Abstract

L’imminente referendum islandese (6 Marzo 2010) sulla nuova versione del progetto di legge “Icesave” offre una buona occasione per sottolineare la versatilità della scienza politica, così come di sue concrete numerose applicazioni. L’approccio adottato consiste in una prospettiva elettorale basata su semplici ed intuitivi postulati. Dato il suo ambiente politico, la sua struttura sociale e la sua storia recente, l’Islanda costituisce un “laboratorio naturale” ai fini di tale sforzo. Al termine di questo scritto prevalentemente empirico, viene suggerito un possibile esito del referendum stesso: non si tratta di una semplice previsione, ma dell’approdo conclusivo di un intero costrutto teorico-pratico. Talvolta, come qualcuno ebbe a dire, il percorso è più importante della meta. Questa è una di quelle volte.

Introduzione

Il principale scopo di questo scritto è di dimostrare le grandi potenzialità dello studio dei processi elettorali e, come conseguenza, dei sistemi elettorali, della storia elettorale e della geografia elettorale. In particolare, in questo caso verrà mostrato come tale potenziale includa la possibilità di effettuare previsioni (o meglio, stime) circa gli esiti di differenti eventi politici anche solamente tangenti ai fenomeni elettorali in senso stretto.

È quasi ovvio coma una più diretta analisi possa essere svolta attraverso semplici sondaggi, raccogliendo opinioni circa questo o quel particolare evento politico. Tuttavia, più “diretto” non significa necessariamente più “accurato”. Nei sondaggi ritroviamo spesso tutte le debolezze della stessa statistica sociale. Che campione è stato utilizzato? Tale campione è significativo? Qual è stato l’approccio degli intervistatori nei confronti degli intervistati? Possiamo estendere il campione all’intera popolazione? Questi sono solo alcuni dei quesiti che possono essere sollevati contro la presunta attendibilità dei sondaggi.

Al contrario, l’approccio qui seguito, sebbene lontano dall’essere perfetto, è principalmente basato su elementi certi e completi: i dati elettorali. Questa componente statistica viene combinata ad un’analisi dei principali attori politici prendenti parte al processo elettorale, cioè i partiti politici. Al fine di raggiungere una conclusione plausibile, un accurato studio comparato del contesto storico, sociologico, economico e politico di riferimento si rivela necessario. Peraltro, proprio quest’ultima parte dell’analisi contribuisce fortemente a rendere imperfetto il risultato finale (come sempre accade nelle scienze sociali), anche se (ritengo) maggiormente ben fondato.

La strada verso il referendum

Alcuni anni fa quasi nessuno sembrava accorgersi che l’Islanda, accumulando vulnerabilità, si stesse dirigendo dritta sull’orlo della bancarotta. Dopo anni di crescita economica senza precedenti, l’euforia collettiva faceva “dimenticare” a molti osservatori come la base di quel miglioramento fosse instabile o, addirittura, inesistente.

Oltre ad avere un paesaggio naturale unico al mondo, l’Islanda vanta anche un ambiente politico del tutto particolare. Non è possibile comprendere gli avvenimenti che hanno sconvolto questo remoto paese negli ultimi anni, senza considerare la struttura di potere di tipo “vichingo”, basata sulla divisione in clan, che pervade tutte le istituzioni politiche. Roger Boyes è persino arrivo a paragonare gli aspetti più pronunciati di tale struttura ad una mafia depurata dai suoi elementi più violentii. Nella “terra del ghiaccio” il sistema partitico, i media ed il potere economico sono spesso stati , e sono tuttora, strettamente connessi. È molto difficile o quasi impossibile tracciare una chiara linea di divisione tra di essi. Il controllo di molti settori chiave del paese (anzitutto, i settori aereo, bancario, farmaceutico ed alimentare) giace nelle mani di una ristretta cerchia di persone: i cosiddetti “oligarchi”, i quali detengono vasti legami con l’intero apparato politico.

Il fatto che il termine “oligarca” richiami alla mente l’epoca Eltsin vissuta dalla Russia non è casuale. Proprio come Mosca, Reykjavik subì una vera e propria “terapia shock”. In questo caso il “terapista” non portava il cognome Gajdar o Čubais, bensì Oddsson, il nuovo Primo Ministro islandese nel 1991. Davíð Oddsson, già sindaco di Reykjavik dal 1982 al 1991, considerandosi il “Thatcher islandese”, diede inizio ad un vasto piano di privatizzazione. Il suo (peraltro lodevole) tentativo era quello di combattere la cronica inflazione a doppia cifra che affliggeva da anni il paese e di trasformare l’Islanda da una stanca e fragile economia basata sul pesce, ad una “nuova economia” basata sulla finanza più avanzata e sulle nuove tecnologie: in altre parole, un economia capace di crescere in maniera rapida e decisa.

