Il sistema internazionale degli Stati è, di per sé, anarchico. Non esiste infatti un’autorità sovraordinata agli Stati stessi che abbia il potere di ordinarli e che comandi su di loro, non esiste una specie di super-stato. La “comunità internazionale” quindi, al fine di mantenere una forma di convivenza, ha avuto nel tempo la necessità di dettare delle regole di pacifica convivenza, che definiscono i comportamenti che gli attori possono tenere sia in tempo di pace che di conflitto. Il diritto internazionale, sia esso scritto o meno, compone l’architettura di queste regole. Si stabilisce convenzionalmente la Pace di Westfalia del 1648 come spartiacque che inaugura il sistema degli Stati e la nascita del diritto internazionale quale lo conosciamo oggi.

Larga parte delle norme non sono espressamente scritte, sono per così dire consuetudine tra i Paesi. Per quanto le organizzazioni internazionali, l’ONU in primis, abbiano cercato negli anni di codificare e scrivere nero su bianco le norme di convivenza civile tra gli Stati riportando quanto era consuetudine in accordi veri e propri (convenzioni di codificazione), il lavoro da svolgere è ancora notevole. Il diritto internazionale stabilisce i comportamenti da tenersi tra gli Stati, dal punto di vista territoriale, commerciale, della cittadinanza e dell’uso della forza armata. Arriva a normare persino la disciplina degli interventi militari e la loro liceità. L’utilizzo della forza da parte degli Stati non è, infatti, sempre illecito.

Nel caso dell’attualissimo conflitto siriano, ad esempio, è necessario uno sforzo notevole per comprendere quali Stati stiano rispettando il diritto internazionale generalmente inteso.

Tornando all’uso della forza, i casi più noti di impiego legittimo della forze armate sono quelli della legittima difesa, dell’estremo pericolo e dello stato di necessità. In questi casi, dettati dal principio dell’autoconservazione statale, è possibile mobilitare eserciti ed impiegare armamenti. È prevista inoltre per uno Stato la possibilità di porre in essere delle contromisure di tipo militare, oltre che alle più comuni di tipo commerciale, qualora abbia subìto un illecito, a patto che questa contromisura si tenga in tempi ragionevoli e sia proporzionata all’illecito subìto, donde evitare una escalation di ritorsioni e di violenze. Oltre a questi, più classici, vi è la cosiddetta disciplina del consenso. Recita il Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati: ‘Il consenso validamente dato da uno Stato alla commissione da parte di un altro Stato di un atto determinato, esclude l’illiceità di tale atto nei confronti del primo Stato sempre che l’atto medesimo resti nei limiti del consenso’.[1] In altri termini, qualsiasi azione che di per sé avrebbe natura illecita, come l’invasione o il bombardamento, compiuta nei confronti di uno Stato il quale accorda il consenso, non è illecita.

In tal senso, quindi, se uno Stato sovrano chiede ad un altro Stato di essere invaso o bombardato a scopo difensivo, non siamo di fronte ad un illecito. Questo è, ad esempio, il comportamento concordato tra la Siria e la Russia. Il presidente Bashar Al-Assad ha formalmente chiesto a Vladimir Putin, a fine 2015, di intervenire su suolo siriano per porre fine alla rivolta delle forze ribelli, tra le quali sono presenti gruppi fondamentalisti, primo tra tutti lo Stato Islamico. Secondo quanto osservabile pertanto, l’intervento militare russo in Siria è pienamente lecito e previsto dal diritto internazionale generale. Assad ha richiesto ad alcuni Stati stranieri, con invito esplicito alla Russia e all’Iran, di essere assistito militarmente contro gli insurrezionisti che minacciano la sovranità statale della Siria. Dietro questo consenso, le truppe russe e iraniane sono potute entrare in Siria.

Orbene, in questi anni però ci sono state altre forze che sono intervenute in Siria. Ad esempio sono noti gli interventi di bombardamento nel 20l5 e 2016 da parte della Francia e degli Stati Uniti contro il sedicente Stato Islamico. Questi ultimi, sebbene non chiamati in causa direttamente da alcuna forza già presente nel conflitto, hanno dato esecuzione alla Risoluzione 2249/2015 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la quale condannava l’operato dell’ISIS (ISIL) e di altre organizzazioni terroristiche tra le quali Al-Nusra e Al-Qaida, impegnando gli Stati della comunità ad attaccare e reprimere lo Stato Islamico come potevano.[2]

Bisogna comunque osservare che l’unico organo esistente che può decretare un intervento militare da parte della comunità degli Stati è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il quale delibera tramite Risoluzioni a maggioranza, con effetto vincolante. Si tiene a precisare che, oltre ad una maggioranza di 9 membri su quindici, è necessario che i cinque membri permanenti del Consiglio votino tutti a favore. È sufficiente infatti un solo voto contrario di un membro permanente perché la Risoluzione non sia approvata.[3] Il Consiglio di Sicurezza decide a tutti gli effetti gli interventi militari della comunità internazionale atti a ristabilire la pace.

