rublo il cui valore viene ancorato alle effettive e cospicue riserve auree del paese. Interessante invece l’analisi su Stratfor(4). Dall’incontro di Parigi, sono risultate semplicemente meglio definite le posizioni in campo di Russia e USA. La Russia ritiene che gli incidenti in Ucraina nei mesi scorsi siano stati fomentati dalle intelligence occidentali, senza il cui intervento tutto si sarebbe risolto in poco tempo, mantenendosi Yanukovich al potere. Non solo, dall’angolazione russa anche la stessa Rivoluzione Arancione avrebbe avuto la medesima connotazione: tutto questo porta a considerare gli USA come destabilizzatori della sfera di influenza storicamente acquisita dalla Russia nell’area.

Per gli USA, la Russia dispone di due leve. La prima militare, dato che gli USA riconoscono la propria inferiorità nella regione e questo è in definitiva il vero motivo che li induce a mantenere aperto il canale diplomatico, dato che vi vorrebbero ben più di sei mesi per mettere in piedi un apparato controffensivo credibile sul piano militare. In secondo luogo, l’alleato europeo economicamente e politicamente più potente – la Germania –ha relazioni speciali e dirette con Mosca, specie per ciò che concerne le forniture di energia e non è certo disposto a fare saltare per obiettivi poco chiari e confusi. In definitiva, secondo l’editorialista George Friedman, USA e Russia hanno bisogno ancora l’uno dell’altro. L’Europa è un soggetto misterioso e sfuggente, dove ognuno gioca per sé guardando ai propri interessi energetici, senza identità politica comune. La Russia potrebbe teoricamente soffiare sul vento nazionalista del Baltico (in area Nato) o, su un piano astratto pensare di invadere l’Ucraina ma sono opzioni poco realistiche, così come, per gli USA, tagliare fuori l’unica controparte sicura geopoliticamente quale la Russia. Sulla stessa linea è assestato anche John Beyrle, ex ambasciatore USA a Mosca con l’Amministrazione Bush, che, nell’intervista con Foreign Affairs(5), si domanda se la vicenda in Crimea rappresenti una delle fasi ricorrenti di “up & down “nelle relazioni russo americane, o costituisca un punto di rottura. Secondo il diplomatico, gli spazi per una composizione diplomatica sussistono anche in considerazione – non secondaria – che verso la Russia USA e UE hanno visioni completamente differenti sul modo di intendere la partnership. Interessante infine l’editoriale di Masha Gessen sul WP (6) che invitiamo a leggere parallelamente al saggio di Dugin, relativo alla dimensione ideologica della guerra contro la Russia, pubblicato giorni addietro su Eurasia. L’editorialista statunitense è la prima finora a mettere l’accento sulla visione che, a suo giudizio, anima Putin contro l’Occidente ovvero la difesa della Tradizione (un esempio su tutti, la guerra omofoba dichiarata e praticata manu militari dal Cremlino) contro il relativismo morale dell’Occidente: per la prima volta, si guarda oltre l’aspetto militare ed economico per comprendere cosa vi sia in atto realmente.

 

NOTE

(1) http://www.bbc.com/news/world-europe-26814651

(2) http://www.washingtonpost.com/opinions/fareed-zakaria-obama-pursues-the-right-response-to-russias-19th-century-behavior/2014/03/27/a7b8dc2a-b5df-11e3-b899-20667de76985_story.html

(3) http://www.foreignaffairs.com/articles/141076/tom-keatinge/sanctions-score

(4) http://www.stratfor.com/weekly/russia-and-united-states-negotiate-future-ukraine?utm_source=freelist-f&utm_medium=email&utm_campaign=20140401&utm_term=Gweekly&utm_content=readmore

(5) http://www.cfr.org/russian-federation/west-breaking-point-russia/p32681?cid=rss-analysisbriefbackgroundersexp-is_the_west_at_a_breaking_poin-032814

(6) http://www.washingtonpost.com/opinions/russia-is-remaking-itself-as-the-leader-of-the-anti-western-world/2014/03/30/8461f548-b681-11e3-8cc3-d4bf596577eb_story.html


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