In realtà i risultati furono modesti, anche se comunque significativi: dal 1995 al 2004 (anno nel quale Halldór Ásgrímsson sostituì Oddsson come Primo Ministro), il PIL crebbe in media del 3%. Tuttavia non è questo l’aspetto più rilevante ai fini di questa analisi. Più interessante è certamente notare che l’ascesa di Oddsson costituì un vero e proprio spartiacque nella storia islandese. Anzitutto il Partito Indipendentista, il principale protagonista della vita politica di questo paese sin dal 1944 (anno in cui il “plebiscito dei quattro giorni” pose fine all’unione con la Danimarca, dando vita alla Repubblica d’Islanda), riuscì a posizionare un proprio uomo come Primo Ministro, dopo quasi dieci anni di controllo della carica da parte del nemico-alleato Partito Progressista (se escludiamo la breve parentesi del governo di Þorsteinn Pálsson). Inoltre, grazie ad Oddsson, il cosiddetto “Polipo”, un gruppo di potere economico costituito da magnati (su tutti, Björgólfur Guðmundsson, oggi ex presidente di Landsbanki) strettamente collegati al Partito Indipendentista, poté ritornare ad esercitare grande influenza sulle istituzioni politiche islandesi. Il terzo aspetto concerne le conseguenze delle privatizzazioni iniziate da Oddsson. Come ho già accennato precedentemente, questo (non sempre chiaro) processo aprì nuove opportunità e diede vita ad una nuova classe di oligarchi, alcuni di essi assorbiti all’interno del “Polipo”, altri in aperto contrasto con esso (è questo il caso, per esempio, di Jón Ásgeir Jóhannesson).

Nel frattempo, tutte le vulnerabilità del paese non facevano che aggravarsi. È facile immaginare come, nel contesto appena descritto, i responsabili del monitoraggio economico (sia a livello istituzionale, sia nei media) fingessero semplicemente (come in molti altri paesi) che la situazione fosse pienamente sotto controllo e che tutto andasse per il meglio. Le connessioni di potere erano troppo forti ed i controllori avevano ottenuto la loro posizione solo perché le persone che (teoricamente) avrebbero dovuto essere controllate li avevano inseriti in quelle posizioni. Nei primi anni dell’ultimo decennio il problema del deficit islandese persisteva, mentre la debolezza della valuta domestica (corona) rendeva il paese estremamente vulnerabile agli attacchi speculativi. Con lo scopo di stabilizzare la corona, le autorità islandesi tentarono di ottenere nuova valuta estera incrementando i tassi d’interesse. Un vasto fenomeno di carry trade ebbe luogo: investitori internazionali prendevano a prestito soldi in mercati caratterizzati da bassi tassi d’interesse (ad esempio, in Svizzera) per investirli successivamente in Islanda in obbligazioni a lungo termine. Un enorme flusso di capitale sommerse un mercato di appena 320 mila abitanti. Le banche islandesi, il perno stesso del disegno di Oddsson, dopo essersi espanse senza scrupoli nei mercati stranieri, ritrovarono i loro asset enormemente rigonfiati. Parallelamente, il rischio di un collasso dell’intero sistema finanziario islandese aumentava vertiginosamente. All’epoca Oddsson ricopriva il ruolo di governatore della Banca Centrale (2005-2009). Le sue politiche monetarie non fecero che peggiorare la situazione: tentando di raffreddare l’economia, l’istituzione da lui diretta ritenne di dover aumentare ulteriormente i tassi d’interesse, ottenendo così, a causa di nuovi afflussi di capitale, l’esatto effetto contrario. Intanto, nello Spazio Economico Europeo (formato dai paesi membri dell’Unione Europea, più i membri dell’EFTA eccetto la Svizzera) le piccole ma aggressive banche islandesi accumulavano debiti maggiori che lo stesso PIL dell’Islanda. Eventuali salvataggi da parte delle autorità di Reykjavik erano ormai semplicemente impensabili. Così, bastò che nell’Ottobre 2008 l’agenzia di rating Fitch esprimesse dubbi circa la sostenibilità del debito sovrano islandese, per far sì che il paese passasse in un momento da una fase di euforica espansione, ad una profonda depressione.

Il crollo finanziario ed economico islandese, peggiorato dagli effetti della crisi globale esplosa nello stesso periodo negli Stati Uniti, produsse un ovvio (ma storico) cambio di regime a Reykjavik. Dopo quattordici settimane di proteste contro le modalità attraverso le quali l’esecutivo stava fronteggiando la situazione, Geir Haarde (Partito Indipendentista) rassegnò le dimissioni da Primo Ministro. Dopo un periodo di governo temporaneo retto dalla coalizione Alleanza Socialdemocratica-Sinistra/Movimento Verde, il 25 Aprile 2009 si tennero finalmente elezioni politiche anticipate. L’alleanza che aveva guidato il governo ad interim si aggiudicò la consultazione e Jóhanna Sigurðardóttir (Alleanza socialdemocratica), già Ministro per gli Affari Sociali e la Sicurezza Sociale all’interno dell’esecutivo di grande coalizione guidato da Haarde, divenne Primo Ministro. Il Partito Indipendentista, al potere da 18 anni, perse un terzo dei voti e nove seggi nell’Alþingi, il parlamento unicamerale (63 seggi in tutto) dell’Islanda (ed uno dei più antichi al mondo).

Ovviamente, le conseguenze del collasso islandese non furono solo politiche. Nell’Ottobre 2008 le tre principali banche dell’Islanda (che insieme formavano l’85% dell’intero sistema bancario del paese) erano immediatamente crollate; Landsbanki (e la sua banca online, Icesave) era tra queste. Fu subito chiaro che il Fondo Islandese di Garanzia dei Depositi, stabilito in conformità alla legislazione UE al fine di coprire le perdite derivanti da fallimenti bancari, non avrebbe potuto coprire se non una minima parte delle effettive perdite sofferte dai titolari di conti Icesave (tra di essi, circa 350 mila cittadini britannici ed olandesi). Interessante notare, peraltro, l’ambiguità delle regole comunitarie in tema di operazioni bancarie trans-frontaliere. Il fatto che il Fondo Islandese di Garanzia dei Depositi contenesse appena l’1% del totale effettivo dei fondi depositati era perfettamente legale: in altre parole, la normativa UE non prevedeva l’eventualità di un crollo bancario di tipo sistemico. Aggiungiamo inoltre che le regole comunitarie non prevedevano neppure che, in caso di fallimento, lo schema di assicurazione dei depositi di una banca privata dovesse divenire di responsabilità del governo di quello specifico paese dove la banca stessa aveva sede legale.

Il 5 Giugno 2009 l’Islanda siglò accordi bilaterali con Regno Unito ed Olanda: il Fondo Islandese di Garanzia dei Depositi avrebbe ricevuto un prestito (garantito dal Tesoro islandese) dai due paesi (2.3 miliardi di sterline ed 1.33 miliardi di euro), al fine di ripagare totalmente i risparmiatori britannici ed olandesi. In totale, la somma ricevuta corrispondeva al 40% del PIL islandese. Questa avrebbe dovuto essere ripagata tra il 2017 ed il 2023, in modo da non coincidere con il periodo di restituzione dei prestiti che l’Islanda aveva ricevuto dal FMI durante il 2009.

Il 28 Agosto l’Alþingi approvò (34-15, con 14 astensioni) il disegno di legge “Icesave” (Icesave bill). Secondo tale progetto, Londra e l’Aia, sarebbero state ripagate in maniera compatibile alla crescita del PIL islandese. La risposta non si fece attendere: Regno Unito ed Olanda richiesero che queste precondizioni unilaterali venissero inserite nello schema di negoziati bilaterali che aveva portato agli accordi di Giugno, mentre nel frattempo i due paesi continuavano a bloccare la seconda tranche di prestiti promessa dal Fondo Monetario Internazionale all’Islanda. Emendato il disegno di legge approvato in Agosto, gli Accordi bilaterali di Accettazione e Modifica vennero siglati il 19 Ottobre 2009. Un secondo Icesave bill, conforme a questi ultimi accordi venne approvato dal parlamento islandese, con una maggioranza risicata (33-30, nessun astenuto), il 30 Dicembre 2009. Tuttavia il Presidente della Repubblica Ólafur Ragnar Grímsson rifiutò di firmare immediatamente il documento, chiedendo tempo per valutarlo. Due giorni più tardi, una petizione firmata da 56 mila cittadini islandesi (il 25% dell’intero elettorato) chiedeva al Presidente di non apporre la sua firma sul nuovo progetto di legge approvato dal parlamento. Poche ore dopo le firme divennero 61 mila. Così Ólafur Ragnar Grímsson annunciò la sua decisione: non avrebbe firmato. Inoltre, conformemente a quanto previsto dall’Art. 26 della Costituzione, chiese di convocare al più presto un referendum: sarebbe stato il popolo islandese a decidere se confermare o meno il voto del parlamento. Mentre i tre governi continuano tuttora a negoziare intensamente nuovi termini di accordo (in particolare per quanto riguarda i tassi d’interesse dovuti a Londra e l’Aia), le autorità islandesi hanno da tempo fissato al 6 Marzo la data del referendum.

Cosa dicono i sondaggi

Navigando in Internet, sembrerebbe che ogni analista od osservatore abbia le proprie fonti, i propri dati ed i propri sondaggi. È impressionante quanto questi differiscano tra loro: è praticamente impossibile riuscire a tracciare dei trend complessivi nelle opinioni della popolazione. Alcuni parlano del 65% di islandesi che vorrebbe vedere respinta la nuova versione del disegno di legge, altri addirittura dell’80%. In Gennaio, un sondaggio mostrava come la maggioranza dell’elettorato avrebbe votato contro il progetto di legge, mentre un altro sondaggio di Capacent Gallup affermava l’esatto contrario (53% favorevole, contro il 41% contrario). Un’indagine di MMR, per il giornale Viðskiptablaðið, sosteneva invece che il 70% avrebbe votato contro il passaggio del nuovo progetto di legge; pochi giorni prima, la stessa MMR parlava invece di un 58%ii.

Questa varianza nei risultati è la conseguenza di differenti metodi statistici usati, così come di diversi campioni considerati. Tentiamo ora di costruire una ben motivata stima del più probabile risultato del referendum, usando un più ampio “approccio elettorale”.

L’approccio elettorale

Se presupponiamo la presenza di un elettorato razionale, il primo postulato della nostra analisi, il dato iniziale (quasi certo) è che il risultato minimo dei voti contrari alla nuova versione del disegno di legge Icesave dovrà corrispondere a circa il 27% dell’elettorato. Tale percentuale corrisponde alle 61 mila firme raccolte dal movimento InDifesa. È ovvio considerare che le persone che in poche ore hanno sottoscritto la petizione confermino il loro orientamento anche in sede di referendum.

L’altra precondizione riguarda il sistema partitico. Come la scienza politica ha sempre insegnato, una delle principali funzioni dei partiti politici è quella di semplificare la realtà all’elettorato; in altre parole, ridurre le scelte e le opzioni politiche. In questo orizzonte, guardare al sistema partitico significa posare lo sguardo sull’umore politico generale della popolazione e sui suoi trend. Se prestiamo attenzione ai risultati elettorali e combiniamo tali risultati con differenti discipline come la geografia, la storia e la sociologia, potremo ottenere dati significativi circa le fratture politicheiii, la distribuzione territoriale delle opinioni politiche, la variazione cronologica delle posizioni politiche presso le diverse classi sociali, ecc. Inoltre, se considerassimo un sistema politico caratterizzato da una rappresentanza proporzionale (come l’Islanda), potremmo ottenere rilevanti informazioni anche solo guardando direttamente allo stesso parlamento e prestando attenzione alle relazioni di potere presenti al suo interno: una legge elettorale proporzionale fotografa la realtà, proiettando quest’immagine in sede parlamentare. Nel nostro caso si consideri tra l’altro che, al fine di equilibrare il peso elettorale tra i diversi distretti dell’Islanda (le aree rurali vantavano una rappresentatività per abitante maggiore dell’area urbana di Reykjavik), un emendamento costituzionale del 1999 ridusse da 8 a 6 le circoscrizioni, rendendo l’intero sistema ancor più proporzionale.

Combinando il 27% del movimento InDifesa con il nostro approccio basato sui partiti, incontriamo un primo problema. Che tipologie di persone fanno parte di tale movimento? Si tratta di un movimento orientato politicamente? Secondo quanto specificato dal sito ufficiale di InDifesa, “Il gruppo In Difesa dell’Islanda (InDifesa), venne costituito nell’Ottobre del 2008 da parte di numerosi islandesi che erano scioccati e delusi dalle azioni intraprese dal governo britannico contro l’Islanda durante le fasi acute della crisi. La prima azione del gruppo fu quella di organizzare una petizione online (“Gli islandesi NON sono terroristi”) per protestare contro l’uso della legislazione anti-terrorismo contro l’Islanda da parte del governo britannico (…) L’obiettivo del gruppo InDifesa è quello di raccogliere informazioni, fornire analisi e contribuire ad una discussione equilibrata su temi quali l’utilizzo della legge anti-terrorismo contro l’Islanda e la risoluzione della disputa Icesave (…) Il gruppo InDifesa è formata da individui che hanno una cosa in comune: preoccupazione per gli interessi dell’Islanda. Mentre i membri del gruppo abbracciano un ampio spettro di vedute politiche, InDifesa è un’organizzazione rigidamente apartitica iv. Così, se possiamo considerare il 27% come il minimo risultato contro la nuova versione del disegno di legge Icesave, dall’altro lato, nel nostro approccio, non possiamo usare tale dato al fine di cercare di prefigurare l’esito del referendum.

Al contrario, un primo sguardo al risultato delle elezioni politiche del 2009 costituisce un buon punto di partenza.

Fig.1

REPUBLIC OF ICELAND

LEGISLATIVE ELECTION OF 25 April 2009

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Election to the Althingi (Parliament)

Parties

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* Borgarahreyfingin (Citizens’ Movement)

* Framsoknarflokkurinn (Progressive Party)

* Frjalslynda (Liberal Party)

* Lydhraedhishreyfingin (Democracy Movement)

* Samfylkingin (Alliance Party)

* Sjalfstaedhisflokkurinn (Independence Party)

* Vinstrihreyfing-Graent Frambodh (Left-Green Alliance)

NATIONAL SUMMARY OF VOTES AND SEATS

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Voters: 227,896

Votes cast: 193,934 85.1

Invalid votes: 6,754 03.5

Valid votes: 187,180 96.5

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Party Votes % Change Seats

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Alliance Party 55,758 29.8 +03.0 20 +02

Citizens’ Movement 13,519 07.2 4 +04

Democracy Movement 1,107 00.6 –

Independence Party 44,369 23.7 -12.9 16 -09

Left-Green Alliance 40,580 21.7 +07.4 14 +05

Liberal Party 4,148 02.2 -05.1 – -04

Progressive Party 27,699 14.8 +03.1 9 +02

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Total 187,180 63

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[Fonte: http://psephos.adam-carr.net/countries/i/iceland/iceland2009.txt]

Per la prima volta nella sua storia, il Partito Indipendentista (Independence Party) di centro-destra ha ottenuto un secondo posto, dietro all’Alleanza Socialdemocratica di centro-sinistra. Quest’ultima ha così potuto formare un governo di coalizione (20 seggi + 14) con l’estrema sinistra (Sinistra/Movimento Verde). La destra rappresentata dal Partito Liberale, il quale aveva basato la propria campagna elettorale focalizzando la sua attenzione sulla questione delle “quote ittiche” (un argomento che caratterizzò per anni la politica estera islandese e le sue relazioni con Regno Unito ed Istituzioni Europee), è rimasta fuori dall’Alþingi. La stessa cosa è accaduta al Movimento per la Democrazia, un partito nato nel 1998 che rivendica forme di democrazia diretta. L’arancione Movimento dei Cittadini, una vera meteora del panorama politico islandese, aveva ottenuto 4 seggi. Questo partito, sorto nel 2009 come ulteriore risposta alla crisi economica che attanagliava il paese, oggi non trova più rappresentanza in parlamento: Þráinn Bertelsson è ora un deputato Indipendente, mentre gli altri tre rappresentanti eletti hanno creato un nuovo partito, Hreyfingin (Il Movimento). Infine troviamo il centrista Partito Progressista. Nata originariamente come partito agrario (che, nella tradizione nordica, equivale a “centrista”), questa formazione politica ha accentuato sempre più, nel corso degli anni, il suo aspetto liberale (che, in questo contesto, significa “urbano”). Nondimeno, come mostra la Figura 2, i migliori risultati del PP nelle ultime elezioni si sono avuti nelle tre suddivisioni territoriali rurali, dove il partito ha ottenuto due seggi per ogni circoscrizione. Il Partito Progressista è sempre stato un attore politico decisivo in Islanda, prendendo spesso parte a coalizioni di governo insieme al Partito Indipendentista, ma non disdegnando neppure alleanze con la sinistra. Nonostante la natura non-polarizzata del sistema multipartitico islandesev, la grande rilevanza politica del PP deriva proprio dal suo centrismo e, come conseguenza, dal suo potere di ricatto. Ciò non significa che tale potere sia sempre spendibile: come è successo nel 2009, alleanze da parte di uno dei due grandi partiti di centro-destra o centro-sinistra con le ali estreme dello spettro partitico sono sempre possibili. Tuttavia, il punto fondamentale è che, in ogni caso, un alleato centrista toglie di mezzo un potenziale alleato per l’altro grande partito semi-centrista avversario.

Fig. 2

[Fonte: http://psephos.adam-carr.net/countries/i/iceland/icelandmapindex.shtml]

Al fine di evidenziare i più rilevanti trend presenti nei flussi elettorali, osserviamo i risultati di tre passate elezioni legislative.

Fig. 3

REPUBLIC OF ICELAND

LEGISLATIVE ELECTION OF 12 MAY 2007

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Election to the Althingi (Parliament)

NATIONAL SUMMARY OF VOTES AND SEATS

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Voters: 221,368

Votes cast: 185,071 83.6

Invalid votes: 2,134 01.2%

Valid votes: 182,679 98.8%

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Party Votes % Change Seats

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Progressive Party 21,349 11.7 -06.0 7 -5

Iceland’s Movement 5,953 03.3 –

Independence Party 66,749 36.6 +02.9 25 +3

Liberal Party 13,233 07.3 -00.1 4 0

Alliance Party 48,742 26.8 -04.2 18 -2

Left-Green Alliance 26,136 14.3 +05.5 9 +4

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Total 182,679 63

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[Fonte: http://psephos.adam-carr.net/countries/i/iceland/iceland2007.txt]

Fig. 4

REPUBLIC OF ICELAND

LEGISLATIVE ELECTION OF 10 MAY 2003

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Election to the Althingi (Parliament)

NATIONAL SUMMARY OF VOTES AND SEATS

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Voters: 211.289

Votes cast: 184,813 87.5%

Invalid votes: 2,134 01.2%

Valid votes: 182,679 98.8%

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Party Votes % Change Seats

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Progressive Party 32,351 17.7 -00.7 12 0

Independence Party 61,575 33.7 -07.0 22 -4

Liberal Party 13,470 07.4 +03.2 4 +2

Alliance Party 56,552 31.0 +04.2 20 +3

Left-Green Alliance 16,104 08.8 -00.3 5 -1

Others 2,627 02.0 –

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Total 182,679 63

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[Fonte: http://psephos.adam-carr.net/countries/i/iceland/iceland2003.txt]

Fig. 5

REPUBLIC OF ICELAND

LEGISLATIVE ELECTION OF 8 MAY 1999

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Election to the Althingi (Parliament)

Alliance is a coalition of:

* (Althydhubandalagith), People’s Alliance, the former

communist party

* (Althydhuflokkurinn), People’s Party, the main social-

democratic party

* (Samtok um Kvennalista), Alliance of the Womens List,

a feminist party.

NATIONAL SUMMARY OF VOTES AND SEATS

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Party Votes % Seats

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Progressive Party 30,415 18.4 12

Alliance 44,378 26.8 17

Independence Party 67,513 40.7 26

Left-Green Alliance 15,115 09.1 6

Liberal Party 6,919 04.2 2

Others 1,387 00.8 –

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Total 183,172 63

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[Fonte: http://is.wikipedia.org/wiki/Al%C3%BEingiskosningar_1999]

L’ultimo decennio non è certo stato buono per il Partito Indipendentista [Fig. 6]. Il trend generale è abbastanza chiaro: il partito ha perso molti voti nel 2003 ed ancora di più sei anni dopo. In particolare, è impressionante quanto, nel 2009, il PI sia stato punito dal suo elettorato, il quale probabilmente si è diretto verso il Partito Progressista e, in misura minore, addirittura verso l’Alleanza Socialdemocratica (che era parte della coalizione di governo). Gli elettori maggiormente delusi potrebbero anche aver portato i loro voti al nuovo Movimento dei Cittadini. In ogni caso, una cosa è certa: gli islandesi conoscono la loro storia recente abbastanza bene ed hanno identificato nel PI uno dei principali responsabili della crisi finanziaria. Ad essere punito è stato l’intero apparato para-politico del partito, anzitutto l’oscuro “Polipo”. Più in generale, si tratta del declino di un intero sistema di valori (i “Nuovi Vichinghi”) e di un preciso progetto politico con precise idee. Il partito, che fu una forza catalitica durante il processo d’indipendenza dalla Danimarca, presenta caratteri fortemente nazionalistici. Nondimeno è sempre stato un grande sostenitore della partecipazione islandese alla NATO. A questo si è sempre affiancato un forte euro-scetticismo,con la contrarietà a qualsiasi progetto d’ingresso islandese nell’UE. Questa, a riguardo, è la posizione ufficiale del PI: “ Il Partito Indipendentista ritiene che gli interessi dell’Islanda siano meglio tutelati rimanendo fuori dall’Unione Europea, mantenendo ciononostante una stretta relazione con essa attraverso lo Spazio Economico Europeo, il quale ci apre i mercati interni all’UE. Una piena partecipazione metterebbe a repentaglio il controllo, da parte dell’Islanda, delle sue stesse risorse naturali, ad esempio quelle ittiche vi.

La questione dell’ingresso dell’Islanda nell’Unione Europea è fondamentale per comprendere il possibile esito del referendum del 6 Marzo. La Presidenza di Turno spagnola dell’UE ha fatto sapere che la consultazione referendaria non inficerà la posizione di Bruxelles nei confronti di Reykjavik (pochi giorni fa il Commissario Europeo per l’Allargamento e le Politiche Europee di Vicinato aveva invitato il Consiglio dell’UE ad iniziare i negoziati di accesso per l’Islanda, dopo l’approvazione dell’Alþingi, lo scorso Luglio, della richiesta di inizio negoziati voluta dall’Alleanza Socialdemocratica). Tuttavia Regno Unito e Paesi Bassi sembrerebbero pronti ad ostacolare tale processo, nel caso in cui non passasse l’Icesave bill II. Sicuramente queste pressioni da parte di Londra e l’Aia non costituiscono un problema per il Partito Indipendentista ed i suoi elettori più fedeli. I deputati del PI hanno già mostrato la loro contrarietà al disegno di legge “Icesave II”, votando compattamento contro di esso. A questo punto, possiamo considerare che anche l’elettorato del PI (oggigiorno, considerando il trend dei flussi elettorali, dovrebbe assestarsi intorno al 21% – si veda la Fig. 7) il 6 Marzo voterà nello stesso modo.

Fig. 6

Fig. 7

[Nota: il coefficiente di correlazione R2 non è molto alto, considerando che il valore massimo è 1, ma è sufficiente per ritenere attendibile la relazione di cui sopra]

L’Alleanza Socialdemocratica (Alliance Party) è oggi il principale partito politico in Islanda. Formatosi nel 1999 da una fusione tra l’ex partito comunista islandese, i socialdemocratici ed un’organizzazione femminista, l’Alleanza è guidata dall’attuale Primo Ministro Jóhanna Sigurðardóttir. Non è la prima volta nella storia del paese che il centro-sinistra riesce ad ottenere la carica (già successe nel 1979 con Benedikt Sigurðsson Gröndal e nel 1958 con Emil Jónsson). È tuttavia la prima volta che un capo dell’esecutivo islandese appare manifestamente filo-europeo. Non a caso una delle priorità dell’agenda politica di Jóhanna Sigurðardóttir è rappresentata proprio dall’ingresso dell’Islanda nell’UE. A questo si aggiunga che sia lei, sia il suo partito, portando il peso e la responsabilità di governo, risultano particolarmente prudenti nelle loro scelte politiche. Subito dopo la decisione del Presidente di optare per il referendum, il Primo Ministro espresse il suo disappunto, sottolineando che “il governo dell’Islanda rimane pienamente impegnato nell’implementare gli accordi bilaterali sui prestiti, così come nel rispettare le garanzie statali indicate dalla legge vii.

La preoccupazione dell’Alleanza Socialdemocratica non riguarda solo l’ingresso nell’Unione Europea, bensì anche le conseguenze di una bocciatura dell’Icesave bill II sui rapporti con il FMI e gli altri prestatori internazionali. La decisione del Presidente ha costretto il governo ad appellarsi ai creditori nordici affinché continuino con il loro sostegno: Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca sono parte di un programma multilaterale di aiuto guidato proprio dal FMI. Tutti questi paesi hanno peraltro specificato che i loro prestiti proseguiranno solo se Reykjavik rispetterà i suoi impegni internazionali (in altre parole, se gli islandesi non voteranno contro al nuovo disegno di legge).

È chiaro come l’elettorato dell’Alleanza sia il più favorevole all’Icesave bill II. Tuttavia, anche se il 30 Dicembre scorso il partito votò compatto in questa direzione, non possiamo presumere che tutti gli elettori socialdemocratici (29.8%) seguano le indicazioni di Jóhanna Sigurðardóttir.

La prima ragione è che molti di questi elettori, come ho già notato, sono elettori oscillanti, provenienti da diverse aree politiche (talvolta, anche dal Partito Indipendentista). La seconda ragione risiede nel fatto che la generale sfiducia degli islandesi verso le proprie istituzioni affligge anche l’elettorato di centro-sinistra e, certamente, votare in favore dell’Icesave bill II appare come un comportamento più “istituzionale” rispetto ad un voto contrario. Vi è poi una rabbia generale verso il Regno Unito ed il suo modo di agire verso l’Islanda durante la crisi finanziaria: anche l’elettorato di centro-sinistra ha considerato eccessiva la legislazione anti-terrorismo invocata da Londra al fine di congelare le attività di Landsbanki nel Regno Unito. Ultima, ma non per importanza, una ragione connessa all’uomo, il Presidente Ólafur Ragnar Grímsson, sul quale ricade de facto la responsabilità della decisione del referendum. Il quinto Presidente dell’Islanda assunse l’incarico nel 1996 e, da allora, è sempre stato una figura estremamente popolare, seppur molto controversa. Durante gli anni del suo mandato, la Presidenza ha cessato di essere un’istituzione con compiti meramente simbolici e cerimoniali, per trasformarsi in un punto di riferimento costante per l’esecutivo. Già nel 2004 Ólafur Ragnar Grímsson aveva posto il veto (mai era accaduto prima) su di una legge approvata dal parlamento (la legge sui media). In quel caso il governo ritirò la norma ed il referendum non fu necessario. Tuttavia, per la nostra analisi, l’elemento più interessante è rappresentato, oltre che dalla vasta popolarità del Presidente, dal suo background politico. Seppur Ólafur Ragnar Grímsson non sia affiliato a nessun partito, la sua cultura politica è essenzialmente socialdemocratica (per molti anni egli fu un influente membro dell’Alleanza per il Popolo, storica formazione del centro-sinistra islandese). A ben vedere, molti elettori dell’Alleanza Socialdemocratica potrebbero seguire il Presidente e non Jóhanna Sigurðardóttir: le decisioni politiche del primo porterebbero molti osservatori a ritenere questi come il più grande oppositore alla nuova normativa Icesave, nonostante egli non abbia mai assunto una posizione ufficiale sulla vicenda. Sebbene molto dipenda dalle capacità del governo di persuadere l’elettorato circa la necessità del nuovo piano nel far riprendere l’economia islandese e nell’assicurare i prestiti internazionali, possiamo considerare che non più dell’80% dell’elettorato dell’Alleanza Socialdemocratica approverà l’Icesave bill II. Come conseguenza, un nuovo 6% di elettori islandesi dirà “no” al nuovo progetto di legge approvato in Dicembre dall’Alþingi.

Fig. 8

Fig. 9

[Nota: il valore del coefficiente di correlazione R2 è molto basso, cosicché l’equazione di cui sopra non appare affidabile. È difficile dedurre il trend generale del consenso per l’Alleanza, anche se, in linea di massima, esso pare positivo]

La Sinistra/Movimento Verde (Left-Green Alliance) è oggi il terzo maggiore partito dell’Islanda, nonché il partner minore all’interno del governo di coalizione di centro-sinistra. Il suo impeto politico negli ultimi anni è stato impressionante [Fig. 10], ed il trend generale mostra come il partito possa facilmente ottenere ancora più voti nelle future elezioni [Fig. 11]. Nel 2009 la Sinistra/Movimento Verde ha ottenuto il suo miglior risultato (21.7%) da quando è nata nel 1999, come costola sinistra dell’Alleanza Socialdemocratica. Con un +7.4% rispetto alle precedenti elezioni parlamentari, la Sinistra/Movimento Verde rappresenta il partito che ha ottenuto il maggior “beneficio” dal collasso economico del 2008/2009, ottenendo molti voti provenienti dalla base elettorale dell’Alleanza Socialdemocratica (nel 2008 già al governo).

Come formazione politica appartenente alla famiglia dei partiti della sinistra ecologista nordica, la Sinistra/Movimento Verde si è sempre opposta sia alla partecipazione dell’Islanda alla NATO, sia all’ingresso dell’Islanda nell’Unione Europea, perché “diventare membri dell’UE significherebbe ridurre l’indipendenza dell’Islanda più di quanto già non avvenga con il SEE e mettere in pericolo il controllo dell’Islanda sulle proprie risorse viii.

È molto interessante notare come il 30 Dicembre due deputati della Sinistra/Movimento Verde (Ögmundur Jónasson, ex Ministro della Salute che si dimise nel Settembre scorso proprio a seguito delle pressioni subite sulla questione Icesave, e l’economista Lilja Mósesdóttir) abbiano votato contro il disegno di legge e, dunque, contro il loro stesso governo. Così ci sono buone ragioni per pensare che almeno un sesto della crescente base elettorale di questo partito voterà nella stessa direzione di Ögmundur e Lilja. Come conseguenza, un nuovo 4% degli elettori totali islandesi dirà probabilmente “no” alla nuova versione della normativa Icesave.

Fig. 10

Fig. 11

[Nota: il valore del coefficiente di correlazione R2 è sufficientemente alto, e questo rende molto significativa la relazione di cui sopra]

Il Partito Progressista (Progressive Party), agrario, liberale e centrista, è stato molto spesso il secondo maggiore partito della Repubblica d’Islanda. Nel 2007 il PP aveva subito notevoli perdite elettorali, ottenendo alle urne un misero 11.7% (-6% rispetto al 2003). Nell’Aprile 2009 il risultato è stato migliore: un 14.8% [Fig. 12], con corrispondente aumento da 7 a 9 seggi nell’Alþingi. Quando il governo ad interim di sinistra era stato formato nel Febbraio 2009, il Partito Progressista lo difese dal voto di sfiducia, ma successivamente, dopo le elezioni di Aprile, non prese parte alla coalizione di governo. Nello stesso anno, durante la sua conferenza annuale, il PP decise di modificare la propria posizione sull’UE, diventando, dopo l’Alleanza Socialdemocratica, il secondo partito in Islanda ad essere favorevole all’ingresso di Reykjavik nell’Unione Europea. Quest’aspetto rende dunque il Partito Progressista particolarmente sensibile alle pressioni britanniche ed olandesi sulla questione Icesave, anche se in parlamento i deputati del PP hanno votato compattamente in opposizione alla nuova versione della normativa. L’ambiguità che ha sempre caratterizzato il comportamento di questo partito persiste. Tuttavia, considerando che le sue posizioni filo-europeiste risultano essere molto recenti e considerando il vacillante consenso popolare nei confronti della su piattaforma politica, possiamo aggiungere un nuovo 14% (proveniente dall’elettorato del PP) all’insieme dei voti contro l’Icesave bill II.

Fig. 12

Fig. 13

[Nota: il valore del coefficiente di correlazione R2 è piuttosto basso: l’equazione di cui sopra non è dunque molto significativa]

Fino ad ora, secondo i miei calcoli approssimativi, circa il 45% dell’elettorato islandese (21% + 6% + 4% + 14%) voterà contro la nuova versione dell’Icesave bill. Inoltre, possiamo ritenere che sia molto probabile che gli elettori anti-europeisti del Partito Liberale (2.2%) si opporranno alla decisione del parlamento del 30 Dicembre; tra l’altro, il fondatore del partito, Sverrir Hermannsson, era stato Capo Esecutivo della Banca Nazionale d’Islanda (Landsbanki), prima che questa venisse privatizzata. Probabilmente, nella stessa direzione andranno anche i voti dei pochi elettori del Movimento Democratico (0.6%): così, l’opposizione al nuovo disegno di legge approvato dal parlamento salirebbe al 48%.

Se a questo punto considerassimo un’affluenza al referendum simile all’affluenza media delle passate elezioni politiche (intorno all’85%), è facile intuire come risultino cruciali i voti degli elettori dell’ormai defunto Movimento dei Cittadini. Come voterà questo 7.2%? Anzitutto appare significativo che la responsabilità dell’esito finale del referendum possa essere in buona parte attribuita agli elettori di un partito formatosi principalmente come risposta alla crisi economico/finanziaria. Altrettanto significativo è il fatto che tale partito (che mai ha avuto un leader) non esista più in parlamento: una prova della sua natura genuina, contingente, impulsiva ed abbastanza caotica. Il 30 Dicembre 2009, dei quattro deputati del Movimento dei Cittadini, solo uno (il regista, ora rappresentante Indipendente, Thráinn Bertelsson) aveva votato a favore dell’Icesave bill II, sostenendo così il governo. Se la proporzione tra eletti ed elettori venisse rispettata, potremmo ritenere che almeno un addizionale 5% voterà contro il disegno di legge (48% + 5% = 53%).


Conclusione

Secondo la mia analisi, probabilmente circa il 53% degli islandesi si opporrà al nuovo progetto di legge Icesave, il qual sarà dunque ritenuto nullo. Pochi voti, provenienti in particolare dalla base dell’ex Movimento dei Cittadini, sembrerebbero essere decisivi per il risultato finale. Ugualmente cruciale parrebbe l’orientamento degli elettori della Sinistra/Movimento Verde. Il risultato ricavato è molto simile alla stima offerta da numerosi sondaggi. Ciononostante non è questo il punto centrale di questo scritto: il mio scopo non è certo stato quello d’indicare il preciso esito del referendum. Il valore da me indicato potrebbe essere sbagliato, anche perché molto dipenderà dalle capacità persuasive degli opinion leader di entrambi i lati e dagli eventi che si susseguiranno fino a poche ore prima del voto. Piuttosto, il mio obiettivo è stato quello di fornire una fondata spiegazione di un risultato molto probabile, mostrando, al contempo, il grande potenziale di un approccio indiretto com’è quello elettorale. Un confronto tra la mia analisi ed i reali risultati della consultazione referendaria sarebbe senza dubbio interessante.

(Saggio prodotto tra il 23 e il 28 febbraio 2010)


Post scriptum (3 Marzo 2010)

A pochi giorni dal referendum, in Islanda gli eventi si susseguono in modo vorticoso. La situazione politica appare sempre più caotica. Voci di corridoio parlavano di un possibile annullamento del referendum, a seguito di un eventuale ritiro del disegno di legge da parte del governo (come accadde nel 2004); tuttavia, il Presidente Ólafur Ragnar Grímsson sembrerebbe propenso a lasciare, in ogni caso, l’ultima parola al popolo. Commettendo forse un errore madornale, il Primo Ministro Jóhanna Sigurðardóttir ha poi dichiarato che il referendum sarà solamente una perdita di tempo, esistendo già, sul tavolo dei negoziati con Londra e l’Aia, un’alternativa migliore. Il problema è che di sicuro non vi è proprio nulla, se non il fatto che, dopo queste dichiarazioni, molti elettori del centro-sinistra potrebbero votare scheda bianca o, addirittura, votare insieme all’opposizione. Intanto, mentre la consultazione assume ogni giorno di più i connotati di un voto pro o contro Jóhanna Sigurðardóttir, il governo ha pensato bene di inviare ad ogni islandese una brochure informativa sul contenuto del referendum stesso. Questa sì, certamente una scelta sbagliata, vista la situazione delle casse di Reykjavik.

* Francesco Rossi è dottore in Relazioni internazionali (Università di Bologna)

Note:

i Si veda Boyes Roger, Meltdown Iceland, London, Bloomsbury Publishing Plc., 2009.

iii Si veda Rokkan Stein, State Formation, Nation-Building, and Mass Politics in Europe: The Theory of Stein Rokkan, Edited by Peter Flora, Oxford UK, Oxford University Press, 1999.

iv http://www.indefence.is/?m=8 [24 Febbraio 2010].

v Si veda Sartori Giovanni, Parties and party systems: a framework for analysis, Cambridge UK, Cambridge University Press, 1976.




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