Tradizionalmente, il diritto Internazionale ha disciplinato l’uso della forza in caso di aggressione subìta o per consenso, altrimenti secondo intervento del Consiglio di Sicurezza, esclusivamente al fine di ristabilire la pace tra due o più Stati sovrani. Tuttavia, dopo la fine della Guerra Fredda e tramite una più efficace estensione dei mass media nei teatri di guerra, si è andata a sviluppare una forte sensibilità per i diritti umani ed un’attenzione ai crimini di guerra. La Comunità internazionale non era solita intervenire per presunti atti illeciti all’interno di Stati sovrani. L’esercizio della forza in un determinato territorio è considerata prerogativa esclusiva dello Stato, non può essere svolta da altri, si tratterebbe di un grave abuso. Tuttavia, la crescente sensibilità per i diritti umani ha modificato il modo di agire del sistema di Stati. In una concezione cosmopolita, inoltre, si è arrivati a ritenere che qualsiasi atto contro l’umanità è un atto compiuto contro qualsiasi cittadino del mondo e conto la popolazione globale nella sua interezzaa. Pertanto, qualora la Comunità stessa dovesse ravvisare profili di gravi violazioni (le c.d. gross violations) all’interno di uno Stato, può arrivare a chiedere tramite il Consiglio di Sicurezza, un intervento militare.

Per definire questa fattispecie è stata utilizzata l’espressione “responsabilità di proteggere“, per la prima volta nel 2001, in occasione dell’istituzione di una Commissione sull’intervento e sulla sovranità dello Stato[4]. Questa commissione di lavoro fu istituita a seguito della richiesta di Kofi Annan di fare luce sulla possibilità della Comunità di intervenire per scopi umanitari.

Passando attraverso gli anni e attraverso lo scoppio della guerra in Iraq nel 2003, il concetto fu poi definito al vertice mondiale delle Nazioni Unite del settembre 2005, nel quale tutti gli Stati membri hanno condiviso la responsabilità di ciascuno Stato di proteggere tutte le popolazioni colpite da genocidi e pulizie etniche, dai crimini di guerra, e da gravi violazioni contro l’umanità nella sua interezza. Quando uno Stato non riesce a rispondere a tale responsabilità, tutti gli Stati (leggasi la “comunità internazionale”) hanno la responsabilità di aiutare le persone minacciate di tali crimini e proteggerle.

Qualora i mezzi pacifici, tra cui quelli diplomatici, si rivelino inadeguati e le autorità nazionali incapaci di proteggere le proprie popolazioni o qualora addirittura le stesse autorità dimostrino di essere coloro che compiono particolari efferatezze, la comunità internazionale deve agire collettivamente in modo tempestivo e decisivo, attraverso il Consiglio di sicurezza e comunque in conformità con la Carta ONU.

Una importante dimostrazione del principio della “responsabilità di proteggere” si è vista a seguito di attacchi diffusi e sistematici contro la popolazione civile da parte del regime libico; il Consiglio di sicurezza dell’ONU, nel febbraio 2011, ha adottato all’unanimità la risoluzione 1970, facendo esplicito riferimento alla responsabilità di proteggere la popolazione libica colpita dal leader Gheddafi. Denunciando una violazione grave e sistematica dei diritti umani in una Libia in piena guerra civile, il Consiglio di Sicurezza ha chiesto non solo la cessazione delle violenze, ma citando la responsabilità delle autorità libiche di proteggere la loro popolazione, ha poi adottato la Risoluzione 1973, imponendo il cessate il fuoco immediato e autorizzando gli Stati membri ad adottare “tutte le misure necessarie”[5] per proteggere i civili sotto minaccia di attacco. Pochi giorni dopo la NATO ha applicato la Risoluzione intraprendendo attacchi aerei contro le forze di Gheddafi e destituendo l’allora capo di Stato.

