Lo scontro che sta coinvolgendo in queste settimane, la Repubblica dello Yemen e il regno dell’Arabia Saudita, ha origine dalle tensioni socio-economiche all’interno della repubblica di Sana’a. Tensioni che sono sfociate in scontri tra fazioni islamiste; da una parte il al-Tajammu al-Yamani li l-Islah (Raggruppamento Yemenita per le Riforme), movimento wahabita finanziato da Riyadh, la cui ascesa nello Yemen viene contrastata dall’imam Yahya al-Houthi, leaders di un movimento estremista zaidita (una corrente locale derivante dallo shiismo). Fu il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh che dal 1994 armò e finanziò al-Houthi, inviandolo nella città di Saada, affinché contrastasse il diffondersi delle scuole wahabite. Ma col tempo le posizioni tra Sana’a e il movimento zaidita di al-Houthi mutarono, tanto che nel 2004 quest’ultimo ha iniziato a pretendere l’autonomia della provincia di Saada dall’autorità centrale.

L’ultima campagna militare del conflitto è iniziata nell’agosto 2009, quando le forze governative hanno aumentato la pressione militare sui guerriglieri. L’offensiva, denominata ‘Terra Bruciata’, ha provocato 3.800 morti e 16.000 feriti tra i militari e la popolazione civile, cui vanno aggiunti oltre 100.000 sfollati e vaste perdite materiali, secondo la Croce Rossa e le Nazioni Unite. Ciò ha spinto il presidente Saleh a chiedere l’aiuto dell’esercito saudita, per poter proseguire la campagna contro il movimento islamista zaidita.

Da parte sua, l’Arabia Saudita è intervenuta non solo per aiutare Sana’a, ma anche per contrastare gli sconfinamenti del movimento di al-Houthi nella località montuosa del Jebel Dukhan. L’Arabia Saudita teme di trovarsi tra due fuochi: la sollevazione zaidita a sud e un’eventuale insurrezione della numerosa minoranza sciita nel nord, che risiede nelle regioni petrolifere del paese. Le milizie zaidite, secondo Al Sharq Al Awsat, avevano preso il controllo della regione di Qatabar, nella provincia di Saada, al confine tra Yemen e Arabia Saudita. Il regno saudita si è cosi sentito sotto attacco, poiché la regione saudita del Jabal Dokhan, confinante con la provincia yemenita di Sadaa, era stata occupata temporaneamente dalle milizie di al-Houthi; un’azione che è costata due morti alle guardie di frontiera di Riyadh. Già il 10 novembre l’Arabia Saudita aveva imposto il blocco navale alle coste yemenite sul Mar Rosso, nel tentativo di bloccare i rifornimenti ai ribelli. Inoltre, il presidente Ali Abdullah Saleh, per poter strappare il sostegno saudita, ha rinunciato ufficialmente a reclamare quei territori yemeniti che sono occupati dai sauditi dal 1934, che hanno un’estensione equivalente a quella della Siria.

Il movimento zaidita ha, invece, accusato l’aviazione saudita di aver bombardato le proprie postazioni e di aver permesso alle truppe governative yemenite di attraversare il territorio saudita, con lo scopo di accerchiare le milizie del movimento di al-Houthi. Infatti, il 15 novembre 2009 l’aviazione saudita, nell’arco di 24 ore, effettuava 18 attacchi e ha lanciato più di 150 missili contro le postazioni dei ribelli zaiditi, alla frontiera con lo Yemen, colpendo le posizioni degli insorti nelle zone montuose di Jebel al-Doukhan, Jebel al-Doud, al-Sabkhayah e al-Ghaouia, mentre Sana’a inviava dei rinforzi verso la zona dei combattimenti. L’imam Abdel Malik al-Houti avrebbe annunciato, lo stesso giorno, di aver colpito con un razzo katjusha una base militare saudita. Il 19 novembre 2009 l’Arabia Saudita, secondo l’agenzia Press TV, avrebbe attaccato obiettivi civili nello Yemen, nelle regioni montuose del Malahit Maran, nella provincia di Saada. La battaglia più violenta si è svolta nella zona di Khoba, da dove i ribelli sono fuggiti dopo essere stati respinti dall’esercito saudita. La resistenza zaidita avrebbe distrutto 9 veicoli blindati delle forze armate dell’Arabia Saudita, sei Humvee e tre blindati, nelle province settentrionali di Omran e Harf Sufyan. Grave il bilancio degli scontri: 50 ribelli uccisi, 270 catturati e 400 seguaci dell’imam al-Houthi respinti dal territorio saudita, secondo la Tv satellitare ‘al-Arabiya’. Tra le fila delle forze della sicurezza saudita si conterebbero tre soldati morti, 15 feriti e tre dispersi.

Il risultato degli scontri indica quanto la guerriglia zaidita sia attiva al confine meridionale dell’Arabia Saudita. Al momento, le forze di sicurezza saudite controllerebbero la zona di frontiera con l’aiuto di civili armati, per impedire nuovi sconfinamenti da parte dei miliziani zaiditi. Ma nonostante Riyadh avesse dichiarato di aver sotto controllo la provincia, i bombardamenti contro le postazioni dei ribelli proseguivano per qualche giorno, mentre gli abitanti di 240 villaggi della zona non sarebbero ancora potuti tornare nelle proprie case, e le scuole locali rimanevano chiuse. Riyadh ha anche stabilito, nella provincia di Saada, un cordone sanitario profondo 7 miglia all’interno del territorio yemenita. L’intrusione territoriale, a quanto pare, è tollerata dal regime di Saleh.

L’esercito saudita ha detto che gli attacchi sono stati una rappresaglia per un precedente scontro tra i combattenti zaiditi e le forze di sicurezza saudite, dove sono rimasti uccisi due soldati dell’Arabia Saudita. I guerriglieri yemeniti avevano ammonito, il giorno prima, che ci sarebbero state ritorsioni contro l’Arabia Saudita, dato che Riyadh aveva acconsentito che le truppe governative dello Yemen lanciassero attacchi contro di loro, partendo dalla base militare saudita di Jabal al-Dukhan.

La rinuncia alle terre yemenite, già reclamate da Sana’a, ha suscitato viva irritazione presso la popolazione locale, provocando la reazione dei partiti d’opposizione islamici, nazionalisti e di sinistra. Un’opposizione che ha una considerevole base popolare in tutto il paese, e che al termine di un incontro, ha emesso un comunicato congiunto che accusa il governo di aver violato la sovranità nazionale, per poter condurre le operazioni contro la provincia di Saada.

Il presidente Saleh, per giustificare il suo operato e per garantirsi la legittimazione internazionale, soprattutto da USA ed emirati arabi del Golfo, invoca di volta in volta sia il presunto coinvolgimento iraniano a fianco di al-Houthi, peraltro mai dimostrato; sia la presenza di al-Qaida sul territorio nazionale, anche se fu proprio lui ad arruolare migliaia di jihadisti da utilizzare nella guerra contro la provincia di Aden (la ex-Repubblica Democratica Popolare), che nel 1994 si era ribellata all’autorità di Sana’a, e che poi impiegò contro gli altri suoi avversari nel resto del paese. Inoltre, il governo centrale di Sana’a fomenta le tensioni tra i gruppi tribali e settari, soprattutto nelle province nord-occidentali e meridionali del paese. Infatti, i miliziani del capo tribù Muhammad Ahmad Mansour, nella provincia di Ibb, a sud di Sana’a, hanno minacciato di distruggere le abitazioni di chi paga le tasse allo stato invece che al loro leader, come riferisce al-Sahwat. Mansour pretenderebbe per sé il pagamento del zaqat, la tassa islamica che i cittadini dello Yemen versano al governo. E tutto ciò accade mentre diventa sempre più aggressivo il movimento separatista filo-socialista nel sud dello Yemen, e il collasso economico causa disordini.

La milizia di al-Houthi avrebbe affermato, secondo fonti yemenite e saudite, di non appartenere più alla corrente sciita zaidita, tradizionalmente prevalentemente in Yemen, ma a quella duodecimana, prevalente in Iran. In un’intervista pubblicata sul sito iraniano Ayandenews, l’imam Issam al-Imad, che sarebbe collegato al movimento di al-Houthi, sosterrebbe che loro non sono più zaiditi e che studiano esclusivamente su testi religiosi che proverrebbero da Qom, capitale religiosa dell’Iran. Al-Imad sottolinea l’influenza di Khomeini e di Hasan Nasrallah sulla leadership del movimento di al-Houthi, augurandosi che esso instauri una repubblica islamica nel territorio yemenita da loro occupato. Nel frattempo il ministro degli esteri iraniano Manouchehr Mottaki, si é offerto di cooperare col governo dello Yemen per “ripristinare la sicurezza” nel paese, ammonendo che “coloro che versano benzina sul fuoco devono sapere che non saranno risparmiati dal fumo che si alzerà“. Intanto, secondo l’UPI del 18 novembre 2009, l’Iran ha inviato delle navi da guerra nelle acque dello Yemen, nel Golfo di Aden, col pretesto di combattere i pirati somali che predano le principali rotte di navigazione. Il dispiegamento iraniano coincide con il blocco navale dell’Arabia Saudita nel Mar Rosso, che ha inviato tre navi da guerra dalla sua base di Yanbu, per intercettare le spedizioni di armi che, asserisce Riyadh, sono inviate dall’Iran e dall’Eritrea ai ribelli sciiti che combattono le forze saudite nello Yemen del nord. Le relazioni tra l’Eritrea e Yemen sono state tese per qualche tempo, e scontri di frontiera sono stati segnalati negli anni ‘90. Il regime di Asmara è accusato dai suoi vicini di aiutare i militanti islamici che combattono in Somalia.

Il governo del presidente Saleh sostiene che anche gli iraniani armano i ribelli Zaiditi. Il regime di Sana’a sostiene che la sua marina ha intercettato nel Mar Rosso, il 26 ottobre, una nave con equipaggio iraniano carica di armi. Il comandante dell’esercito iraniano, il maggior generale Hassan Firouzabadi, ha avvertito che l’Arabia Saudita che il “terrorismo di stato wahhabita” nello Yemen potrebbe avere conseguenze in tutta la regione. La stampa ufficiale saudita ha riferito che re Abdullah s’è incontrato con il direttore generale della Central Intelligence Agency, Leon Panetta, a Riyadh il 15 novembre 2009. A Washington, il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, ha incontrato il vice ministro della difesa dell’Arabia Saudita, il principe Khaled bin Sultan, per discutere di “questioni di sicurezza regionale“.

22/11/2009

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