La disciplina della “responsabilità di proteggere” è ad ogni modo ancora un approccio molto recente alle crisi umanitarie internazionali, che comincia ad avere qualche seppure debole riscontro in termine di consuetudine.

Rimane certo e sicuro però che qualsiasi intervento ai fini di stoppare una  grave violazione dei diritti di una popolazione, deve essere deciso dal Consiglio di Sicurezza come previsto dalla Carta delle Nazioni Unite all’articolo 42, l’unica base giuridica che preveda come decidere l’uso della forza da parte della “comunità internazionale”.[6]

Tornando al complesso teatro siriano, ad oggi non risulta vi sia una formale condanna della Siria da parte delle Nazioni Unite, con previsione di destituzione del regime di Assad e, ancor di più, non esiste alcun tipo di Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che solleciti l’uso della forza per fermare lo Stato siriano dal compimento di atti di particolare efferatezza.

Sembra chiaro pertanto che il recente intervento unilaterale degli Stati Uniti con attacco missilistico ai danni della base siriana di Al-Shayrat, si prefigura come illecito internazionale essendo un’aggressione a tutti gli effetti di uno Stato nei confronti di un altro Stato sovrano.

L’aver semplicemente mostrato le foto di alcuni bambini moribondi a seguito di un presunto attacco chimico, non costituisce un titolo in mano ad alcun Stato per formalizzare l’uso della forza senza alcuna Risoluzione del Consiglio di Sicurezza.

Purtroppo, nonostante i fiumi di pronunce giurisprudenziali internazionali ed analisi a riguardo, gli USA non hanno dimostrato negli ultimi anni nessuna particolare intenzione di voler seguire le consuetudini e le convenzioni presenti in materia di intervento militare. Mostrano non solo di non accettare alcun limite alla loro discrezionalità, ma inoltre è evidente la loro intenzione di provare a creare una nuova consuetudine, apparentemente accettata da tutti i leader mondiali che hanno condiviso l’attacco. Mirano cioè ad ottenere una accettazione de facto che si possa intervenire unilateralmente in qualsiasi teatro nel quale vi siano presunte violazioni di diritti umani o si ritenga siano compiuti ”crimini di guerra”, senza alcuna decisione formale della comunità internazionale e senza alcun tipo di regola scritta. Questa prassi sarà difficile da far passare perché lascerebbe in capo a chiunque la possibilità di intervenire in qualsivoglia teatro. Resta tuttavia a prescindere da questo, che gli Stati Uniti si stanno macchiando di un grave illecito che difficilmente sconteranno penalmente.


 

[1] La Commissione del diritto internazionale, organo sussidiario permanente delle Nazioni Unite, ha prodotto nel 2001 un progetto di articoli sulla responsabilità degli stati per atti internazionalmente illeciti. Questa convenzione è tesa, assieme a molte altre, a codificare le consuetudini tra stati mettendole nero su bianco.

[2] Condanna inoltre in maniera assoluta i continui, sistematici ed estesi abusi di massa dei diritti umani e le violazioni del diritto umanitario, … condotti da ISIL, conosciuto anche come Da’esh;

Riafferma che coloro che sono responsabili … di violazioni o abusi dei diritti umani dovranno risponderne personalmente;

Fa appello agli Stati Membri che … affinché prendano tutte le misure necessarie, in accordo con il diritto internazionale, in particolare con la Carta delle Nazioni Unite, e anche con il diritto internazionale umanitario…  raddoppiare e coordinare gli sforzi per impedire e sopprimere gli atti terroristici commessi in maniera specifica da ISIL, conosciuto anche come Da’esh.. Sollecita gli Stati membri a intensificare gli sforzi per fermare l’afflusso di combattenti terroristi stranieri verso Iraq e Siria e per impedire e sopprimere il finanziamento del terrorismo e sollecita tutti gli Stati Membri a continuare ad attenersi pienamente alle risoluzioni sopracitate;

[3] I membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, aventi inoltre diritto di veto, sono i risultanti vincitori del secondo conflitto mondiale ed in particolare, USA, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia. Gli altri 10 membroi sono votati dall’assemblea a rotazione e rimangono ciascuno in carica per due anni.

[4] (ICISS)

[5] Si veda Risoluzione 1973/2011 UNSC.

[6] Art. 42 Carta ONUSe il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite.” 


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Laureato Magistrale in Relazioni Internazionali all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, ha conseguito il Master in Diplomacy presso l’Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI).